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Il 10 maggio del 1978, il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, veniva approvata definitivamente – direttamente dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato dell’epoca (presieduta dal Sen. Ossicini) riunita in sede legislativa, quindi senza passaggi in Aula – la legge n. 180/78 che sarà poi conosciuta come “Legge Basaglia”, dal nome dello Psichiatra che più di tutti si era fatto promotore dei termini di quella norma.

Il contesto dell’approvazione (la legge venne poi promulgata dal Capo dello Stato il 13 maggio) fu anomalo. Nel paese era fortissimo il clima di incertezza legato all’azione destabilizzante del terrorismo che, come si è ricordato in apertura, era al culmine della sua azione.

Il Parlamento era poi impegnato, da diversi mesi, nella definizione della riforma del sistema sanitario, all’interno della quale (come effettivamente accadde) doveva rientrare anche la riforma del sistema psichiatrico.

Premeva invece l’urgenza di trovare soluzione alla situazione che si sarebbe creata in ragione dello svolgimento di un referendum, sostenuto dal partito radicale, che chiedeva l’abrogazione della legge manicomiale del 1904 allora in vigore. Qualora la richiesta di abrogazione di quella legge fosse stata respinta con il referendum ci si sarebbe trovati con una legge arcaica “blindata” dalla volontà popolare e sarebbe diventato impossibile modificarla.

Del resto l’opinione pubblica era orientata a mantenere e a rafforzare le misure che almeno all’apparenza sostenevano l’ordine e la sicurezza, essendo profondamente turbata dai drammatici eventi di quel periodo. Non a caso, quando gli elettori furono chiamati a votare con referendum sulla proposta radicale di abrogazione dell’ergastolo, la respinsero a larga maggioranza.

I tempi per evitare il referendum erano strettissimi: se entro l’11 maggio non si fosse completato l’iter della nuova legge si sarebbe celebrato.

Il dibattito culturale e politico sulla psichiatria andava avanti da tempo, sulla spinta delle idee propugnate in particolare da Franco Basaglia, idee peraltro largamente sperimentate in molti contasti territoriali e che si rifacevano al movimento antipsichiatrico di origine inglese.

Per queste ragioni quanti si erano battuti per la riforma psichiatrica temevano che il loro impegno, giunto ormai sulle soglie della definitiva approvazione legislativa, fosse vanificato da un voto referendario emotivamente influenzato in senso negativo da vicende eccezionali.

Nel clima di nuova collaborazione tra le forze politiche, sollecitato dalla drammatica emergenza terroristica, si compì un piccolo miracolo parlamentare: il varo di una legge, di grande significato tecnico, sociale e politico, in meno di tre settimane dalla data della sua presentazione al Parlamento.

A dicembre del 1978, quando fu varata la legge 833 di riforma del sistema sanitario, poi, la 180 venne inglobata in questa normativa costituendone gli articoli 33, 34, 35 e 64.

L’istituzione manicomiale in Italia vedeva, fin dagli anni ’50, oltre 100.000 cittadini internati. I manicomi svolgevano una funzione prevalente di contenitore sociale di una serie di problemi diversificati: la loro popolazione era costituita non soltanto da persone con disturbi mentali ma anche da disabili gravi e gravissimi, disadattati sociali, emarginati, alcoolisti. C’era perfino chi nasceva in manicomio e vi trascorreva tutta la vita. Il ricovero, quasi sempre deciso da altri, era obbligatorio e spesso durava fino alla morte, in quanto non esistevano stimoli o soluzioni alternative.

Il criterio per l’internamento in manicomio non era la malattia mentale ma, ai sensi della legge del 1904, la pericolosità o il “pubblico scandalo” ed è quindi evidente che la funzione del manicomio fosse solo in minima parte di “cura”.

La base teorica su cui si costruì la legge 180 risiede nella convinzione secondo cui un effettivo recupero del malato di mente non può prescindere dal suo reinserimento nella società, reinserimento la cui possibilità viene radicalmente negata dall’istituzione manicomiale.

La modalità prioritaria par attuare questo reinserimento fu vista nella forte garanzia e limitazione temporale delle procedure di ricovero obbligatorio, limitate solo alla situazione eccezionale ed urgente del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) che, ai sensi della legge 180, viene disposto per massimo 7 giorni (prolungabili motivatamente) ”solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere”.

Infatti, il titolo della legge 180 non contiene alcun riferimento diretto alla malattia mentale pure perché si intendeva riportare pienamente la malattia psichica nell’alveo della “normale” sanità. La legge 180 si chiama “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” e riguarda le procedure e le garanzie con cui questi possono essere eseguiti in ogni situazione sanitaria di emergenza.

Di fatto essa ha semplicemente vietato le nuove ammissioni in manicomio e sancito che non si costruissero più ospedali psichiatrici, dando inizio alla lunga agonia di queste strutture che si è (almeno formalmente) conclusa solo nei primi anni 2000.

La legge 180 ha demandato tutta la sua attuazione alle Regioni, nello spirito della riforma del sistema sanitario che si andava delineando.

Di fatto, una delle critiche più forti che ha raccolto negli anni la 180 è proprio quella di non aver predisposto adeguatamente l’organizzazione della psichiatria dopo la chiusura dei manicomi.

I principali problemi della psichiatria post-180 sono, infatti, legati al fatto che alcune Regioni hanno emanato in modo tempestivo le loro linee normative ma altre hanno ritardato, anche tanto.

Solo nel 1994, 16 anni dopo la 180 e 14 anni dopo la morte di Basaglia (venuto a mancare il 29 agosto 1980), è arrivato il Progetto Obiettivo “Tutela della Salute Mentale”, che delineava quali fossero le strutture da attivare a livello nazionale e dava finalmente l’avvio ad una riorganizzazione sistematica dei servizi preposti all’assistenza psichiatrica.

Di fatto ogni Regione ha legiferato da sé, producendo realtà molto diversificate nelle tipologie delle strutture e dei servizi, che tuttora fanno registrare in Italia una situazione a macchia di leopardo non solo per la quantità dei servizi erogati, ma soprattutto per la qualità dell’assistenza che, se da un lato ripropone non di rado, anche se con altro nome, la logica manicomiale, dall’altro spesso realizza il sostanziale abbandono dei pazienti e delle loro famiglie alla mercè della sofferenza psichica.

Uno dei nodi cruciali della discussione, oggi, è infatti la condizione di quei malati cosiddetti “non collaborativi” che, non riconoscendo la loro malattia, sono recalcitranti alla cura e quindi, secondo la legge 180, non possono essere avviati al trattamento di cui avrebbero bisogno.

Situazione questa che spinge alcune associazioni ma anche alcune forze politiche a chiedere una ridefinizione della normativa vigente e in particolare di tutta l’area del Trattamento Sanitario Obbligatorio verso forme di cura obbligatorie.

Felice D. Torricelli

Per approfondimenti: http://www.psychiatryonline.it/ital/180/index1.htm

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LEGGE 180/78 COME RECEPITA DALLA LEGGE 833 DEL 1978

ESTRATTO DALLA LEGGE 23 DICEMBRE 1978, N. 833

Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (articoli 33, 34, 35 e 64)

Art. 33

(NORME PER GLI ACCERTAMENTI ED I TRATTAMENTI SANITARI VOLONTARI ED OBBLIGATORI)

Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. L’unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità.

Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno.

Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio.

Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti di revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento revocato o modificato.

Art. 34

(ACCERTAMENTI E TRATTAMENTI SANITARI VOLONTARI E OBBLIGATORI PER MALATTIA MENTALE)

La legge regionale, nell’ambito della unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute, disciplina l’istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale.

Le misure di cui al secondo comma dell’articolo precedente possono essere disposte nei confronti di persone affette da malattia mentale.

Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri di cui al primo comma.

Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. Il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera deve essere preceduto dalla convalida della proposta di cui al terzo comma dell’articolo 33 da parte di un medico della unità sanitaria locale e deve essere motivato in relazione a quanto previsto nel presente comma.

Nei casi di cui al precedente comma il ricovero deve essere attuato presso gli ospedali generali, in specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura all’interno delle strutture dipartimentali per la salute mentale comprendenti anche i presidi e i servizi extraospedalieri, al fine di garantire la continuità terapeutica. I servizi ospedalieri di cui al presente comma sono dotati di posti letto nel numero fissato dal piano sanitario regionale.

Art. 35

(PROCEDIMENTO RELATIVO AGLI ACCERTAMENTI E TRATTAMENTI SANITARI OBBLIGATORI IN CONDIZIONI DI DEGENZA OSPEDALIERA PER MALATTIA MENTALE E TUTELA GIURISDIZIONALE)

Il provvedimento con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera, da emanarsi entro 48 ore dalla convalida di cui all’articolo 34, quarto comma, corredato dalla proposta medica motivata di cui all’articolo 33, terzo comma, e dalla suddetta convalida deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune.

Il giudice tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.

Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è disposto dal sindaco di un comune diverso da quello di residenza dell’infermo, ne va data comunicazione al sindaco di questo ultimo comune, nonchè al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune di residenza. Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è adottato nei confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data comunicazione al Ministero dell’interno, e al consolato competente, tramite il prefetto.

Nei casi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in quelli di ulteriore prolungamento, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico della unità sanitaria locale è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare, con le modalità e per gli adempimenti di cui al primo e secondo comma del presente articolo, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso. Il sanitario di cui al comma precedente è tenuto a comunicare al sindaco, sia in caso di dimissione del ricoverato che in continuità di degenza, la cessazione delle condizioni che richiedono l’obbligo del trattamento sanitario; comunica altresì la eventuale sopravvenuta impossibilità a proseguire il trattamento stesso. Il sindaco, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione del sanitario, ne dà notizia al giudice tutelare.

Qualora ne sussista la necessità il giudice tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell’infermo.

La omissione delle comunicazioni di cui al primo, quarto e quinto comma del presente articolo determina la cessazione di ogni effetto del provvedimento e configura, salvo che non sussistano gli estremi di un delitto più grave, il reato di omissione di atti di ufficio.

Chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare. Entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla scadenza del termine di cui al secondo comma del presente articolo, il sindaco può proporre analogo ricorso avverso la mancata convalida del provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio.

Nel processo davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore e farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato. Il ricorso può essere presentato al tribunale mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

Il presidente del tribunale fissa l’udienza di comparizione delle parti con decreto in calce al ricorso che, a cura del cancelliere, è notificato alle parti nonchè al pubblico ministero.

Il presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l’udienza di comparizione.

Sulla richiesta di sospensiva il presidente del tribunale provvede entro dieci giorni. Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, dopo avere assunto le informazioni e raccolto le prove disposte di ufficio o richieste dalle parti.

I ricorsi ed i successivi procedimenti sono esenti da imposta di bollo. La decisione del processo non è soggetta a registrazione.

Art. 64

(NORME TRANSITORIE PER L’ASSISTENZA PSICHIATRICA)

La regione, nell’ambito del piano sanitario regionale, disciplina il graduale superamento degli ospedali psichiatrici o neuro-psichiatrici e la diversa utilizzazione, correlativamente al loro rendersi disponibili, delle strutture esistenti e di quelle in via di completamento. La regione provvede inoltre a definire il termine entro cui dovrà cessare la temporanea deroga per cui negli ospedali psichiatrici possono essere ricoverati, sempre che ne facciano richiesta, coloro che vi sono stati ricoverati anteriormente al 16 maggio 1978 e che necessitano di trattamento psichiatrico in condizioni di degenza ospedaliera; tale deroga non potrà comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 1980.

Entro la stessa data devono improrogabilmente risolversi le convenzioni di enti pubblici con istituti di cura privati che svolgano esclusivamente attività psichiatrica.

E’ in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali, istituire negli ospedali generali divisioni o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni psichiatriche o sezioni neurologiche o neuro-psichiatriche.

La regione disciplina altresì, con riferimento alle norme di cui agli articoli 66 e 68, la destinazione alle unità sanitarie locali dei beni e del personale delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) e degli altri enti pubblici che all’atto dell’entrata in vigore della presente legge provvedono, per conto o in convenzione con le amministrazioni provinciali, al ricovero ed alla cura degli infermi di mente, nonchè la destinazione dei beni e del personale delle amministrazioni provinciali addetto ai presidi e servizi di assistenza psichiatrica e di igiene mentale. Quando tali presidi e servizi interessino più regioni, queste provvedono d’intesa.

La regione, a partire dal 1° gennaio 1979, istituisce i servizi psichiatrici di cui all’articolo 35, utilizzando il personale dei servizi psichiatrici pubblici. Nei casi in cui nel territorio provinciale non esistano strutture pubbliche psichiatriche, la regione, nell’ambito del piano sanitario regionale e al fine di costituire i presidi per la tutela della salute mentale nelle unità sanitarie locali, disciplina la destinazione del personale, che ne faccia richiesta, delle strutture psichiatriche private che all’atto dell’entrata in vigore della presente legge erogano assistenza in regime di convenzione, ed autorizza, ove necessario, l’assunzione per concorso di altro personale indispensabile al funzionamento di tali presidi.

Sino all’adozione dei piani sanitari regionali di cui al primo comma i servizi di cui al quinto comma dell’articolo 34 sono ordinati secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, al fine di garantire la continuità dell’intervento sanitario a tutela della salute mentale, e sono dotati di un numero di posti letto non superiore a 15. Sino all’adozione dei provvedimenti delegati di cui all’articolo 47 le attribuzioni in materia sanitaria del direttore, dei primari, degli aiuti e degli assistenti degli ospedali psichiatrici sono quelle stabilite, rispettivamente, dagli articoli 4 e 5 e dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128. Sino all’adozione dei piani sanitari regionali di cui al primo comma i divieti di cui all’articolo 6 del decreto-legge 8 luglio 1974, n. 264, convertito, con modificazioni, nella legge 17 agosto 1974, n. 386, sono estesi agli ospedali psichiatrici e neuro-psichiatrici dipendenti dalle IPAB o da altri enti pubblici o dalle amministrazioni provinciali. Gli eventuali concorsi continuano ad essere espletati secondo le procedure applicate da ciascun ente prima della entrata in vigore della presente legge.

Tra gli operatori sanitari di cui alla lettera i) dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, numero 616, sono compresi gli infermieri di cui all’articolo 24 del regolamento approvato con regio decreto 16 agosto 1909, n. 615. Fermo restando quanto previsto dalla lettera q) dell’articolo 6 della presente legge la regione provvede all’aggiornamento e alla riqualificazione del personale infermieristico, nella previsione del superamento degli ospedali psichiatrici ed in vista delle nuove funzioni di tale personale nel complesso dei servizi per la tutela della salute mentale delle unità sanitarie locali.

Restano in vigore le norme di cui all’articolo 7, ultimo comma, della legge 13 maggio 1978, n. 180.

Tratto da: Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n. 360 del 28 dicembre 1978