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Istruzioni passo-passo per depositare le Perizie d’Ufficio con le regole del Processo Telematico.

Gli obblighi introdotti dal Processo Civile Telematico inquietano i colleghi consulenti del Giudice e creano dubbi sia tra quelli che lavorano solo come CTP sia tra gli altri, che per esempio si chiedono se dovranno a loro volta acquisire la firma digitale, offerta in convenzione da qualche Ordine regionale.

Alcuni colleghi, sollecitati dalla cancelleria del Tribunale a verificare di essere iscritti al RegIndE, mi chiedevano come si faceva a telefonare al RegIndE (che essendo un Registro di Indirizzi Elettronici ha le stesse attitudini interattive di un elenco del telefono); altri pensavano che la firma digitale – che è una firma elettronica con particolari requisiti – potesse venire sostituita dalla loro firma manuale scannerizzata.

In realtà tutti gli strumenti e le procedure sono spiegati per filo e per segno all’indirizzo pst.giustizia.it (senza “www.” davanti), ma forse l’effetto è quello delle istruzioni per montare i mobili Ikea: se non si fa non si capisce.

Così ho pensato che fosse utile diffondere qualche spiegazione ipersemplificata, rinunciando all’esaustività, giusto per familiarizzarsi con una procedura che in fin dei conti è identica a quella fisica, con la differenza che non occorre andare in cancelleria con quintali di carta.

Ogni tanto interviene qualche piccolo cambiamento, quindi è meglio non considerare quanto scrivo come definitivo e tanto meno esaustivo: ne sapremo di più quando avremo sperimentato i possibili errori.

Occorre innanzitutto dotarsi di alcuni strumenti. I primi due sono:

  • La PEC, che peraltro è già da tempo obbligatoria per i professionisti iscritti ad Albo. Quella che ci ha fornito l’Ordine (PEC di aruba con suffisso psypec) va benissimo; dovrebbe avvisarci quando la casella di posta è piena, e in ogni caso è abbastanza capiente. Se si ha grande traffico di PEC, meglio comunque, per prudenza, ricordarsi di verificare che ci sia spazio, perché se la casella fosse piena e non potessimo ricevere comunicazioni, sarà colpa nostra. Infatti d’ora in poi la cancelleria comunicherà con noi solo via PEC.
  • Il cosiddetto token (chiavetta con firma digitale o Carta Nazionale o Regionale dei Servizi). Per semplificare, mi riferisco alla chiavetta di Aruba con la firma digitale, che probabilmente è quella più diffusa e più pratica. La si può anche ricevere a casa, ma per evitare passaggi di autentica di firma conviene andare di persona a prenderla da uno dei certificatori accreditati. Quelli attivi si trovano all’indirizzo http://www.agid.gov.it/identita-digitali/firme-elettroniche/certificatori-attivi; se si sceglie Aruba li si trova a questa pagina https://www.pec.it/CDRLaccreditati.aspx

Poi bisogna appunto essere certi che la nostra PEC sia registrata sul Reginde (vedi sopra). Gli Ordini dovrebbero averlo fatto per noi, ma nel momento in cui abbiamo il token possiamo anche verificare; è possibile anche iscriversi individualmente.

A questo punto possiamo accedere al sito pst.giustizia.it, quello che menzionavo sopra. “PST” vuol dire “Portale Servizi Telematici”, così ce lo ricordiamo più facilmente. Si deve accedere con la chiavetta inserita e utilizzando il browser residente sulla chiavetta, che in quella di aruba è Firefox. Chi ci ha venduto la chiavetta dovrebbe averci dato anche le istruzioni per utilizzarla, ma si trovano agevolmente.

Quando si accede per la prima volta a pst.giustizia, di solito appare una finestra con un messaggio che dice che la connessione non è affidabile e che dobbiamo dichiararci consapevoli dei rischi. Non spaventiamoci, diciamogli di sì, clicchiamo su “Aggiungi eccezione”, scarichiamo il certificato che ci propongono e se è possibile diciamogli “Salva eccezione in modo permanente” e clicchiamo anche su “Conferma eccezione di sicurezza”. Non ci sono pericoli, ci stiamo solo autenticando sul sito del ministero di Giustizia.

Quando avremo fatto tutte queste manovre ci troveremo in una pagina di Login. Clicchiamo su “smartcard”: ci verrà chiesto il PIN della nostra firma digitale, e, quando lo avremo inserito (facendo attenzione a non sbagliarlo, perché dopo tre volte veniamo bloccati), in alto apparirà? il nostro codice fiscale.

A questo punto possiamo accedere ai servizi. Scegliamo un Tribunale (es. Milano), un Registro (es. Contenzioso Civile), un Ruolo (CTU) e potremo accedere ai fascicoli che ci riguardano. Se non siamo nel RegIndE, probabilmente ci verrà chiesto di mandare un verbale di nomina firmato digitalmente; sul pst.giustizia si trovano istruzioni anche per questa evenienza, meglio comunque verificare anche con l’Ordine.

Questo, per la parte di consultazione, che è relativamente meno preoccupante. Vantaggi: per esempio, recuperare quel verbale di udienza per il giuramento in cui sono scritte tutte le scadenze, accedere ai fascicoli per via telematica eccetera. Il pst.giustizia, infatti, è uno dei PDA (Punti Di Accesso) registrandosi ai quali – come abbiamo appena fatto – possiamo usufruire di questi servizi di consultazione.

Un po’ di suspense in più verrà sperimentata al momento dell’invio, e qui è meglio leggere bene le istruzioni, senza però lasciarsi scoraggiare, perché? vi diranno che occorre un terzo strumento necessario ovvero: un apposito “redattore”.

Si tratta di un software che ha solo la funzione di preparare i nostri documenti inserendoli in una immaginaria “busta digitale” perché? possiamo spedirli nel formato digitale corretto e accettato. Di questi redattori-imbustatori se ne trovano diversi; il portale pst.giustizia.it rinvia a un elenco, ma bisogna fare attenzione, perché alcuni sono gratuiti, altri no. In pratica: uno ha la sua brava relazione in word, trasforma il file in pdf (non pdf da scanner, quello è vietato: solo il pdf generato da word, cosiddetto “pdf nativo”), lo firma digitalmente, poi va sul programma “redattore” e gli dice “mettimela nella busta”. Possono anche esserci degli allegati, che non occorre firmare (per esempio, un certificato medico; ci si comporta proprio come nel deposito fisico).

Attenzione: la chiavetta vi propone diversi tipi di firma digitale: bisogna scegliere quello che si chiama “Busta crittografica P7M”). Il software redattore-imbustatore ci prepara il materiale e poi noi lo mandiamo con la nostra PEC all’indirizzo di posta certificata corrispondente al nostro ufficio (l’indirizzo giusto si trova su pst.giustizia.it sotto “Uffici Giudiziari”).

Dovremo avere un’accortezza: scrivere nel subject della mail “DEPOSITO” in maiuscolo e poi un testo libero. Tipo “DEPOSITO Ctu Topolino-Minnie”. Tra DEPOSITO e Ctu ci dev’essere uno spazio. Se avremo fatto tutto giusto, ci arriveranno vari messaggi di notifica di corretta ricezione. Ma a questo punto ci saremo familiarizzati con le istruzioni di pst.giustizia.it e sapremo decodificarli. L’importante è che arrivino, se non ci arriva niente dobbiamo preoccuparci.

Questo è un passaggio che non ho ancora sperimentato, dunque non ne conosco le insidie, ma senz’altro mi cimenterò nell’invio in anticipo rispetto alle date in cui sarà obbligatorio, ovvero per i procedimenti iscritti a ruolo dopo il 30 giugno. Suggerisco di fare altrettanto, sia perché non è vietato sia perché conviene prenderci la mano; meglio – fino a quando ci sarà la doppia opzione – provarci un giorno prima della scadenza di consegna, in modo da avere il tempo di depositare fisicamente il giorno dopo se qualcosa va storto. Tanto, anche quando dovremo farlo obbligatoriamente ci toccherà inviare con un giorno di anticipo rispetto alla scadenza (hai visto mai che qualcosa non ci funzioni: a quel punto non ci sarà più l’opzione di depositare il cartaceo). D’altra parte, il tempo risparmiato nel fare copie, pinzare, firmare tutte le pagine ci compenserà ampiamente e le foreste amazzoniche ringrazieranno. Ovviamente, toccherà comunque andare in cancelleria a depositare, per esempio, le audio e videoregistrazioni.

I colleghi che hanno Mac sono come al solito penalizzati? La risposta, per ora, è “sì”, anche se le cose miglioreranno anche grazie agli eroici pionieri che passano ore e ore con l’assistenza di Aruba. Per carità, con fatiche improbe e restando fedeli al motto di Steve Jobs “stay hungry, stay foolish” si riesce, ma conviene avere anche un emulatore di Windows, tipo VMWare o Parallels, soprattutto se si è stati così vigliacchi da acquistare, per esempio, il “redattore” (vedi sopra) di Giuffrè, che è molto facile da usare ma per ora funziona solo su Windows.

E i colleghi CTP devono avere la firma digitale? Questo non è specificato da nessuna parte, ma presumo che non sia necessario così come non lo era prima: le Note di parte trasmesse al CTU verranno inserite dal CTU tra gli allegati alla relazione, verosimilmente non firmate o firmate nel modo in cui il CTP firma di solito. Ovviamente, il CTP che firmerà digitalmente le sue Osservazioni farà un figurone.

E agli altri Psicologi che non operano in ambito forense serve la firma digitale? Questa è una valutazione individuale. Personalmente l’ho sempre desiderata, presumendo che mi avrebbe risparmiato molte seccature, tipo andare a farmi autenticare la firma quando è necessario o consegnare a mano e per posta i documenti per cui viene richiesta una firma in “originale”; l’unico motivo per cui ho atteso tutto questo tempo è che mi seccava di andare fisicamente a procurarmela. Chi non è altrettanto pigro, però, può sopravvivere anche senza.