Qualcuno, non ricordo chi, un giorno mi spiegò che se mostri ad un indio dell’amazzonia che non ha mai avuto rapporti con la nostra civiltà una foto dove in primo piano c’è un uomo e sullo sfondo il landscape di una megalopoli come New York con i grattacieli, ebbene quell’indio non riesce a distinguere alcuna figura umana, ma probabilmente osserva un’accozzaglia indistinta di linee e colori.
Quell’indio non è affatto un idiota, come qualcuno superficialmente potrebbe pensare, semplicemente la sua percezione è strutturata su paesaggi molto diversi dai nostri e non concepisce scenari mai visti, e dunque mentre ti distingue un’impercettibile sfumatura di colore di una foglia a distanza di 100 metri, non riconosce la figura umana sullo sfondo di una città (magari coperto di fango e foglie e sullo sfondo di una foresta, si).
Non riesco a pensare ad un accostamento migliore di questo per dire delle ragioni dello sconsolante analfabetismo che incontro con alta frequenza tra i colleghi, purtroppo di ogni età, in materia tecnologie digitali, web, social network, etc.
Affermazioni quali “ma quando passo il mouse sulle parole e diventa ditino cosa vuol dire?” (collega che riceveva da anni le newsletter di un’associazione che mai aveva aperto); o come “ma io sono autorizzato rispondere alle email che mi arrivano?” (collega partecipante ad una mailing list); o un’altra collega che scrive tutto il contenuto della missiva nello spazio destinato all’”oggetto”, che diventa perciò chilometrico; o ancora un altro collega che risponde con una imbufalita email dopo aver ricevuto la risposta automatica di una petizione online perché in inglese e non nella lingua patria (un vero patriota). Ne potrei raccontare tantissimi di aneddoti, ma ho attivato un meccanismo di oblio automatico, certamente difensivo.
Poi ci sono quei colleghi, spesso giovani, che quando dici loro di cose che accadono sul web, ti rispondono più o meno con lo stesso stridulo corredo emotivo e la stessa sudarella di chi ha aperto la porta dei propri genitori mentre copulano: “oh, no, signora mia, internet è un ambiente di psicopatici, per carità, io non ci vado”.
Vi assicuro che nessuno di questi esimi colleghi è tecnicamente parlando un idiota (diciamo su una posizione non-estrema della curva di Gauss), in genere sono stimabilissimi professionisti, si tratta soltanto di diversamente digitali, cioè di persone che non conoscono il territorio e le regole che lo presiedono, ma si muovono come antichi romani ad una rave party, come la Binetti ad un appuntamento al buio, come Totò e Peppino a piazza del Duomo. Non è colpa loro, poretti, sono nati soltanto un’era fa, cioè non sanno che la psiche collettiva si è riposizionata e ri-ambientata in questi ultimi 15 anni altrove (nella fascia 11-44 anni le percentuali di uso del pc, nel 2010-11, vanno dall’80 al 90%) e quindi sono come quell’oratore che mentre legge enfaticamente un erudito discorso davanti ad una platea, non si accorge che si sono trasferiti tutti nella sala accanto a strafogare il buffet. E quando dico un’era fa, mi riferisco a tutti coloro nati prima degli anni ’90.
Non vorrei apparire troppo spaccone, l’ironia nasconde solo una piccola quota di sconforto categoriale, io stesso sono una semi-pippa, fino a qualche anno fa avrei fatto la figura dell’ignorantone, solo che nel frattempo mi sono incuriosito di questi nuovi mondi, e anche se ora passo come una specie di semi-divinità tecnocratica presso molti miei colleghi, sono in realtà solo un comunissimo smanettone, molto ignorante (ma rimanga fra di noi, preferisco che continuino a pensarlo, mi sento come Colombo con i nativi americani: poche perline colorate e sono tutti contenti).
La psiche collettiva s’è riposizionata, dicevo, nel web, ma ancora troppi psicologi sono in retroguardia a dare scossoni ai pc come si faceva una volta con i televisori a valvole. Alcuni si rifiutano di comprarselo, altri di accenderlo e usarlo. Troppi ancora sfoderano crocifissi a mo’ di esorcismo.
Molti altri per fortuna invece si applicano e combattono i loro atavismi antropologici formandosi e informandosi, facendosi aiutare, applicandosi, come ad esempio mi sta capitando in queste settimane con un caro collega senior ultra settantenne, in verità già frequentatore di spazi web da molti anni, che s’è messo in testa di imparare a usare WordPress per fare un sitarello semplice-semplice (costruire un sito è un’esperienza che consiglio a tutti). Sono settimane che gli sto pazientemente appresso mostrandogli tutti i segreti di questo sistema e lui mi sta indirettamente insegnando a capire che la sua non è cattiva volontà, pigrizia, o deficit cognitivo nel momento in cui non vede ciò che gli sta proprio sotto il naso: è proprio un veto esplorativo oggettivo legato alla sua provenienza non-digitale. Proprio come nella storiella dell’indio e della foto.
Dunque. Mio figlio mi dice che un computer dopo tre anni è obsoleto. Avete mai provato a fare un cambio di computer? Ah, dimenticavo, basta attrezzarsi con un ulteriore disco esterno per il backup, Sempre più spesso devo pregare i miei interlocutori di scrivere in .doc e non in .docx, ho un word vecchio. Cerco un sito e in mezzo mi piovono altri siti non richiesti, gioco d’azzardo, dating, assicurazioni, banche on line, prestiti. Le banche diminuiscono gli sportelli per orientare i clienti a lavorare on line… avete mai provato a operare con la TARSU on line? Dove memorizzare le password per il conto in banca? E comprare un biglietto ferroviario, mi ci vogliono due password, una dopo l’altra. Dove le avrò nascoste? Avete mai contato le password necessarie per lavorare a tutto raggio con il vostro sistema? Non avete mai mandato al diavolo un form da compilare per questo o quest’altro? Inevitabilmente, prima o poi, arriva un’età in cui per fare tutte queste cose e tante altre che la cosiddetta connettività e l’abolizione del cartaceo richiedono … il vecchietto non ce la fa più, come minimo non può più aggiornarsi…il sistema lo discrimina, e la tecnologia perde un’altra occasione per diventare umana. Importante è allargare l’ingranaggio del mercato. E presto gli sportelli della sua banca da mezzo secolo, gli si chiuderanno in faccia. Niente paura, c’è posto per una nuova professione, accanto al commercialista ci mettiamo il segretario informatico. Mi spiace, anche i nativi digitali dovranno farci i conti.
Adriano, un 75enne
Mio caro Adriano, hai perfettamente ragione, da diversamente digitale anche io a volte non capisco i percorsi che ad altri sembrano elementari. Più che segretari informatici forse servirebbero più psicologi esperti in usability che assistino questi programmatori col pilota automatico e disumanizzati
Molto interessante!!!