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Un ordinario caso di esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta. Ma l’imputata [e il suo consulente tecnico di parte] dichiarano che l’attività svolta è psicanalisi, sostenendo che non sia annoverabile fra le psicoterapie. Il giudice condanna, ed accompagna la sentenza a considerazioni più generali sulla psicanalisi.

La singolarità dei fatti non sta nella qualifica della protagonista. Una condotta come quella adottata dall’imputata sarebbe esecrabile in qualsiasi attività professionale, non solo nello studio di uno psicologo, di uno psicanalista, o di sedicenti tali. La signora ha infatti venduto sandali per stivali, non chiarendo adeguatamente con la propria cliente quel che le stava vendendo. Questo per due anni. La cliente, ritenendosi imbrogliata, ha chiesto indietro le parcelle rivolgendosi al giudice.

Questo è quanto, in merito al caso. Si sarebbe potuta chiamare truffa, ma dato che l’oggetto del contendere è attività regolamentata, e che l’Italia è un paese garantista, il fatto è stato declassato ad esercizio abusivo di professione.

La singolarità sta nel fatto che il giudice non si è limitato a valutare il caso specifico, ma ha ritenuto di ampliarsi al tema della psicanalisi, e di chiarire nero su bianco nella sentenza anche gli aspetti relativi al rapporto d’inclusione o esclusione della psicanalisi nelle psicoterapie, intese come attività regolamentata dalla legge italiana.

Perché il giudice abbia sentito il bisogno di compiere tale operazione per me è un mistero, dal momento che il giudice normalmente giudica fatti specifici oggetto della contesa. Posso solo ipotizzare che alla base di questo comportamento vi siano ragioni contingenti al processo.

Vuoi mettere che l’imputata, vista nella necessità di difendersi in qualche modo, abbia adottato come linea di difesa quella di chiamare sé stessa psicanalista, in questo modo pensando di sottrarsi almeno parzialmente alle maglie della giustizia? Chi abbia suggerito tale via d’uscita resta un mistero.

Forse l’imputata stessa, per autentica fede nella laicità della psicanalisi, esercitando nella propria difesa in sede giudiziaria anche un’azione di lotta civile per l’affermazione della psicanalisi laica. Allora si tratterebbe della nobile lotta dell’individuo contro leggi che considera sbagliate.

Ma per la sfiducia che nutro nell’idea che oggi si possa agire per ideali nobili e romantici, ho anche pensato a ragioni più prosaiche. Metti il caso che la scappatoia della psicanalisi laica sia stata suggerita in qualche modo. Da chi, non sappiamo. Metti che si volesse approfittare di un dibattito culturale e scientifico che dura da quasi cent’anni, che ha una storia ben più lunga del nostro breve ventennio di esistenza regolamentata. Metti pure che ci fossero nobili intenzioni nell’infilare questa questione della psicanalisi laica all’interno di un processo.

Io però resto convinto di una cosa: da una parte ci sono i comportamenti individuali che vanno letti necessariamente alla luce della legge. In questo caso, il comportamento era certamente in contrasto con le norme che impongono a qualunque professionista di essere chiaro nel contratto.

Dall’altra parte ci sono i dibattiti culturali e scientifici, che fortunatamente esulano dalle leggi e dagli ordinamenti dei singoli paesi per elevarsi al rango di dibattiti indipendenti e sovranazionali.

Sono chiaramente consapevole del fatto che questa idea di scienza è un’astrazione, perché nei fatti anche il progresso della conoscenza dipende da fattori molto contingenti. Per dirla alla Feyerabend, la scienza dipende molto anche dalla vita sessuale dei ricercatori. Ma questo non toglie che il dibattito sulla laicità della psicanalisi, ovvero sulla sua autonomia rispetto a tutte le pratiche mediche, religiose o terapeutiche, sia un dibattito aperto, fertile, di lunga tradizione, dai temi certamente di interesse per chiunque voglia svolgere una delle attività di cui sopra.

Il dibattito sulla psicanalisi laica, lo dico da professionista molto critico rispetto ad alcune posizioni teoriche di matrice analitica, è un dibattito nobile, che deve trovare il proprio naturale alveo nella comunità scientifica, e non nelle aule di tribunale.

Ne ho viste di tutti i colori in questi ultimi mesi: sentenze, avvertimenti, storie di diffamazioni varie. A me non pare che questo renda giustizia della nobiltà dell’argomento, della sua storia e della sua tradizione. Purtroppo, chi oggi dichiara di ispirarsi alla teoria psicanalitica spesso non conosce nemmeno l’esistenza di questo dibattito, mentre conosce a menadito l’evidence based medicine. E si sente pure in colpa, di essere poco evidence based.

Io non sono molto evidence based. Seguendo quotidianamente i mercati finanziari ho imparato che ogni previsione basata sui casi passati è pura illusione. In questo sono confortato dalla fisica teorica, che ha abbandonato l’idea di confermare le ipotesi attraverso la collezione di casi a conferma sin dagli anni ’20. Assisto impotente alla psicologia contemporanea, che sta ricalcando con incredibile cecità dei sentieri che gli altri hanno percorso e superato cent’anni fa.

E non sono per nulla psicanalista. Ma credo che la psicanalisi potrebbe aiutare, a patto di non ridurla alle ruspanti diatribe sulle pseudopreofessioni. Tutto quel corredo di varie amenità e professioni inventate, di cui esiste un ampio catalogo su LinkedIN, non c’entra nulla con la psicanalisi.

Qui non stiamo parlando di parrucchiere e macellai che si inventano di essere fattucchiere, consulenti esistenziali, supporter emotivi, psicomotivatori, astrocounsellor, supercoach, biopsicoteologi, paratecnologi relazionali e compagnia cantante.

Non stiamo parlando di pseudo-professioni nate ieri nel parto di menti fervide e fantasiose, perlopiù inoccupate o insoddisfatte del proprio occuparsi, desiderose di occuparsi del prossimo per evitare di occuparsi di se stesse, convinte che basti battezzare qualcosa per portarlo alla luce e renderlo esistente e fruttuoso.

Qui stiamo parlando della psicanalisi laica, un tema dal profumo antico, da gustare come un millesimato d’annata, come un buon romanzo ottocentesco. Non stiamo parlando delle sottilette da mettere nei toast all’ultimo momento, ma di una produzione curata, nobile, di pregio e tradizione. Stiamo parlando di qualcosa che è stato fondativo del resto delle teorie psicologiche.

Da tutto questo, la mia arringa finale: quando si parla di esercizio abusivo della professione di psicologo, che si distingua la pula dal grano.