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Dopo l’articolo di marzo in cui vi ho parlato della situazione di grave precariato e mancanza di tutele che vivono i consulenti delle ASL, ho deciso di incontrare direttamente alcuni di loro, in particolare quelli che hanno scelto di fare ricorso alla giustizia per far valere i propri diritti.

L’intento è sia scoprire attraverso la loro esperienza diretta come vivono la situazione di lavoratori precari, sia sfatare un mito: forse essere un consulente ASL con un contratto libero professionale (con partita IVA, per intenderci) non è proprio una condizione così felice come si potrebbe pensare.

L’idea, spesso diffusa, che il “porto sicuro” per gli psicologi sia lavorare presso gli enti pubblici, è in quest’epoca di crisi ancor più errata che negli anni passati.

 

Ecco quel che è emerso dall’intervista con sette colleghi:

 

Potete presentarvi brevemente? Siete psicologi? Psicoterapeuti? Avete qualche master o dottorato?

“Alcuni di noi sono psicologi, altri psicoterapeuti con orientamenti clinici diversi. Siamo professionisti tra i 40 e i 50 anni, di comprovata esperienza lavorativa e professionale. Ognuno di noi ha un curriculum formativo specifico, legato all’ambito di lavoro in ASL: negli anni abbiamo approfondito aree tematiche connesse alla nostra attività lavorativa, sia su nostra iniziativa, sia partecipando a seminari e corsi proposti dalla ASL stessa”.

 

Qual è la situazione attuale di voi psicologi nella ASL in cui lavorate? Da quanto tempo vi lavorate?

“Tutti lavoriamo per la ASL da oltre 12 anni, ma qualche collega anche da 18, con un monte ore settimanale dalle 18 alle 22 ore. In alcuni periodi alcuni di noi hanno lavorato anche 30 ore settimanali. I nostri contratti sono stati rinnovati di anno in anno, con continuità, sempre alle stesse condizioni, anche economiche.

Il nostro stipendio non è aumentato dal primo contratto ad oggi e non sono previste rivalutazioni.

Non sono consulenze strapagate, annualmente percepiamo dai 20.000 ai 25.000 euro lordi (a seconda delle ore e delle settimane lavorative nell’anno) , e come è noto ai possessori di partiva iva, una buona percentuale (la metà circa) se ne va in tasse, cassa di previdenza e assicurazione.

Non abbiamo alcuna tutela sociale, alcun diritto. Le ferie, la malattia, la maternità non sono pagate, né ci è assicurato il mantenimento del posto di lavoro. Non godiamo di premi di produzione né di trattamento di fine rapporto, se veniamo lasciati a casa (e purtroppo ad un collega è successo), non abbiamo accesso ai sussidi per disoccupazione.

Insomma non abbiamo alcun diritto, anche se svolgiamo esattamente le stesse mansioni dei colleghi dipendenti e convenzionati a tempo indeterminato”.

 

Quali sono le vostre aspettative?

“A livello personale, ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con le relative tutele sociali. Uscire da questa situazione di precariato per vivere più serenamente la prospettiva del futuro. Per fare un esempio, personalmente vivo con preoccupazione l’idea di potermi ammalare, e di essere obbligata a casa per un lungo periodo. Come farebbe la mia famiglia senza il mio stipendio?

A livello più generale, portare all’attenzione di tutti l’anomala situazione che viviamo, sperando che la lotta si allarghi sempre più e di ottenere interesse a livello politico perché situazioni simili trovino attenzione (e soluzione) politica”.

 

Su cosa si fondano le difese della dirigenza?

“Sostengono di non avere la possibilità di farci un contratto diverso da quello di consulenza e che comunque quello che ci offrono è del tutto legale”.

 

Quali sono stati gli errori più significativi fatti dall’organo che sentite avrebbe dovuto tutelare e promuovere i vostri diritti nel sistema pubblico? Potete indicare quale ritenete sia questo organo?

“Non possiamo indicare errori perché a nostro parere i sindacati e l’ordine degli psicologi semplicemente non si sono impegnati a sostenerci in maniera attiva e significativa, non hanno preso posizioni definite e non hanno proposto iniziative a nostro sostegno. Abbiamo informato tutti gli ordini italiani e l’ordine nazionale (CNOP) ma la stragrande maggioranza non ha (almeno fino ad ora) nemmeno risposto.

Da questo punto di vista ci siamo sentiti piuttosto soli.

 

Questo stato di precarietà che effetti ha su di voi come persone e sul servizio per il quale lavorate?

“Ogni anno, alla scadenza del contratto, ci sentiamo inquieti ed incerti sul nostro futuro lavorativo. Negli ultimi due anni, inoltre, le consulenze non sono state rinnovate automaticamente come era in passato, ma tramite bando di avviso pubblico. La nostra capacità di lavorare nei servizi che conosciamo palmo per palmo è valutata attraverso il curriculum e un quarto d’ora di colloquio. Ma la ASL ci conosce tutti da 12 anni e se fosse stata insoddisfatta del nostro operato avrebbe potuto non rinnovarci al primo o al secondo anno di lavoro. Non rinnovare dopo oltre 10 anni, che senso ha?

Per quanto riguarda i servizi per cui lavoriamo, alla scadenza del contratto rimane una zona d’ombra in cui a nessuno è chiarito come procedere nei progetti e nelle prese in carico delle persone e famiglie. Noi abbiamo sempre lavorato con continuità, ma la possibilità che le persone per le quali lavoriamo non ritrovino il loro psicologo dopo la scadenza del contratto è reale.

E quest’anno è successo, poiché alcuni colleghi non sono stati rinnovati” .

 

La testimonianza di questi colleghi ci fa riflettere su quanto, ancora oggi, la nostra professione sia scarsamente tutelata e di quanto la cura e il benessere della persona, aree di competenza dello psicologo, non siano adeguatamente prese in considerazione nel pubblico e nel sociale.

Nel prossimo articolo vedremo più nel dettaglio, con tanto di documenti ufficiali, l’iter legale della causa che è stata intrapresa dai miei intervistati.

Alcuni dei quali hanno anche perso il proprio posto di lavoro..