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Dei bisogni e dei desideri di psicologia

Di Mauro Grimoldi

Cari colleghi e amici, sono veramente fiero di essere qui oggi. Vorrei anche aggiungere che se le circostanze non avessero preso il sopravvento non mi sarei facilmente immaginato che tra le esperienze da ricordare in una vita avrei avuto anche quella, oggi, di essere qui con così tanti di voi.

Potrei usare molte metafore per spiegare le ragioni per cui un giovane psicologo sente l’esigenza di comunicare e di rappresentare un’esigenza che pare dimenticata.

Ma non voglio generare quella noia che è ignoranza dei propri desideri, proprio oggi che finalmente ci siamo alzati e siamo venuti qui a dire, e a dirlo con forza che, no, non ci siamo dimenticati, non abbiamo più nessuna intenzione di fingere di essere senza memoria e desiderio, perché oggi siamo tanti e abbiamo deciso di tenere gli occhi aperti. Aperti sulle insidie che vengono dall’esterno e anche su quelle che vengono dall’interno della professione.

Tutto anzitutto per la tutela di chi deve essere al centro di ogni riflessione, anche corporativa: non noi, ma i nostri pazienti e la loro salute, insieme a quella di chi li cura. Non possiamo pretendere di erogare benessere nelle condizioni in cui siamo.

Lo hanno detto tutti, oggi: non siamo qui solo per la psicologia clinica ai medici, questa è solo l’ultima goccia, l’ultimo orrore legislativo ai danni della professione.

Non voglio però parlare io, ma brevissimi spunti che sono arrivati dalle mail che stiamo ricevendo in quantità:

Mi chiamo Fabio, ho 35 anni da quasi dieci sono impiegato, credevo provvisoriamente, in un ufficio pubblico. Quando ho iniziato questo lavoro ero studente  in Psicologia; ho poi svolto il mio tirocinio con sacrifici e mi sono abilitato.

Ho anche avuto la possibilità, rara rispetto ad altri, di introdurmi da subito nel settore della psicologia scolastica con incarichi interessanti.

Senza dubbi ho chiesto il part-time al mio ufficio e mi sono gettato anima e corpo nel lavoro di psicologo. Ho letteralmente lavorato giorno e notte per un anno e oltre, dividendomi tra scuola, lavoro, tirocinio psicoterapeutico.

Peccato poi scoprire che, considerando le tasse, l’Enpap e il commercialista, se avessi continuato a fare l’impiegato mi sarebbe nettamente convenuto. E senza contare la scuola, che pago con un mutuo stipulato apposta; se considero anche questo costo vado quasi sottozero.

Ma che mestiere è questo, che vita è? Lo psicologo è riservato ad un’unica classe sociale, quella di chi può permettersi di farsi mantenere per sempre? Non posso continuare così, penso di tornare a fare l’impiegato.   

Fabio

Buongiorno,
mi chiamo Monica e ho deciso di scrivervi dopo avere attentamente letto il vostro giornale e dopo avere visitato il sito. Sono una collega (psicologa, quasi psicoterapeuta) che rischia di chiudere l’attivita’ dopo solo 4 anni dall’inizio.
Il tracollo, e’ paradossale dirlo, ma cosi’ e’ stato, è causato principalmente dalle cifre assurde che l’enpap mi ha chiesto. Quest’anno ho guadagnato 2.500 euro (non mi vergogno a dirlo, perche’ anche se pochi me li sono sudati) e l’enpap mi ha chiesto un anticipo per l’anno prossimo di 1.020 euro……Lascio che le cifre si commentino da sole.
Se proprio devo mollare, lo faro’ cercando di lasciare qualcosa di buono in questo disastro.

Un saluto e un di grazie di cuore per quello che già state facendo.
Monica

C’è di che indignarsi. E di che essere orgogliosi per quello che stiamo facendo oggi: questa non è una manifestazione , stiamo facendo qualcosa di grande. Io se sono qui so che è per qualcosa che ha molto a che fare con Monica, con i problemi reali degli psicologi in carne e ossa.
A volte sembra difficile se non impossibile. Eppure è solo un decreto legge insensato quello che impedisce agli psicologi di accedere ai concorsi riservandoli, chissà poi perchè, agli specializzati, agli psicoterapeuti  o chissà quale altra categoria specifica.
Quando sembra che la formazione di qualità offerta dalle scuole debba per forza costare gli attuali 3/400 euro minimi all’ora, fermiamoci a pensare quanto ciascuno di noi contribuisce a questo sistema, che è sbagliato e poco etico. Siamo finora stati bravissimi a spennarci tra noi, senza nemmeno bisogno che venissero i medici a rompere uova in panieri già vuoti.

Da qui le parole chiave che devono risuonare, alte e forti da questo incontro e spero sinceramente da tutti i gruppi qui riuniti: etica e solidarietà.

Etica nella gestione dei rapporti tra maestri e discepoli, tra insegnanti e studenti, terapeuti e pazienti.

E, finalmente, solidarietà tra tutta la categoria, per, insieme, proclamare insieme la necessità di aprire le porte del lavoro pubblico e le nuove strade del privato. Il mondo ha bisogno di psicologi e di salute psichica. Al tempo stesso, però, la realtà sociale è cambiata e noi ci dobbiamo adeguare. 

Gli psicologi sono così tanti che tra breve il rapporto terapeuta/paziente potrà essere di uno ad uno. Allora finalmente e paradossalmente avremo risolto la questione, e lanceremo la campagna: adotta uno psicologo, chiarendo così definitivamente la questione del setting.

Già adesso con una quindicina di euro all’ora fior di colleghi sono impegnati in varie aree della vita professionale, quindi non siamo lontani dai costi delle adozioni a distanza.