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a cura di Armando Toscano, Francesco Garzillo, Paola Biondi

 

Il 16 ottobre 2024, il Senato italiano ha approvato una legge che rende la gestazione per altri (GPA) un reato universale, estendendo il divieto anche a chi ricorre a questa pratica all’estero. Questa decisione ha sollevato un’ondata di proteste tra accademicə, attivistə e comunità professionale, sottolineando un tema di grande rilevanza sociale e giuridica. Pensiamo alle proteste della società civile ovvero la manifestazione del 17 ottobre promossa dalla Associazione Luca Coscioni e Famiglie Arcobaleno, ma anche allo scontro istituzionale tra la ministra delle Pari opportunità e della famiglia, Eugenia Roccella, che ha affermato: “I medici sono tenuti a denunciare i casi sospetti”, ed il presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli, il quale ribatte all’esortazione della ministra: “Il nostro dovere è curare e siamo esentati dal denunciare la persona assistita”. Posizioni agli antipodi e che riflettono la durezza del dibattito dopo l’approvazione della legge.

Già regolamentata dalla Legge 40 del 2004, la GPA, definita nel testo tramite l’espressione degradante di “maternità surrogata”, è stata oggetto di controversie sin dalla sua introduzione. La legge, che ha ostacolato anche la ricerca sulle cellule staminali in Italia, non ha impedito che circa 250 coppie all’anno riuscissero a mettere su famiglia mediante questa pratica, sulla quale abbiamo già riflettuto in passato .

L’approvazione della nuova normativa rappresenta un tentativo del Governo italiano di limitare questa opportunità, estendendo il reato anche a chi ha avuto figli tramite GPA altrove. Tuttavia, questa soluzione appare fittizia e presenta diverse problematiche, che esploreremo di seguito.

La forzatura normativa

La nuova legge italiana, che dichiara la gestazione per altri un reato perseguibile ovunque, solleva questioni sulla sua applicabilità. In particolare, vi è un conflitto con il principio della doppia incriminazione, che prevede che un atto sia illegale in entrambi i Paesi coinvolti per poter procedere penalmente. La legge italiana si scontra quindi con la realtà che in altri Paesi la GPA è legale, creando complicazioni giuridiche e limitando la cooperazione internazionale. Inoltre, raccogliere prove e ottenere supporto da Paesi dove questa pratica è consentita risulta difficile. La legge sembra pertanto molto limitata nella sua applicabilità.

Il dibattito bioetico

La gestazione per altri è una questione che solleva interrogativi etici profondi, sui quali il panorama bioetico si è espresso con posizioni diverse. Da un lato, c’è una visione che enfatizza l’importanza della libertà individuale e dell’autonomia delle donne. Secondo questa prospettiva, la GPA può essere vista come un atto di solidarietà tra adultə consapevoli e consenzienti, che scelgono liberamente di intraprendere questo percorso. È una posizione che sottolinea il diritto delle donne di disporre del proprio corpo e di usare la gestazione come un’espressione di altruismo, in linea con i principi del liberalismo bioetico.

Dall’altro lato, ci sono posizioni che esprimono preoccupazioni legate alla dignità umana e al rischio di sfruttamento. Queste critiche sostengono che, in un contesto di disuguaglianza economica e sociale, la GPA rischia di diventare una forma di sfruttamento delle donne meno abbienti, trasformando la gravidanza in una merce da vendere e comprare. Secondo i principi del personalismo bioetico, ogni vita umana, anche quella in formazione, non dovrebbe mai essere strumentalizzata o commercializzata, e la maternità dovrebbe rimanere un legame intrinsecamente personale e affettivo.

Queste posizioni, pur divergenti, mostrano come la GPA tocchi temi essenziali come l’autonomia e l’autodeterminazione, la solidarietà, ma anche la vulnerabilità e la dignità delle persone coinvolte, richiedendo quindi un dibattito che sia sensibile alle sfumature etiche e sociali della questione.

La stigmatizzazione delle famiglie arcobaleno

Nonostante gli sforzi per inquadrare la gestazione per altri in un dibattito complesso, il discorso pubblico e forse anche politico, ha spesso seguito le vie del senso comune, rispetto al quale i dati scientifici sembrano avere poco impatto: il fatto che il 90% delle coppie che ricorrono alla gestazione per altri sia eterosessuale non scalfisce l’immaginario che alimenta il fantasma di coppie omosessuali pronte a “comprare” figli da donne disperate, nonostante la community LGBT+ sia molto attenta al tema dello sfruttamento, tanto che la stessa associazione Famiglie Arcobaleno ha emesso delle linee guida e fa un lavoro capillare di sensibilizzazione promuovendo la GPA solidaristica. Né è sufficiente quanto la letteratura internazionale afferma da decenni in merito al benessere psicologico e al sano sviluppo di bambinə natə tramite GPA. Il discorso intorno alla questione, sembra quindi una sorta di megafono di altre paure e pregiudizi e di un atteggiamento che lascia spazio solo per chi viene considerato normale, naturale, accettabile, e tutto ciò che è minoranza (in realtà minorizzata) o varianza va confinato e irregimentato.

I diritti del nascituro

La pratica della GPA solleva questioni profonde, etiche, legali, psicologiche e sociali. Al centro di questo complesso dibattito deve esserci la voce di chi non ha ancora voce, ovvero il nascituro e il suo diritto a una vita dignitosa, e la sua identità sia sociale sia giuridica.

La psicologia perinatale, che si occupa dei processi psichici legati alla gestazione e ai primi mesi di vita del bambino, mette in evidenza come il rapporto tra madre biologica e nascituro si sviluppi in modo naturale e complesso durante la gravidanza. Numerosi studi dimostrano che già dal concepimento si instaura un dialogo emotivo e fisiologico tra la madre e il feto.

Secondo alcune ricerche  una buona relazione con i genitori sociali può minimizzare questi effetti, mentre altri mettono in guardia rispetto al rischio di un’eventuale confusione identitaria e difficoltà nell’attaccamento. Non si tratta solo di stabilire chi il bambino percepisca come “madre”, ma di assicurare che lo sviluppo della sua identità sia coerente e libero da possibili traumi precoci.

Il nascituro, nel contesto della GPA, rischia di vivere una condizione di incertezza non solo psicologica ma anche giuridica. Alcuni paesi non riconoscono legalmente i legami derivanti dal GPA, il che può tradursi in difficoltà per il bambino nel vedersi riconosciuti diritti fondamentali, come l’accesso alla cittadinanza

Dal punto di vista psicologico, l’identità giuridica di un individuo contribuisce a dare stabilità e appartenenza, due elementi fondamentali per la crescita emotiva e sociale. La mancanza di riconoscimento legale può quindi rappresentare non solo un ostacolo formale, ma un elemento di insicurezza che influisce sulla costruzione della personalità.

La nostra riflessione

Forse conviene osservare l’approvazione della legge del 16 ottobre attraverso la lente del rapporto tra la parte e il tutto, vedendola come un’espressione di dinamiche psicologiche e sociali più ampie. L’affermazione di un senso comune che prevale sul dibattito riflessivo, soprattutto quando si tratta di diritti di gruppi minorizzati vulnerabili – come lə natə da GPA e le persone e coppie che affrontano sfide nella procreazione – riflette un sintomo preoccupante. Non è solo una questione di politica, ma di salute psicologica collettiva: quando il confronto aperto e complesso cede il passo a semplificazioni rigide e polarizzate, emergono segnali di una società in difficoltà.

Come psicologə, siamo chiamatə a leggere la realtà nei suoi aspetti più complessi e ambivalenti. Cambiamenti e instabilità fanno parte della vita, ma l’incapacità di tollerare la complessità e il dialogo riflette un indebolimento del pensiero critico e della capacità di contenere le complesse vicissitudini emozionali della vita. Le visioni unilaterali del mondo, della natura e della società non favoriscono lo sviluppo di una psiche resiliente e adattiva.

In questo contesto, non è tanto l’indignazione a emergere, quanto una profonda preoccupazione per il benessere futuro. Se la capacità di prendersi cura delle diversità e dei bisogni individuali è fondamentale per una società in salute, allora la crescente disattenzione verso i diritti dei gruppi minorizzati indica una frattura profonda nella nostra capacità collettiva di empatia e cura. Quale impatto avrà questa legislazione sulla salute psicologica delle generazioni future?

È giunto il momento di riflettere su queste domande e impegnarci in un dibattito aperto e inclusivo.