Aifon 5, m’hai provocato ed io me te magno!

Lo ammetto, sono un anti-consumista convinto, e qui ci sono le prove, seppure con tutte le contraddizioni ed incoerenze personali legate ad uno stile di vita piuttosto comune, cioè non propriamente quello di un Amish. Provo ad esserlo in modo non ideologico, nel senso che non disdegno affatto il gusto delle nuove tecnologie e delle loro immense potenzialità creative di cui faccio uso, ma provo a fare una sorta di resistenza critica fino all’ultimo minuto proprio perché ne conosco le caratteristiche virali e pandemiche.

Una tecnologia in genere obsolescente dopo 1-2 anni, come computer e cellulare, con me lo diventa mediamente dopo 5-6 e solo dopo la costatazione di morte. Non ne parliamo delle mie automobili, le quali si vedono costrette ad accompagnarmi autonomamente dallo sfasciacarrozze contro la mia volontà. Questa la vecchiaia degli attuali oggetti tecnologici in mio possesso: computers, 3 e 6 anni; cellulare (quello precedente), 6 anni; televisore, 11 anni; automobile, 9 anni (un’utilitaria diesel); lavatrice, 15 anni (super-riparata); frigorifero (forno etc), 18 anni; stereo, 32 anni.

Insomma, resisto, resisto, resisto, sono un pessimo consumatore e me ne vanto in quanto sono fermo sostenitore che il piacere consumistico, sotto la sua tipica forma di avidità, sia una forma anche piuttosto degradata e mortificata di libido, esistono piaceri ben più grandi e arricchenti di questo e tendo a pensare che i piaceri più alti siano tutti gratuiti (dotati di grazia). Considero perciò le file alienate di persone ai superstore di elettrodomestici per sconti o per l’uscita del nuovo modello di telefonino sullo stesso piano psicopatologico delle folle oceaniche alle adunate naziste. Penso che la tecnologia che infila nelle case di tutti televisori e computers, e nelle tasche di tutti, bambini compresi, smartphone, sia la nuova forma di controllo sociale realizzata con la complicità attiva e compiacente di tutti noi. Ciononostante continuo a credere nella nostra capacità di diventare attivi protagonisti rispetto all’invadenza della tecnologia, seppure fino ad un certo punto. Si, ma fino a quale punto?

Con queste premesse leggo questo articolo del Corriere (questo l’articolo americano da cui è tratto) e un po’, vi confesso, mi scappa da ridere. Vi spiego il perché.

In estrema sintesi, l’articolo è di una mamma dell’upper class statunitense che vuole espiare i suoi sensi di colpa per aver regalato al figlio tredicenne un costosissimo Iphone 5, ma gli dà al contempo 18 regole educative/restrittive per il suo uso (le trovi in calce all’articolo).

Turandomi il naso per l’infinita ipocrisia implicita in tutta questa operazione “mulino bianco” o se vogliamo alla maniera delle conferenze educative per ricche signore di Manhattan, mi sono lette queste 18 regole provando ad apprezzare ciò che di buono l’autrice ha voluto comunque trasmettere in questo impeto genitoriale e infuturante verso il pargolo e il suo destino (segnato) di consumatore di tecnologia.

Rimangono però alcune obiezioni di base (che potrebbe fare anche un inquilino qualunque del mio condominio popolare) e che sono:

  1. Se pensi che la cosa è fuori controllo tanto da richiedere una lenzuolata di regole restrittive, perché mai regali un oggetto potenzialmente pericoloso a tuo figlio? Non farlo! Secondo la stessa sequenza logica, regaleresti una pistola, seppure scarica, a tuo figlio tredicenne?
  2. Come è mai possibile realisticamente verificare il rispetto di queste 18 regole? Come fai cioè a controllare se tuo figlio non va sui siti porno, non abusa di sms e email, non abusa di videogiochini, non risponde alle tue chiamate dicendoti una pietosa bugia, non fa foto e video ai suoi genitali e a quelli altrui, etc, etc?

That’s impossible! Ergo, le 18 regolette sono solo delle blande smacchiature di coscienza. Potrei continuare entrando nel dettaglio di ciascuna di quelle 18 regolette, ma sarebbe un tiro al bersaglio troppo facile.

Però  mi domando, quale differenza passa tra la giornalista americana upper class e una mamma di una qualunque periferia (tipo di Roma) che regala lo stesso gadget al suo figlioletto coattello (non di 13, ma anche di 8-9 anni)? Semplice, la prima fornisce al pargolo le sue “lenitive” tavole della legge, la seconda probabilmente no, e gli dice al massimo “ahò, a coso, mò ‘c’hai l’Aifon 5, nun te manca gnente, nun te devi da vergognà co’ niuno”. Chi lo userà meglio tra i due fanciulli secondo voi? Mah, secondo me nessuno dei due, la tecnologia dell’iperconnessione è un linguaggio pervasivo sempre e comunque e non c’è argine che tenga. Anzi, l’idea di poter porre un argine, come costruire un montarozzo di sabbia contro uno tzunami, appare oltremodo ingenua e consolatoria, e drammaticamente fuori tempo massimo.

Qual è allora il margine di azione che abbiamo come individui, come educatori, come psicologi, nel padroneggiare l’invasione tecnologica, nel renderci protagonisti contro i meccanismi di omologazione e talora di alienazione che le nuove tecnologie portano con sé?

Ed allora, riprendendo il titolo-citazione del post: chi mangia chi? Sono io che con un atto di bulimica avidità compro e uso lo smatphone o è lui che ha definitivamente ingoiato me e la mia capacità critica, la mia libertà?

Dipenderà dalla capacità di focalizzare l’obiettivo di una “buona educazione” all’uso della tecnologia: se l’obiettivo rimarrà ripulire la coscienza di consumisti passivi quali siamo la maggioranza di noi, be’ allora c’è ben poco da educare; se invece l’obiettivo è comprendere in che razza di cornice ci stiamo muovendo, al di là di ogni falsa e cattiva coscienza, e che genere di competenze, di informazioni, di specifiche attenzioni occorrerà sviluppare per essere il più possibile attivi “contropiedisti”, ricombinanti e ricreatori di regole e consuetudini, ribellandoci alle regole passivizzanti che ci propone ogni nuova tecnologia, allora qualche margine d’azione l’abbiamo e forse possiamo proporci come persone credibili nei vari contesti nei quali ci muoviamo.

Le 18 Regole