image_pdfimage_print

A prima vista sembrerebbe uno dei titoli abitualmente usati da Altrapsicologia, e invece la dichiarazione è di Giuliano Amato, che si è detto “contrario all’abolizione degli ordini” nel corso di un convegno della cassa previdenziale dei medici (ENPAM).
Un’affermazione nettissima da parte di un uomo politico che, nel bene o nel male, è stato protagonista dei primi anni ’90, il post-tangentopoli, quando la crisi del sistema pensionistico pubblico portò alla nascita di nuove professioni e delle relative casse professionali, fra cui l’ENPAP. Questi avvenimenti erano il segnale di un cambiamento sociale radicale, che continua tuttora. Amato ricorda che “la realtà degli anni ’60 e ’70, quando furono creati gli istituti di previdenza e di assistenza pubblici [INPS, INAIL], era quella di un gran numero di [lavoratori] contribuenti e di un piccolo numero di [pensionati] fruitori. In quel contesto bastava la legge per istituire il diritto, ma nei primi anni ’90 si capì che, oltre al diritto, servivano i soldi e si dovette cominciare a correggere il sistema”, a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, della riduzione dei redditi e della precarietà dei contratti di lavoro.

Amato ha descritto un dato di fatto in cui la nostra professione si riconosce più di altre, per l’età media e per le difficoltà lavorative: “i giovani avranno una vita più difficile di quella dei loro genitori, come peraltro è già accaduto nella storia”. Ma ha proseguito dicendo che molti reagiscono “spinti dalla rabbia e usando la clava, mentre sarebbe meglio usare il bisturi per fare gli interventi necessari”.

Mi occupo della nostra professione e del contesto politico delle professioni ormai da tempo. Altrapsicologia è nata usando la clava, perché nel 2005 la situazione della nostra politica professionale (Ordini ed ENPAP) lo richiedeva.
Poi abbiamo provato ad entrare nelle istituzioni per gestirle meglio, a misura di psicologo; l’esperimento è in corso e sarà la storia a darci ragione o torto.
Ma oggi siamo in un periodo economico molto diverso da cinque anni fa. Dobbiamo renderci conto che il destino degli psicologi in Italia è strettamente legata al destino delle altre professioni riconosciute e delle casse previdenziali.

Allo stato non importa nulla delle nostre diatribe teoriche intracategoriali, ma interessano invece molto i soldi custoditi dall’ENPAP.

Chi oggi sostiene l’abolizione degli ordini per motivi meramente ideologici, o sulla spinta di visioni pseudoeuropeiste (omettendo peraltro molte informazioni sulle professioni negli altri paesi), non si rende conto della stretta interconnessione fra la struttura organizzativa delle professioni italiane e la gestione di immensi patrimoni previdenziali, che è tutto a vantaggio dei professionisti perché gli garantisce un margine di controllo sul proprio mestiere che altri lavoratori non hanno.
Ogni discorso sulla riforma delle professioni, o sull’abolizione degli ordini, che non dica nulla di come gestire il denaro della previdenza è pura ingenuità.
La scelta che ci si pone di fronte in questo delicato momento è questa: mantenere il controllo della nostra professione e della nostra previdenza, oppure scioglierci progressivamente nelle grandi istituzioni statali. La differenza non è solo politica, ma anche sostanziale: un libero professionista senza Ordine oggi paga all’INPS il 26%, noi paghiamo il 10%+2%. Questo professionista non ha alcuna possibilità di accesso all’amministrazione del denaro che versa, e nella migliore delle ipotesi il suo denaro finirà ad alimentare la caldaia sempre accesa delle pensioni pubbliche, senza possibilità di previsione sull’ammontare della sua pensione. Noi abbiamo organi elettivi in cui tutti possiamo entrare, per incidere sul destino del nostro denaro.

In questa prospettiva, l’uso del bisturi e della clava in adeguata miscelazione mi paiono l’unica misura possibile per garantirci un futuro, come professionisti e come persone. L’uso della sola clava, autoinflitta battendola ottusamente sulle nostre stesse istituzioni (ordini ed ENPAP) ha il solo effetto di fornire ad uno Stato in crisi il pretesto per levarci di mano il controllo del nostro lavoro e del nostro denaro.

(La fonte della notizia che ha ispirato questo articolo è: www.quotidianosanita.it )