Ai colleghi che si apprestano ad intraprendere la professione dico e ridico, magari con un’iperbole, che non c’è cosa che faccia più male alla categoria del LAVORO GRATUITO.
E’ allora per onestà intellettuale verso questi neocolleghi e verso voi lettori che devo assolutamente fare una confessione.
IO HO LAVORATO GRATIS.
Ho creduto nella sciocchezza che fosse un investimento, qualcosa da cui avrei avuto un non meglio precisato “ritorno”.
E’ stato tremendo.
Squalificante.
E umiliante.
Non sono passati molti anni (in fondo non sono poi così anziana!), ma se ripenso a quei giorni in fondo allo stomaco si agitano la stessa frustrazione e la stessa rabbia.
Ricordo che il momento peggiore era dal benzinaio.
Quando dovevo fare il pieno, con i miei soldi (quelli risparmiati stringendo la cinghia sulla vita sociale, quelli racimolati con ore di traduzioni dall’inglese, quelli messi da parte coi regali dei parenti…), per andare a fare un lavoro che nessuno pensava valesse la pena retribuire.
Ricordo l’umiliazione e soprattutto lo squallore di certi discorsi, spesso ammantati pure di filantropia, generosità, amore e rispetto per la professione. Per non parlare dell’impegno per i giovani!
Frasi come
Mi sento di dover dare un’occasione ai giovani!
oppure
Io mi sforzo di fare il meglio per la professione! E bada eh! Che potrei guadagnarci molto di più, ma non lo faccio!
Quando me ne andai, con l’eco delle accuse di ingratitudine che ancora viaggiavano nell’aria, e che pure mi era toccato sorbirmi, mi sentii quasi un’anarchica!
Che avevo fatto?!?
Se mi guardavo intorno vedevo colleghi che facevano volontariato da almeno due anni. Colleghi che lavorano nelle cooperative da 12 mesi e ancora non sentivano nemmeno l’odore di uno stipendio. Colleghi che facevano sportelli d’ascolto gratuiti nelle scuole. Persino l’Ordine continuava a propormi di offrire le mie competenze gratuitamente per qualcuno!
Fu un momento di forte crisi personale (mi sentivo una specie di alieno sovversivo) e professionale.
Più di una volta, nei mesi successivi, mi sono sentita dire che mi ero lasciata scappare un’occasione, che ero stata impaziente, testarda e pure un poco arrogante.
Testarda e un po’ arrogante lo sono in verità, per cui decisi di testare quell’affermazione “numeri alla mano”. E’ stato così che ho iniziato a interessarmi di marketing e promozione professionale.
Scoprii così quell’acqua calda che praticamente tutti i professionisti conoscono, tranne gli psicologi: che se la prestazione gratuita E’ la tua strategia di promozione professionale o la tua strategia per avere un lavoro retribuito, farai poca strada.
L’illusione che si vuole spacciare per verità, infatti, è che il lavoro che si svolge gratis in realtà non è tale.
E’ una specie di “lavoro a credito”, un investimento che al momento giusto darà il diritto di bussare alla porta giusta per avere il lavoro giusto.
Foss’anche così (e non lo è), ormai ci sono così tanti creditori che non c’è di certo liquidità per tutti.
Si alimenta allora un sistema clientelare al cubo.
Prima devi ungere col tuo lavoro gratuito, poi devi ungere per riscuotere.
E’ un sistema umiliante moralmente e professionalmente, per non parlare di quanto sia assolutamente ANTIECONOMICO, per sé e per la categoria!
Non si capisce infatti perché bisognerebbe essere pagati quando si è ampiamente dimostrato di essere disposti a dare le proprie competenze gratuitamente.
E non si capisce nemmeno perché bisognerebbe pagare per un servizio per coprire il quale c’è un così grande bacino di professionisti disposti a lavorare gratis. Quando io e la mia arroganza siamo andati via, sull’uscio c’era già chi era pronto a sostituirmi.
Il livello occupazionale degli psicologi, soprattutto giovani è drammatico, così come lo sono le statistiche sul reddito medio degli psicologi italiani.
C’è la crisi economica, ci sono tante responsabilità della politica istituzionale e professionale: certamente l’attuale situazione degli psicologi in Italia è figlia di un articolato coacervo di condizioni e scelte.
Ma la drammaticità della situazione non può essere risolta aggrappandosi alle illusioni, alle promesse, alle scatole vuote. Deve anzi essere un lavoro estremamente concreto, con azioni concrete, che partono dalla vita professionale di ciascuno di noi (rifiutarsi di lavorare “a credito” mi sembra un buon primo passo!) e dalla pretesa di una politica che non spacci per promozione iniziative che altro non fanno che svilire la nostra professione!
Lavoro gratuito è una contraddizione in termini. Molti psicologhi e psicologhe dovrebbero andare in analisi per capire meglio come mai non hanno ancora integrato nel loro sviluppo la fase anale, visto che sembrano disprezzare il denaro e pensano che si possa vivere senza. Sembra infatti, soprattutto sul versante femminile che è più prono ad accettare lavori sottoqualificati o addirittura volontari, che domini l’ideologia orale dell’amore gratuito della mamma per il bambino povero e bisognoso. Ma queste sono nevrosi che con la professione non c’entrano nulla e dovrebbero essere affrontate prima o non dopo l’ingresso nel mondo del lavoro, quello adulto.
Al convegno di sabato sullo psicologo del territorio il presidente dell’ordine ha detto che bisognerà pur interrogarsi su come questi psicologi verranno pagati e che lui può capire che i primi quattro o cinque interventi siano gratuiti, ma poi bisogna farsi pagare per garantire anche la dignità professionale. Ah, per quello, non per mangiare e pagare il mutuo come tutti! Dada hai perfettamente ragione: io a conferenze dell’ordine non ci andavo da un decennio, ma dai discorsi e dalle facce dei colleghi mi son sentito immerso nella patologia. Ho proprio pensato che prima di curare gli altri dovremmo proprio curarci noi psicologi.
Una malattia cronica è uguale alla disabilità. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciandosi in merito alla causa intentata da due lavoratori danesi contro le loro aziende. I due erano stati licenziati per aver accumulato troppi giorni di assenza dal posto di lavoro; assenze causate dal loro handicap, ha spiegato il sindacato danese davanti ai giudici nazionali, che hanno girato la questione a Lussemburgo. I giudici europei hanno quindi interpretato la nozione di “disabilità” includendo in essa uno stato patologico causato da una malattia (curabile o incurabile), se questa malattia comporta delle limitazioni – fisiche, mentali o psichiche – che possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su un piano di parità con gli altri lavoratori. Insomma, se un dipendente è affetto da una malattia cronica gravemente debilitante, deve usufruire degli stessi diritti e protezioni di un dipendente disabile: orari di lavoro ridotti, possibilità di prendere giorni liberi per curarsi etc. “Una pietra miliare per la protezione dei malati cronici”, ha definito la sentenza Christine Lüders, direttrice del Centro antidiscriminazione federale tedesco. In Germania, infatti – a differenza per esempio dell’Inghilterra – le persone con una patologia cronica non rientrano nelle categorie protette dalla Legge generale contro la discriminazione.
“Il Malato immaginario” purtroppo esiste! Se fosse per me, nelle vesti di “un giorno da Dio”, farei molte cose tra le quali trasformare le Scuole di Specialità da private in pubbliche con un congruo pagamento degli psicologi specializzandi, come i medici, e tanti altri progetti. Questa idea “FOLLE” non è mai venuta in mente a nessuno dal momento che, talvolta, è più redditizia la cultura fine a sé stessa della manovalanza. Una “sana nevrosi” non contempla viaggi lunghi, costosi ed estenuanti fra i meandri della mente! Lo provano le migliaia di persone che preferiscono la “pillola” e dormirci sopra! Credo invece che il gesto di rimboccarsi le maniche racchiuda in sé la cura e la filosofia vincente della vita. Aspettare che, prima o poi, la società si svegli o meglio dorma a tal punto da sognare lo psicologo in volo, sarebbe un “fatto” curioso per la nostra categoria: niente di più! O forse sarebbe l’inizio di un’importante inversione di rotta! Meglio Psicologi volontari vivi e attivi che Psicologi in panne sull’orlo del suicidio!
La mia ragazza ha appena intrapreso la libera professione (non da psicologa), anche lei pensava di crearsi un bacino clienti fornendo alcune prestazioni a titolo gratuito, il suo ordine professionale glie l’ha praticamente impedito, dai colleghi è visto più o meno come una forma di concorrenza sleale
Ipocriti! puntare il dito contro i giovani colleghi che per fare esprienza e lavorare lavorano gratis! Avete in mano l’ENPAP E i più importanti Ordini vediamo se riuscite a far approvare una legge perché i tirocini degli specializzandi in psicoterapia vengano retribuiti!
Io ho lavorato gratis e grazie a questo sono riuscito a fare diverse prese in carico che mi hanno ampiamente ripagato del lavoro svolto gratuitamente. La foto è veramente di pessimo gusto. Perché non dite più sinceramente che siete disturbati dalla concorrenza che vi fanno i colleghi che entrano nella professione… Avete più e più volte affermato che i colleghi sono troppi. Pubblicate questo se siete davvero trasparenti!
Se mi preoccupa la concorrenza? Certo che mi preoccupa. Mi preoccupa ad esempio quando un preside di una scuola, di fronte a un progetto valido dice – Bello, ma se domani viene una tua collega che lavora gratis, prendo lei – senza prendere minimamente in considerazione le competenze. Mi preoccupano i concorsi in cui fra i requisiti di scelta del candidato c’è – chi si fa pagare meno prende più punti – anche se ci sono altri con curriculum migliori. Questo mi preoccupa eccome.
Mi preoccupa anche che quando si ragiona di politica professionale si faccia riferimento al caso singolo e non ciò che accade di significativo all’interno della categoria… Vale se io dico che conosco uno che è riuscito a ottenere una borsa di studio per un progetto in ospedale dopo 5 anni di volontariato (per poco più di 700 euro al mese – e sorvolerò sulla valutazione del roi del suo investimento…) e poi ne conosco altri 100 almeno che invece da quella borsa di studio sono stati esclusi?
Io ho avuto un’esperienza diversa. Sono una psicologa e life coach. Un giorno mi recai dalla preside del liceo del mio paese dicendole che volevo fare sportello d’ascolto gratis, mi disse che non prendeva volontari e che avremmo dovuto redigere un progetto e farlo finanziare. Rimasi scioccata. Allora per 30 ore mi pagarono 10 euro l”ora. Adesso stiamo ripetendo e la paga e di 35 euro l’ora. Da quella volta non ho più proposto lavoro gratis. Mai più. Una buona giornata.
La paga è aumentata di 35 euro l’ora. Questo mi fa sperare che ancora ci siano situazione virtuose. È ovvio che così lavoro meno, però ci trovo più soddisfazione, non è umiliante e soprattutto non sminuisco il significato della professione. Se decido di seguire gratis qualcuno, lo faccio per motivi diversi dall’aver messo in conto del ritorno economico che ciò può avere in futuro…
E’ la legge del mercato e della libera concorrenza.
Il valore è dato dalla disponibilità del bene sul mercato, per cui a parità di prestazione, scelgo quella più conveniente.
E non sempre il sovraprezzo è indice di qualità.
Se prendi due studenti che stipulano un prestito per studiare.
Uno è fuori sede e l’altro è in sede. Stessa istruzione, ma costi completamente diversi, e quindi necessità di rientrare di due capitali completamente differente, con tariffe diverse.
Oppure fai confronto tra chi è proprietario di studio e chi lo studio lo affitta: costi diversi che permettono di applicare tariffe diverse.
E questo, senza che il costo sia rapportato alla preparazione o all’esperienza.