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Che gli Psicologi siano tanti, troppi, è un dato ormai innegabile. Che lo Stato Sociale italiano ricorra alla professionalità degli Psicologi in misura assolutamente marginale rispetto al bisogno e all’opportunità è altrettanto inconfutabile.

Negli ultimi tempi si è avuto notizia di diverse iniziative, più o meno strutturate e più o meno sensate, finalizzate ad innovazioni di legge che attivino ulteriori servizi pubblici di psicologia con una bassa soglia di accesso per i cittadini, in modo da renderli fruibili da fasce più ampie della popolazione, dando al contempo più occasioni di impiego alla nostra categoria.

Al di là della sostenibilità scientifica delle ipotesi finora messe in campo nelle diverse parti d’Italia, uno resta il punto comune di queste esperienze: tutti i tentativi attuati finora si sono conclusi con un sostanziale nulla di fatto.

Esaurito il clamore mediatico – che forse porta qualche momento di notorietà al promotore – si rischia che la Psicologia professionale si ritrovi ancora più marginalizzata di prima, a fare i conti con un ulteriore arretramento della sua legittimazione sociale, e che i cittadini si ritrovino, ancora una volta, illusi dalla politica e privi di servizi essenziali per la loro qualità di vita.

Uno dei progetti più interessanti, tra i tanti proposti di recente, è di certo quello di Psicologo di base portato avanti dal professor Luigi Solano con la scuola di specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università La Sapienza. Il progetto è particolarmente apprezzabile per il fatto di definire una bassissima soglia di accesso alla Psicologia professionale, attuata affiancando lo Psicologo al medico di base durante l’apertura degli studi di medicina generale. Nel tempo Solano ha strutturato un modello operativo credibile e – soprattutto – sostenibile economicamente attraverso i risparmi che consente in termini di riduzioni delle prescrizioni di farmaci, analisi cliniche, visite specialistiche da parte degli studi medici coinvolti.

Perché questo è il vulnus principale della maggior parte delle ipotesi che si fanno sulla Psicologia del territorio: la sostenibilità economica.

Se la questione del finanziamento era cruciale qualche anno fa, oggi il pagamento delle attività di prevenzione è un problema che pare insormontabile e, purtroppo, non considerato all’interno delle proposte di innovazione normativa che cercano appoggio.

Lo stato sociale, in Italia come in gran parte delle società occidentali, non è più nella condizione di investire i suoi soldi in prevenzione, con il risultato che tutta una serie di servizi territoriali a bassa soglia di accesso vengono chiusi.

Questo dato ha una ricaduta particolarmente grave per la nostra professione: sono tantissimi i colleghi e le colleghe che vedono ridotto il loro lavoro da anni, a causa di questo arretramento dello Stato Sociale. Sono molto diminuiti (e continuano a diminuire) i progetti di prevenzione psicologia in tutti i settori, da quello scolastico a quelli rivolti alle fasce più deboli della popolazione. Altro che nuovi servizi di Psicologi nel territorio!

Nelle proposte di legge sulla psicologia territoriale che circolano, quello che meno si capisce è proprio come debba essere finanziato questo tipo di servizio. Anche quelli che vengono ventilati come successi, ad esempio la recente innovazione normativa della Regione Campania, scontano un enorme vulnus: chi paga?

Non c’è infatti nessuna previsione di copertura finanziaria, anzi – comprensibilmente – il legislatore si premura di sottolineare che l’innovazione non dovrà ulteriormente gravare in nessun modo sulla finanza pubblica. Non è che finisce anche qui con gli psicologi che, se lavorano, lavorano gratis?

Appare quindi sostanzialmente irrazionale l’ipotesi di attivare – in questa fase storica – servizi di Psicologia di base che non siano in grado di sostenersi autonomamente dal punto di vista economico.

In verità, è difficile affermare, di fronte a politici sempre più attenti alle questioni di spesa, le buone ragioni della Psicologia se non in termini puramente idealistici e va riconosciuto un grande limite alle ricerche in Psicologia: pochissime sono le ricerche che abbiano valutato l’impatto economico delle attività degli Psicologi.

Questo fatto ci mette nella poco invidiabile condizione di non essere in grado di negoziare con la pubblica amministrazione se non in termini clientelari o i pietistici, implorando qualche piccola posizione individuale che non potrà mai diventare una opzione seria per la categoria.

Il passaggio indispensabile per la legittimazione sociale e normativa della Psicologia professionale è – oggi più che mai – attraverso la dimostrazione di validità non solo scientifica ma soprattutto economica dei nostri interventi professionali.

Finché non sapremo dimostrare, numeri alla mano, che attraverso l’accesso facilitato ai servizi dello Psicologo (di base, del territorio, o di qualunque altro genere) è possibile per la collettività operare non solo in termini di miglioramento della qualità della vita ma anche di un dimostrabile e significativo risparmio di spese per il sistema sanitario e assistenziale non avremo di fatto possibilità serie di far passare alcun intervento sensato e generalizzato di psicologia diffusa nel territorio.

Questa è la vera sfida e non la si risolve né con l’amicizia di qualche politico né con le sottoscrizioni pubbliche.

Felice D. Torricelli