L’attentato in Francia e la legge sulla diffamazione in Italia.
L’attentato alla redazione francese di Charlie Hebdo si può leggere in due modi: (1) c’è chi ha visto in questo efferato attentato l’espressione di un’invasione violenta di certa cultura islamica, ma io ci credo poco. (2) E c’è chi ci ha visto prima di tutto un attacco al simbolo per antonomasia della libertà di espressione: il giornale satirico che non ha mai risparmiato niente e nessuno, nemmeno le religioni [TUTTE, GUARDA QUI].
Charlie Hebdo non è solo una pubblicazione satirica: è la satira portata all’estremo, quella che non risparmia nessuno. Che rivela la nudità del re, chiunque sia. Charlie Hebdo è la satira che nessuno ha il coraggio di fare, e per questo è la più potente e informativa, perché con i suoi accostamenti – eccessivi finché si vuole – crea punti di vista impensabili, eppure così concretamente veri, materici.
I terroristi non hanno colpito i luoghi dell’economia o della politica francese, o i simboli religiosi. Hanno invece colpito un giornale satirico, rivelando di cosa hanno paura: della libertà di dire qualcosa sui fatti del mondo.
La politica italiana non ha risparmiato interventi appassionati sulla libertà di espressione.
Ma non è necessario entrare in una redazione e sparare sui giornalisti per chiudergli la bocca. Ci sono modi più civili, che in realtà sono solo più puliti ma ottengono il medesimo effetto di intimorire chi informa, rendendo poco conveniente farlo.
E intanto sta lavorando ad una Legge-bavaglio.
Una nuova Legge in tema di diffamazione a mezzo stampa che rischia di rendere il lavoro di chiudere la bocca alla gente che fa informazione molto più facile.
COSA PREVEDE LA NUOVA LEGGE?
Intanto, che il carcere per i giornalisti non ci sarà più [perché, davvero esisteva ancora?] e sarà sostituito da una pena pecuniaria fino a 50.000 euro per casi più gravi. Che aggiunti alle spese legali e all’eventuale risarcimento danni, farebbero una cifra consistente.
Per farla breve, un precario o free-lance potrebbero uscirne soltanto pagando decine di migliaia di euro, cifre insostenibili per il singolo. Tanto varrebbe essere condannati a pena detentiva e convertirla in firme dai carabinieri o pene alternative con attività sociali, e poter continuare ad informare.
Ancora, l’obbligo di pubblicare rettifiche gratuitamente, senza commento e su mera richiesta dell’interessato. Una sorta di ‘rubrica fissa delle rettifiche’ ad uso e consumo di qualunque rivendicazione, senza possibilità di risposta. Con l’unico vantaggio di ottenere clemenza in sede penale.
Pare evidente che gli estensori del DDL non hanno alcuna idea di come funziona l’informazione online oggi: ogni articolo pubblicato online viene commentato, diffuso, affossato, criticato, apprezzato, citato, modificato. Soprattutto, chiunque – quindi anche chi viene citato – ha ogni possibilità di risposta e può intervenire per chiarire, contraddire, incazzarsi. Impedire commenti e risposte alle rettifiche suona assurdo: basterebbe commentare su un altro blog, con un altro account, sui social.
E nonostante questo, ritengo che le rettifiche siano una delle cose più utili per chi fa informazione: permettono di aggiungere informazione nuova, sia fatti che dati personologici dei soggetti che rettificano perché poi ciascuno si presenta con la giacca che ha, e certe rettifiche parlano più di qualunque altra cosa.
E dopo 10 anni di informazione dal sito di Altrapsicologia, dopo minacce e lettere di avvocati e azioni legali e reazioni scandalizzate di questo o quel collega che non regge il minimo sindacale del confronto pubblico e democratico, sono sempre più persuaso che la libertà di creare dibattito è il bene più importante che abbiamo.
Un confronto non è necessariamente gentile: Gesù ai mercanti nel tempio gli ha ribaltato i banchetti a calci come forma di espressione del suo punto di vista. E se qualche anima sensibile si sarà sentita offesa, beh: pazienza.
Penso e mi chiedo: ma la satira x essere tale può proprio xmettersi di tutto?
Credo fermamente nella democrazia,credo nella libertà ma credo anche nel rispetto e non so dire se la satira non potrebbe esprimersi con totale libertà di pensiero rinunciando ad un po’ di “libertà della parola”.
Sarebbe forse monca, castrata se non desse libero sfogo alle offese e al buon gusto?
E’ davvero impossibile dire tutto di tutti senza essere prepotentemente oltraggiosi?
Ma non è già questa una forma di violenza?