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Proponiamo alla riflessione dei colleghi alcune delle vicissitudini legislative che hanno portato al mancato sviluppo e a volte alla contrazione delle possibilità di lavoro per gli Psicologi negli ultimi anni. Si tratta di occasioni mancate per lo sviluppo della nostra professione e per l’affermarsi della Psicologia nella società italiana: treni persi, spesso, per l’incapacità della categoria a rappresentare le proprie competenze e capacità operative all’opinione pubblica e a chi la rappresenta in sede legislativa, con l’effetto di privare i colleghi di spazi di sviluppo vitali e di lasciare libero il campo ad altri presunti esperti, più o meno improvvisati e più o meno utili nell’economia complessiva degli interventi, diminuendo le garanzie di qualità per l’utente finale dei servizi. Evidentemente le istituzioni rappresentative della nostra categoria (gli Ordini Territoriali e il Consiglio Nazionale) non sono state in grado di tutelare i loro iscritti e la società allargata promuovendo il valore della Psicologia professionale.

Avviamo questo escursus dalla vicenda che riguarda gli organici delle Comunità Terapeutiche (CT) in Psichiatria definiti dalle normative regionali del Lazio.

Le Comunità Terapeutiche sono esperienze ormai consolidate di cura dei problemi più gravi in ambito psichiatrico. Sviluppatesi nel secondo dopoguerra in Inghilterra sulla base delle esperienze di alcuni pionieri della psicoterapia istituzionale (Bion, Foulkes, Main) sono cresciute in Italia nell’area del privato sociale, a cura di operatori (spesso psicologi) particolarmente sensibili e qualificati, sotto la spinta della legge 180 e della de-manicomializzazione dei pazienti psichiatrici.

Lo spirito che ha animato queste iniziative era di offrire alle persone sofferenti risposte terapeutiche multifattoriali in un contesto di contenimento supportivo ed affettivamente pregnante. Le principali esperienze di CT nel nostro paese si sono sviluppate privilegiando una cultura condivisa di tipo psicoterapeutico (di “psicoterapia diffusa nel quotidiano” si parla per descrivere il setting che si struttura in questi contesti), in contrapposizione alla cultura passivizzante di tipo medico-ospedaliero che caratterizzava il vecchio ospedale psichiatrico: sono quindi state terreno cruciale di formazione e di lavoro per un gran numero di colleghi psicologi.

La validità clinica di questo approccio non è messa in discussione, ma certo l’approccio di tipo psicoterapeutico, pur essendo l’unico metodo utile per la cura della sofferenza psichica, è più dispendioso di modalità semplicemente contenitive ed assistenziali di affrontare queste problematiche.

Fatto è che la legge 180 del 1978, che imponendo il blocco delle ammissioni negli ospedali psichiatrici permetteva lo strutturarsi delle esperienze di CT in Italia, fornisce soltanto direttive generali, demandando alle singole regioni l’emanazione di norme per la concreta realizzazione di strutture alternative all’Ospedale Psichiatrico per il trattamento delle psicosi e degli altri disturbi psichiatrici gravi. Ciò ha comportato una grande sperequazione fra regioni in termini di qualità delle strutture e degli interventi, a cui si è cercato lungamente di trovare soluzione con una serie di “Progetti Obiettivo Nazionale Tutela Salute Mentale” emanati a livello di governo centrale con lo scopo prioritario di arrivare alla chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici, chiusura che ancora nel 2001 non era del tutto attuata.

Circa le CT, le regioni hanno legiferato, quando l’hanno fatto, spesso senza cognizione di causa, riconoscendo solo raramente la peculiarità dell’approccio psicoterapeutico delle Comunità e quindi la centralità degli operatori psicologi in questo contesto (e i costi conseguenti). Avvilente è, ad esempio, la legislazione della Puglia, che prevede in una Comunità Terapeutica da 20 posti la presenza di un solo psicologo e per sole 18 ore settimanali.

Per semplificare un panorama che resta molto variegato riepilogherò le vicende che riguardano la regione Lazio, tra le prime a legiferare in materia (1984) e a lungo riferimento per altre regioni del centro sud ancora prive di legislazione attuativa della legge 180.

La regione Lazio prevede testualmente (art. 7 Regol. Reg. n. 9/85), innanzitutto, che “…tutto il personale deve essere qualificato attraverso esperienze formative specifiche teorico-pratiche  per avere capacità di rapporto con le famiglie e con il territorio… E’ inoltre auspicabile, che almeno la metà del personale addetto alla Comunità Terapeutica abbia fruito di un training analitico personale o almeno possieda una formazione in terapia relazionale o in gruppo analisi.

Nella normativa del 1988 la Regione Lazio (Deliberazione della Giunta Regionale n. 11887/88) definiva, poi, che le CT (con massimo 20 posti) conformassero il loro organico ad un modello standard che prevedeva uno psichiatra, quattro psicologi, quattro infermieri, un’assistente sociale, un terapista della riabilitazione, ecc. ma consentiva, in deroga a questo quadro organico standard, “… la variabilità del ruolo e delle funzioni del personale operante. Per es., una struttura residenziale, con determinata tipologia di pazienti può prevedere l’assenza di personale infermieristico e il contemporaneo aumento di altre figure assistenziali, per es. psicologi, e viceversa” (Presidente della Regione Lazio, Circ. 2103/89).

Questo quadro legislativo ha consentito la creazione nel Lazio di numerose esperienze pilota di Comunità Terapeutica fortemente caratterizzate in senso psicoterapeutico ed occupanti un numero elevato di psicologi. Nel corso degli anni queste esperienze si sono imposte quali punto di riferimento a livello nazionale e sono unanimemente riconosciute per l’elevata qualità degli interventi proposti, la validità clinica dei modelli operativi, la competenza professionale raggiunta dalle equipe.

All’improvviso, nel febbraio del 2000 (dgr. 351/2000), viene emanata una nuova normativa regionale che impone invece un organigramma con preponderanza di figure infermieristiche, senza più possibilità di deroga, così riducendo di fatto la presenza degli psicologi in CT a uno solo per struttura.

Stimo che circa 200 psicologi vedessero a rischio il loro posto lavoro.

È seguita, chiaramente, una decisa mobilitazione degli operatori e degli utenti delle Comunità che ha avuto momenti di elevata drammaticità (manifestazioni, picchettaggi davanti alle sedi istituzionali della regione, interventi dei carabinieri, ingiunzioni di chiusura alle Comunità, ecc.) visto che la posta in gioco era non solo la perdita del posto di lavoro di tanti psicologi ma soprattutto l’abbattimento del sistema di cura del disagio psichico basato sull’approccio psicologico-sociale a fronte di quello medico-farmacologico.

L’organizzazione nazionale delle Comunità Terapeutiche (FENASCOP) ha quindi promosso, contro la dgr 351/00, un ricorso al TAR del Lazio, vinto con sentenza del 2003.

Ora, a più di cinque anni dal colpo di coda della burocrazia, è ancora tutto in discussione: le Comunità Terapeutiche del Lazio continuano ad operare con organici in deroga ai regolamenti in cui gli psicologi sono maggioritari; le rette delle CT sono le stesse stabilite nel 1992 e quindi gli operatori delle CT sono pagati malissimo; i ritardi nei pagamenti delle rette da parte delle AASSLL sono biblici (ormai quasi due anni in media) e quindi le CT sono sempre sull’orlo del fallimento e gli operatori ricevono lo stipendio con a volte un anno di ritardo; sull’onda della sentenza favorevole del TAR le CT hanno ottenuto dalla Regione Lazio l’Accreditamento Provvisorio (lo status che consente di operare come strutture sanitarie integrate nel Servizio Sanitario pubblico) ma non la definizione delle procedure per rendere operativo questo status.

Ma quale ruolo avrà avuto l’Ordine degli Psicologi del Lazio in questa vicenda cruciale per molti iscritti e per l’affermazione dei principi della cura psicologica dei disturbi psichici? Assolutamente nessuno.

Dopo pressanti insistenze di molti iscritti l’Ordine creò una commissione scientifica di cui vennero chiamati a far parte colleghi esperti di CT. Il lavoro della commissione diede lo spunto per un seminario tenutosi poi presso il CNR, interessante sul piano scientifico come molti altri organizzati in questi anni dalle organizzazioni delle CT.

Sul piano politico assolutamente nulla accadde ed accade su questo fronte: eppure se già sono circa 300 i colleghi impegnati nelle CT del Lazio ben di più potrebbero essere se venissero rispettate le indicazioni del “Progetto Obiettivo Nazionale” circa la distribuzione delle comunità terapeutiche e delle altre strutture psichiatriche cosiddette “intermedie” (comunità riabilitative, comunità alloggio, gruppi appartamento, case famiglia, centri diurni , ecc).

Nessuna proposta operativa viene sostenuta dall’Ordine, nessun collegamento mantenuto con le organizzazioni delle Comunità locali e nazionali (FeNaSCoP, Coordinamento Integra, ecc.), nessun contatto istituzionale con gli organi regionali che in materia legiferano (liberamente ed inconsapevolmente), nessuna campagna a sostegno delle CT sostenuta presso la comunità professionale o presso i mass media.