Primi appunti dalla consensus conference. Il counseling nel mondo.
PER CHI NON LO SAPESSE, il 18 Dicembre 2015 si è svolto a Roma un workshop sul counseling, primo appuntamento di quella che dovrebbe essere, negli intenti degli organizzatori, una Consensus Conference volta a chiarire meglio la presenza del counseling in Italia. L’iniziativa è stata promossa da realtà importanti del mondo accademico, ed è stata organizzata e catalizzata dal Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. Insomma, si può dire che abbia tutti i canoni di una cosa ufficiale e istituzionale, destinata a segnare un passaggio.
SOLO SU INVITO. Io ero presente come Presidente di Altrapsicologia, ed era presente un’ampia rappresentanza della psicologia: università, scuole di psicoterapia, associazioni, ordini regionali. Tutto rigorosamente su invito, e in forma abbastanza riservata. Prima regola del fight club: ‘non parlare mai del fight club‘. Non che mi piaccia far parte di club esclusivi, specialmente quando si devono prendere decisioni di portata così ampia, e quindi mi adopererò per mantenere il più ampio coinvolgimento di tutta la comunità degli psicologi, informando e creando dibattito pubblico.
PRIME IMPRESSIONI. Nella prima giornata di lavori abbiamo solo rotto il ghiaccio. Una Consensus Conference segue un proprio percorso che richiede tempo e metodo. Intanto vorrei raccogliere qui alcune riflessioni sul counseling, che saranno nella mia cassetta degli attrezzi quando parteciperò ai prossimi appuntamenti.
COUNSELING: COS’E’? Secondo la definizione della 17° divisione dell’APA, il counseling è una specialità all’interno della psicologia professionale che mantiene il focus sulla facilitazione del funzionamento personale e interpersonale lungo tutto l’arco di vita. Viene posta particolare attenzione alle variabili emozionali, sociali, di vocazione, educative, legate alla salute, allo sviluppo e relative alle organizzazioni.
Counseling Psychology is a specialty within professional psychology that maintains a focus on facilitating personal and interpersonal functioning across the life span. The specialty pays particular attention to emotional, social, vocational, educational, health-related, developmental, and organizational concerns (Society of Counseling Psychology, APA 17° Division).
Secondo la definizione dell’American Counseling Association, il counseling è un rapporto professionale che sostiene individui, famiglie e gruppi per realizzare la salute mentale, il benessere, l’istruzione, gli obiettivi di carriera.
Professional counseling is a professional relationship that empowers diverse individuals, families, and groups to accomplish mental health, wellness, education, and career goals (American Counseling Association).
UN TEMA CALDO, IN ITALIA… Il counseling è un fenomeno d’importazione, senza alcun riconoscimento giuridico in Italia. Per molti, evoca fantasmi che vanno dall’abusivismo professionale alla vendita di qualifiche inesistenti nel nostro paese. Non è colpa del counseling, che ha l’unico onere di esistere come attività specifica di sostegno alla persona in alcuni paesi anglosassoni. Semmai, il problema è che tale riconoscimento in USA e in UK è stato l’argomento con cui si è cercato di introdurlo in Italia come professione autonoma, e inevitabilmente sovrapposta a quella dello psicologo.
…E PURE ALL’ESTERO. Sgombriamo il campo da un primo equivoco: non risponde al vero che in tutti i paesi al mondo tranne che in Italia si sostengono le magnifiche sorti e progressive del counseling come professione autonoma. Che gli psicologi all’estero trattino i counselor come fratelli che hanno un ruolo complementare e fanno quel che loro non sanno fare. Non lo dico io, chiaramente: questo interessante articolo di Theodore P. Remley su Assocounseling – il riconoscimento della professione di Counseling secondo il governo degli Stati Uniti – non è esattamente una storia di fratellanza con gli psicologi.
I NODI CRITICI. Anche in vista dei prossimi appuntamenti della Consensus Conference, vorrei iniziare a tracciare una sintesi dei nodi problematici sul counseling italiano rispetto ad USA e UK. In questi paesi, il counseling è una professione. Ma questo non si può tradurre in un’automatica implementazione in Italia, per almeno 4 motivi:
(1) UK, USA e ITALIA: GEOGRAFIA DI FIGURE PROFESSIONALI. La geografia delle professioni di caring psicologico è molto varia. In USA esistono ad esempio figure, come il Social Worker o il Marriage and Family Therapist, che sono ulteriori rispetto allo Psicologo, il quale ha un posizionamento di tipo accademico e di ricerca e meno applicativo. La psicoterapia è campo appartenente a più figure professionali in USA come in UK. Nel Regno Unito, la figura di psicologo ha un riconoscimento pubblicistico e c’è una bella differenza fra psicologi chartered e gli altri. La British Psychological Society riconosce il titolo di Chartered Psychology che è riservato e rende distinguibile lo psicologo con questa particolare ‘licenza’. Ma esistono pure counsellor e psicoterapeuti, riuniti in un proprio registro pubblico governativo gestito dalla British Association of Counselling ad Psychotherapy. In definitiva, la situazione nei diversi paesi è semplicemente imparagonabile.
(2) IL PROBLEMA DELLA LAUREA E DELLA FORMAZIONE. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito per accedere a corsi di counseling devi essere almeno laureato. I corsi di Counseling sono generalmente universitari. Idem per la psicoterapia. Non c’è eccezione a questo principio, come è facilmente verificabile nei vari siti istituzionali dell’ACA, dell’APA, della BPS o della BACP o della UKCP. In Italia, basta un diploma generico di scuola superiore. Anche questo rende del tutto imparagonabile il counseling italiano con gli esempi esteri.
(3) IL TEMA DELL’ABILITAZIONE. Sia negli USA che nel Regno Unito sono previste forme di licenza per esercitare nel delicato ambito della psicologia professionale, della psicoterapia e del counseling. La deregulation totale non esiste, e non esiste un counseling totalmente gestito in forma privata (formazione, vigilanza, albo, etc.) e sottratto ad ogni regola pubblicistica come avviene in Italia.
(4) LA SALUTE. La Legge 4, che pure cerca di mettere un po’ di ordine nel disordine delle professioni non regolamentate, è un percorso non praticabile per le figure che impattano sulla salute delle persone, ed il counselor in USA e in UK è assolutamente una figura che impatta sulla salute delle persone. Un percorso di importazione si scontra inevitabilmente con la realtà normativa italiana, come ben rappresentato nella più recente delle sentenze in materia, quella del TAR Lazio di cui ho parlato in questo articolo.
Complimenti. La notizia di una Consensus Conference sul Couseling in Italia è molto confortante…ma lo è molto di più il fatto che ci sia Altrapsicologia ad evitare di perdere l’occasione per mettere dei punti fermi.
Buon lavoro
Riflessioni molto chiare: c’è però un nodo fondamentale su cui stiamo cominciando a lavorare nell’Ordine Lazio, e he voglio sottoporre alla vostra attenzione. È quello della inapplicabilità del termine “professione” (e, ovviamente, delle relative norme civilistiche) a un’attività che non solo non è regolamentata, ma soprattutto alla quale si può accedere senza avere superato un Esame di Stato. L’art. 33 della Costituzione è categorico al riguardo: per l’accesso a una professione è necessario il superamento di un Esame di Stato, e se ne deduce di conseguenza che chi non ha superato un Esame di Stato non esercita una professione, ma un’attività di altro tipo, commerciale, o artigianale o altro. Di conseguenza questo soggetto non può essere assimilato al professionista al quale la Legge impone un elevato livello di responsabilità personale nell’esecuzione dell’opera, a fronte dell’obbligazione di mezzi e non di risultati: un parrucchiere, o un falegname, o un tennista, o un musicista, sono dunque “professionisti” solo nel senso che vivono di quell’attività, e il termine “professionista” si può/deve usare solo ed esclusivamente in contrapposizione a “dilettante”. Sono dunque assimilabili al professionista in senso giuridicamente proprio, solo in senso fiscale, in quanto lavoratori autonomi: ma non lo sono nel senso che la Costituzione all’art. 33 assegna all’espressione, se pure in forma aggettivale.
La Legge 4 in questo senso contiene un tipico errore, assai frequente purtroppo nel nostro impianto normativo: usa il termine “professioni” in termini di linguaggio comune, non in termini giuridicamente corretti. Abituiamoci a non considerare e a non chiamare “professionisti” i counselor, tranne che siano psicologi iscritti ai nostri Albi e Ordini.
In margine: la Costituzione non dice che le professioni debbono essere protette da Albi e Ordini, ma solo che per l’accesso è necessario il superamento di un Esame di Stato. Ne consegue un altro equivoco, secondario, e cioè che il Ministero dello Sviluppo Economico ha sentito la necessità — sotto la forte spinta, evidentemente, di pressioni lobbystiche — di introdurre il principio di un qualche tipo di riconoscimento (indiretto, attraverso le loro Associazioni) delle attività non protette: ma non c’è alcun motivo per cui queste attività debbano essere protette, dato che non sono, appunto, “professionali”. Negli passati avevano cercato di ottenere dal Parlamento un Albo “professionale” gli attori, i pranoterapisti, i maestri di yoga, ma comprensibilmente queste richieste non hanno avuto seguito.
Come dicevo sopra, nell’Ordine Lazio ci stiamo lavorando e contiamo presto di produrre un documento in tal senso.
Buon lavoro e auguri di buon anno a tutti!
La questione dell’art. 33 della Costituzione è sicuramente un nodo critico a livello normativo, peraltro trascurato, e ringrazio Pietro Stampa per questo interessante aggiornamento.
Ciò significa che formare counsellor non è reato e neanche illecito, dunque? Infatti, non si formano “professionisti”, ma counsellor professionali (da distinguere appunto da quelli dilettanti, che sono fondamentalmente volontari con abilità di counselling….come esistono in altri paesi anglosassoni), che è effettivamente la denominazione che loro si danno. C’è poi, in Italia, il diritto di impresa, e se quindi un counsellor professionale vuole fare impresa, lo può fare. Questa dell’art.33 non mi pare una genialata. Inoltre, spulciare tra le leggi e i decreti non risolverà mai la questione, che va affrontata in termini culturali e politici.
Ottimo articolo con un solo errore al punto 3: la BACP e la UKCP non sono enti di emanazione pubblica. Sono registri pubblici gestiti privatamente con il modello accreditatorio e l’adesione a standard nazionali di qualitá nei servizi. Il fatto che sia gestita privatamente ( è una associazione) non significa deregulation, come sembra pensare lei. I titoli di counselor e psicoterapeuta in UK non sono titoli protetti dall’HCPC che invece protegge i 7 titoli di altrettante specializzazioni in psicologia. Glielo dico direttamente da Londra.
Ringrazio per il chiarimento, non è sempre facile entrare nei meccanismi UK. Io mi sono riferito a questa pagina: http://www.bacpregister.org.uk
Certo. Spesso confonde il termine “public” che non significa “pubblico” nel senso di “statale”. Come ben sa anche le scuole “pubbliche” inglesi sono private. Quelle che noi chiamiamo “scuole pubbliche” in UK sono chiamate “state school”. Il fatto che la BACP (che è una associazione libera, formata da counsellor e da psicoterapeuti, ma NON da psicologi…) abbia fatto la scelta (non obbligatoria, ma conveniente …) di farsi a sua volta accreditare da un ente statale (il quale monitora tali registri e dà loro non patenti per guidare, ma bollini di qualità…) , la dice lunga sia sull’impianto accreditatorio generale del sistema inglese. Grazie
Psychiatric help 5 cents.(The doctor is in).
Friendly advice 2 cents. (The adviser is in).
Psicologo di base 0 cents. (Lo psicologo…non ci sarà..mai).
Una tra le domande che mi pongo è:
“Se esistesse la figura dello Psicologo di base avrebbe ancora senso parlare di consueling?”
Tutte le persone che conosco quando, ad esempio, si ammalano a seguito di un virus di tipo influenzale si rivolgono esclusivamente al proprio medico di famiglia e credo che, ugualmente, non avrebbero alcuna difficoltà nell’affidarsi al proprio psicologo di fiducia (ovviamente per altri tipi di problematiche) piuttosto che ad altri soggetti le cui competenze e il cui riconoscimento non sia chiaro.
Per quel che riguarda i fondi atti a sovvenzionare il professionista di cui sopra,mi domando inoltre:”Perchè dove abito ci sono 10 medici di base invece, magari, di 8 medici e 2 psicologi?”
L’articolo è molto interessante e il tema caldissimo… scappare non serve! 😉
Negli USA esistono i “licensed counselors” che hanno un master biennale, pratico, in counseling psicologico, ottenuto dopo la laurea quadriennale, il Bachelor’s Degree. Il Bachelor non dev’essere per forza in psicologia e l’attività di counseling viene esercitata anche dai social worker, parzialmente corrispondenti agli assistenti sociali italiani, ma con area d’intervento più ampia. Poi c’è la categoria dei clinical social worker, una categoria che ha diritto di diagnosi e cura al pari dello psicologo clinico, e che in pratica esercita la psicoterapia, in quanto non c’è una vera e propria scuola di formazione in psicoterapia, la quale è compresa nel profilo clinico, sia degli psicologi sia degli assistenti sociali, oltre che naturalmente degli strapagati psichiatri. Diventare psicologo negli USA è un percorso più lungo che in Italia, infatti dopo il Bachelor è richiesto non il Master, corrispondente alla laurea magistrale italiana, ma direttamente il dottorato quadriennale, o di ricerca (PhD) o pratico (Doctor’s Degree). In pratica gli psicologi negli USA – paese di riferimento della moderna psicologia scientifica – hanno più un ruolo di ricercatori, insegnanti, dirigenti e supervisori rispetto a quello implicato nella relazione d’aiuto o in psicoterapia, quest’ultimo un concetto che lì è molto più sfumato rispetto all’Italia.
Però va notato che prima di essere riconosciuti, i counselor hanno combattuto lunghe battaglie per il riconoscimento professionale.