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Lo sappiamo: in Italia la condizione lavorativa degli Psicologi, soprattutto i giovani, è sempre più precaria ed anomala.

Tra gli Psicologi gli ultimi dati parlano di 83.000 colleghi iscritti agli ordini ma di soli 38.000 iscritti alla cassa di previdenza (1). Ciò vuol dire che meno della metà degli Psicologi lavora come tale.

Senza contare che i bassissimi redditi registrati anche tra coloro che sono iscritti all’Enpap sono scoraggianti: solo 17.614 Euro netti annui nel Nord, 12.206 nel Centro e 10.569 nel Sud Italia.

In questa situazione di restrizione del mercato del lavoro e di marginalità economica degli Psicologi è esperienza abbastanza comune che ai giovani laureati venga proposto, nelle più svariate situazioni del disastrato welfare di questo scorcio di XXI secolo, di fare gli “operatori” del sociale (come gli OSS – Operatori Socio Sanitari, la qualifica operativa subordinata che, avendo seguito un breve percorso formativo, si occupa di assistenza nel contesto socio-sanitario) aprendo però partita IVA da Psicologi.

In questi contesti può capitare che agli Psicologi vengano richieste le stesse mansioni assistenziali degli OSS (seppur a volte nobilitate e mimetizzate da più “psicologiche” funzioni di “accudimento”) con gli stessi limitati margini di autonomia (obbligo di presenza, assoggettamento gerarchico, nessuna partecipazione agli utili) senza però le garanzie che per gli stessi OSS sono previste (ossia: un contratto di lavoro a tempo indeterminato secondo gli accordi nazionali di categoria, che vuol dire pagamento della tredicesima, copertura dei periodi di malattia, ferie pagate, riconoscimento degli straordinari, eccetera, eccetera).

Nel “sociale” degli ultimi anni, sempre più coartato dai tagli, la professionalità degli Psicologi è ambita ma sempre meno riconosciuta. L’espressione massima di questa contraddizione sta proprio nella richiesta paradossale di portare nel lavoro competenze di tipo psicologico, di aprire partita IVA da Psicologo ed essere invece assoggettati a mansioni operative e ad una organizzazione del lavoro da “dipendente”, che richiederebbero ben altre garanzie contrattuali. Insomma, partite Iva che vengono usate come schermo per risparmiare sui contratti e nascondere rapporti di lavoro subordinati (2).

La speranza, nell’ultimo periodo, è stata che la Riforma Fornero del Mercato del Lavoro rendesse giustizia a queste situazioni e che, ai colleghi in queste condizioni, la nuova legge garantisse maggiori tutele. A lungo si è parlato della regolarizzazione delle “False Partite IVA” che la Fornero ha promesso all’universo dei professionisti intellettuali precari italiani.

La nuova disciplina, che in verità è alquanto lasca di garanzie con tutti i lavoratori, invece, proprio non si applica ai professionisti con partita IVA iscritti ad un Ordine Professionale (3).

Così come non si applica ai titolari di partita IVA che prestino lavoro con “competenze teoriche di grado elevato o con capacità tecniche acquisite mediante significativi percorsi esperienziali e che abbiano un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a circa 18.000 Euro (4).

Il testo della norma però, con sommo bizantinismo, precisa nel comma successivo (5) che l’iscrizione ad un albo non è «di per sé circostanza idonea a determinare l’esclusione dal campo di applicazione» della legge ma che l’esclusione opera solo se il contenuto concreto del lavoro svolto è riconducibile alle attività per le quali è richiesta l’iscrizione all’albo.

Come dire che gli iscritti agli ordini potranno continuare a lavorare come false partite IVA ma solo nel caso in cui svolgano mansioni per le quali sia indispensabile l’appartenenza ad un ordine, cioè se lavorano proprio da Psicologi: in caso contrario saranno invece soggetti alla nuova normativa.

Questa situazione apre inquietanti scenari. Nella loro declinazione più paradossale potrebbero assumere questa forma: le clausole di garanzia della legge Fornero si applicano ai counselor (che non sono iscritti ad un ordine e che spesso fanno un percorso formativo anche più breve di quello degli OSS) ma non agli Psicologi!

E nel caso dei colleghi che lavorano da “Operatori” con partita IVA da Psicologi, allora, cosa si dovrà fare? Come si fa a dire che stanno lavorando da Psicologi piuttosto che da OSS se ancora oggi – colpa dei nostri baroni – non abbiamo una definizione condivisa degli atti tipici della professione di Psicologo?

E poi: a chi giova questa riforma così decantata che accresce la confusione piuttosto che dirimerla? Che garanzia per il futuro del Paese è una norma che sostanzialmente autorizza lo sfruttamento degli intellettuali?

Felice D. Torricelli

NOTE

(1) Il Sole24Ore del 11 agosto 2012
(2) Il lavoro subordinato alle dipendenze di un’impresa si caratterizza infatti per
  • l’inserimento (fisico e funzionale) del lavoratore nell’organizzazione produttiva,
  • l’assoggettamento al potere direttivo, gerarchico e disciplinare dell’imprenditore,
  • l’esclusione dal rischio d’impresa.
Altri criteri ausiliari sono:
  • l’obbligo di rispettare un orario di lavoro e il vincolo di presenza,
  • la retribuzione fissa, anziché commisurata al risultato dell’attività svolta,
  • l’utilizzo di strumenti di lavoro messi a disposizione dall’impresa.
(http://www.inps.it/circolari/Circolare%20numero%20179%20del%208-8-1989.htm)
Purtroppo negli ultimi anni si è cercato sistematicamente di ridurre questi vincoli e gli psicologi sono stati spesso vittime della conseguente riduzione di garanzie.
(3) la norma prevede un limite fissato a 1,25 volte il minimale per i contributi di artigiani e di commercianti (18.663 euro lordi per il 2012).
(4) Legge 28.06.2012 n° 92 , G.U. 03.07.2012 Art.1 comma 26. Al capo I del titolo VII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo l’articolo 69 e’ aggiunto il seguente: «Art. 69-bis (Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo). – 1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti: a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi (1); b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a piu’ soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca piu’ dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi (2); c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente. 2. La presunzione di cui al comma 1 non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti: a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacita’ tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attivita’; b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233. 3. La presunzione di cui al comma 1 non opera altresi’ con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attivita’ professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. Alla ricognizione delle predette attivita’ si provvede con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare, in fase di prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le parti sociali. 4. La presunzione di cui al comma 1, che determina l’integrale applicazione della disciplina di cui al presente capo, ivi compresa la disposizione dell’articolo 69, comma 1, si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette disposizioni si applicano decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. 5. Quando la prestazione lavorativa di cui al comma 1 si configura come collaborazione coordinata e continuativa, gli oneri contributivi derivanti dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’INPS ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono a carico per due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, il quale, nel caso in cui la legge gli imponga l’assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, ha il relativo diritto di rivalsa nei confronti del committente».
(5) Legge 28.06.2012 n° 92 , G.U. 03.07.2012 Art.1 comma 27. La disposizione concernente le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali e’ necessaria l’iscrizione in albi professionali, di cui al primo periodo del comma 3 dell’articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’esclusione dal campo di applicazione del capo I del titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attivita’ professionali intellettuali per l’esercizio delle quali e’ necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non e’ circostanza idonea di per se’ a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII.