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Una tromba d’aria sull’Ilva durante i giorni del conflitto tra magistratura e governo per la risoluzione dei decennali crimini che gravano sulla popolazione tarantina, non è certamente una semplice coincidenza.

Non temete per me, non ho un delirio in corso. Dopo molti anni di frequentazione del pensiero delirante, dei suoi nessi incongrui, le estrapolazioni ed interpolazioni tra fatti indipendenti, le sovrainterpretazioni della realtà, non corro questo pericolo, e questa mia affermazione non vuole avere alcun valore scientifico, ma solo mitografico.
Fatta salva la mia salute mentale (forse), il mio pensiero è andato immediatamente, grazie ai miei sopiti studi classici, all’episodio di Laocoonte narrato nell’Eneide. Egli, sacerdote troiano di Apollo, si scagliò violentemente contro l’introduzione nelle mura della città di Troia del noto cavallo di legno che gli Achei avevano costruito e lasciato sulla spiaggia fingendo di abbandonare l’assedio. Ecco cosa dice il veggente secondo la versione di Virgilio:

“O miseri, di che natura è questa così grande follia, cittadini? Credete partiti i nemici? O ritenete [forse] che qualche dono dei Danai manchi di inganni? È così noto Ulisse? O gli Achei si celano dentro al legno, oppure questa macchina da guerra è stata fabbricata contro i nostri muri, per spiare le case e per essere sopra la città, oppure c’è qualche altro inganno; non credete al cavallo, oh Teucri. Qualunque cosa sia, temo i Danai anche se portano doni.”. Æneïs (II, 40-56)

Laocoonte a seguito di questa presa di posizione che rischiava di mandare all’aria il progetto di Ulisse e soci, di lì a poco fa una brutta fine. Durante un sacrificio, ad un certo punto dal mare vengono fuori due enormi serpenti (mandati da Atena) che avviluppano e stritolano i suoi due bambini gemelli e lui stesso assieme a loro accorso nel tentativo di salvarli. Vengono tutti orrendamente trascinati nel mare. I troiani interpretano (male) questo come un segno della volontà divina di accettare il dono. Poi si sa come va a finire…

Le analogie tra le vicende narrate dalla mitologia e quelle dell’attualità riguardanti la città di Taranto sono impressionanti, tanto da pensare al mito come ad una struttura narrativa ricorsiva (anche nella storia) che rimanda a sua volta a precise ricorsività. In questo caso la storia che si ripete è quella di un grande inganno sostenuto da forzature legate ad interessi generali che travolgono quelli locali.

Vediamo nel dettaglio:

Ciò che non vi ho ancora detto è che non sono un osservatore neutrale, sono nato a Taranto e vi ho vissuto i miei primi 18 anni, proprio nel famigerato e miasmatico rione Tamburi, poi mi sono trasferito per studiare a Roma e vi sono rimasto. Voglio dire: conosco abbastanza lo spirito dei luoghi di cui parlo.
Taranto è città antica, greca, cara a Dioniso, dove la cultura popolare è intrisa di un fatalismo imparentato con il senso tragico della vita che riserva a chi è abituato da sempre a subire (da Pirro in poi). C’è qualcosa di dignitoso in questo fatalismo che è anche resilienza, che raramente ho visto altrove, e che emerge da tutte le interviste che si osservano in tv ad operai e cittadini tarantini. Naturalmente l’altro lato della medaglia, quello oscuro, di questo fatalismo è la passività e l’omertà che da sempre caratterizzano mentalità e istituzioni locali.

È proprio qui che, non a caso, è nato l’ecomostro che parassita la comunità locale in cambio di lavoro e PIL da 50 anni. Ma senza produrre una vera ricchezza, una vera crescita civile e culturale. Taranto è una ultraperiferia del peggiore tardocapitalismo, una Bhopal nata nel silenzio generale nei confini nazionali.
Alcuni magistrati vorrebbero cambiare questa tristissima storia e risollevare la testa (e permettere alla loro comunità di fare altrettanto), ma si trovano di fronte a forze “soprannaturali”, detto in altri termini, a ostacoli storici talmente sedimentati che quella tromba d’aria, come ha giustamente detto un operaio da Santoro, con il tempismo con il quale è sopraggiunta è da intendersi come una metafora.
Ma questa volta il segno andrebbe interpretato correttamente e non come fecero erroneamente e tragicamente i troiani.