Cosa fa uno psicologo? Quali attività sono riservate? Quali sono i confini della professione, e cosa c’è oltre questi limiti?
E’ da oltre 20 anni che la comunità di psicologi e psicologhe si interroga sui temi fondanti della professione.
Finora, in quella zona grigia indeterminata in cui le funzioni e attività dello psicologo non sono pienamente esplicitate, altre figure non regolamentate hanno proliferato, counselor e coach in testa.
Oggi i tre ordini regionali governati da AltraPsicologia (Lazio, Piemonte e Marche) e l’ENPAP hanno deciso di fare chiarezza.
Con il primo Expert Meeting sul tema più “caldo” di questi anni, il confine tra semplice dialogo e sostegno psicologico.
Primi in Italia esprimeranno una posizione realmente rappresentativa della posizione degli psicologi italiani che dia sostanza a queste domande escatologiche e inserisca un importante tassello nell’interpretazione della legge che istituisce la professione di psicologo.
Come? Semplice.
I giuristi ci insegnano che la legge 56, quando all’art. 1 parla di “strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno” definisce una tipica norma “in bianco”, in cui gli atti riservati sono definiti da norme successive, dalla giurisprudenza e dalla consuetudine.
Ad esempio la legge definisce il campo del “sostegno” ma finché questo non è definito è perfino troppo facile glissare sul doveroso chiarimento e distinzione di questo da altre attività come quella del “counselor”.
E il tema non è solo puramente teorico, astratto: in questo contesto di confusione si sono combattute aspre battaglie legali, confronti e scontri anche all’interno della stessa comunità professionale tra chi forma counselor e chi vorrebbe invece che si rispettasse una volta per tutte l’esistenza di alcuni atti professionali tipici dello psicologo da tenere riservati.
Ovviamente occorrerà definire molto seriamente i passaggi già fatti nel nostro Paese su questo punto a livello sia scientifico che giurisprudenziale, e analizzare lo scenario delle professioni in Italia.
Lo si farà con uno studio e discussione approfonditi che coinvolge tre piani:
- ll comitato promotore, composto da 5 colleghi tra cui i 3 presidenti degli ordini coinvolti.
- Il comitato dei saggi composto da 4 colleghi senior con competenza e conoscenza della professione elevata e ben nota.
- Il panel di esperti, quasi una trentina, che operano in settori diversi.
Gli step di questo Expert Meeting, dopo un’accurata progettazione e programmazione delle varie fasi, sono stati questi.
Il comitato promotore ha scelto il comitato dei saggi con un’accurata analisi dei profili proposti considerando anzianità, expertise nel proprio campo di intervento, visione della professione e capacità di valutarla a tutto tondo.
A sua volta il comitato dei saggi ha lavorato sulla definizione di alcune domande che saranno rivolte agli esperti e che permetteranno di delineare gli elementi trasversali della professione di psicologo nei vari contesti di appartenenza e lavoro che consentiranno, in una fase successiva, di operazionalizzare in modo più concreto di ora l’articolo 1 della legge istitutiva.
Per la prima volta un lavoro unico nel suo genere, di certo impegnativo e approfondito che ci permetterà – finalmente – di fare luce e dire una parola chiara sulle attività specifiche per psicologi e psicologhe sgombrando il campo da wannabepsicologo che ci circondano e si moltiplicano in tutte le salse, con grave danno per i pazienti che oggi sono -paradossalmente- meno tutelati che mai.
Paola Biondi
Mauro Grimoldi
Gentilissimi, solo una considerazione che spero possa essere utile…
la legge 56, all’art. 1 parla di “strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno… in ambito psicologico”.
Al di fuori di tale ambito il problema non si pone, pertanto sarebbe opportuno che gli psicologi, che più di tutti ne hanno la competenza, lo definissero e lo circoscrivessero (con la consapevolezza e l’onestà che non può rientrarvi tutto ciò che riguarda la natura umana e l’esistenza), ciò, a mio avviso, gioverebbe sicuramente alla categoria in primis e, a cascata, all’intero mondo delle relazioni d’aiuto (sia per chi ci lavora che per chi ne usufruisce).
Due cose. La prima. Penso che quella volta il legislatore non abbia specificato ulteriormente le “riserve” proprio perchè consapevole che il “di fuori” e il “dentro” tale ambito non sia mai chiaramente definibile. Se non a rischio di creare riserve “ideologiche”. La seconda. Ma non avete istituito giá la Consensus Conference su questo? Dagli articoli comprendo che lí dentro siete in minoranza, ma non è istituendo una consensus “ombra” che risolvete il conflitto tra voi e altre componenti della psicologia italiana. È dialogando e discutendo. Se ciò non è vero, e questo post è un commento “personale” di MG io comprendo che non avete una linea chiara e comune sulla questione (il che non è un bel segnale) e che chiunque tra di voi può far passare la propria; se invece è la linea di AP questo significa che vi ponete in conflitto con il CNOP e la consensus. A me è chiara l’interpretazione di Grimoldi e di Biondi. Se invece AP pensa di averne un’altra, la dica e la scriva qui. Se, inoltre, ritenete che la Consensus sia per coi ‘incontrollabile’ nei suoi esiti (nel senso che abbia esiti a voi non graditi) lanciarne una versione “altra” e maggiormente gradita ai vostri simpatizzanti, su un tema che nella formulazione proposta sul web, sembra includere quello della CC, cos’altro è questo se non un procedere populista? “Prevedo che La versione ufficiale mi vedrá certamente scontento, e quindi creo da subito l’eventuale siero che annullerá l’effetto di quell’esito”. Se siete in minoranza, e in conflitto, non è lanciando un expert meeting che sará a vostro favore (scommettiamo? Se non sará cosí vi dissocierete?) che lo risolvete. Anzi, cosí la comunitá rischia di dividersi ancora di più. Inoltre, chiedo, il risultato della vostra iniziativa, verrá utilizzato poi per delegittimare il risultato della CC, qualora questo non vi andasse bene? O, visto che di Consensus si tratta, e che vi partecipate, appoggerete apertamente qualsiasi risultato questa otterrá? Il che, in soldoni, significa anche capire se usate il consenso come metodo decisionale solo tra di voi, o lo usate anche fuori, con il resto della comunitá professionale (che è una). Soprattutto in un luogo che si chiama “consensus conference”. Altrimenti, se si inizia, da una parte o dalle altre, che ogni volta che si è in minoranza, e vi è un conflitto, a istituire un referendum popolare su questa o quella posizione, appoggiati da un istituto o un altro (Enpap, Cnop, ecc.), per sconfermare l’altro, che si percepisce come incapace, o ingiusto, o comunque di cui non si gradiscono le traiettorie politiche, allora stiamo freschi. Divisioni su divisioni. Io da AP mi aspetterei riconciliazione, non populismo.