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Uno dei primissimi articoli che scrissi per AltraPsicologia, credo nel 2007, raccontava la storia esemplare di una sentenza di condanna di un counsellor che aveva rischiato di rovinare la vita ad un ragazzo di 15 anni. Con la complicità di uno psicologo, pure lui condannato. Ho perso quell’articolo, ma cerco di ricostruirne a memoria i tratti salienti.

Accadeva in Lombardia. Nello stesso studio, uno psicologo e un counsellor ricevevano abitualmente pazienti, anche scambiandoseli. Il counsellor era letteralmente quello della porta accanto allo psicologo, un quasi laureato in psicologia che intanto si era dato allegramente all’aiuto psichico.

Un giorno, lo psicologo aveva inviato al counsellor un adolescente che all’epoca dei primi colloqui aveva 12 anni, e rimase ‘in trattamento’ per circa tre anni.

Mi pare di ricordare che l’intento dell’invio al counsellor fosse proprio quello con cui oggi molti ciarlatani giustificano il proprio operato: che lo psicologo sarebbe figura troppo connotata sul disturbo mentale, addirittura sgradita a persone che non hanno formulato una domanda di terapia.

Dopo tre anni di ‘colloqui’ il padre aveva denunciato il counsellor e lo psicologo, perché il ragazzo non solo non era migliorato, ma stava sempre peggio.

Chiunque di noi di fronte ad alcuni segnali tenderebbe a non sottovalutarli: nel caso specifico, si trattava di una forte incertezza dell’identità di genere, accompagnata da profonda ed evidente sofferenza soggettiva e da una situazione familiare difficile. Insomma, tutti gli ingredienti che dovrebbero imporre ai ciarlatani di ogni ordine e grado di starne alla larga, e perfino ai professionisti la giusta attenzione.

In realtà dovrebbe bastare anche meno, per stare alla larga da quel genere di attività che hanno a che vedere con la salute e i problemi personali delle persone. Ma sappiamo che non sempre avviene.

Alla fine, il tribunale aveva condannato il counsellor per esercizio abusivo a sei mesi di reclusione, e lo psicologo a due mesi per favoreggiamento.

Sono pene troppo brevi, rispetto al danno provocato e potenziale: non vengono nemmeno scontate.

Ma anche con pene più alte, nessuno restituirà mai a quel ragazzo e alla sua famiglia i tre anni persi in termini di salute. Non di perdita economica, beninteso: i soldi si possono pure recuperare con una causa civile. Ma la salute nessuno la rimpiazza: anni di vita, di felicità persi. Anni in cui un giovane è stato a rischio di aggravarsi. A rischio di comportamenti davvero pericolosi, data l’età e la situazione manifesta.

Resta una sentenza esemplare, per un tema attualissimo: oggi più che mai l’abusivismo ciarlatanesco impera.

Incontriamo infatti una casistica di abusivi che pretendono di assumersi il trattamento professionale di questioni personali, familiari, in ogni caso legate al funzionamento della psiche, senza rispettare i due requisiti che tali attività richiedono.

Non basta infatti ritenersi soggettivamente capaci. Anche mia zia è bravissima con la gente, chi parla con lei sta spesso dice di star meglio. Ma anche chi si cura con il vino dice di star meglio.

Anche il prete della mia parrocchia ci sa fare. E c’è pure un muratore in pensione che vive nel mio condominio che saprebbe improvvisare ottimi ponti in cemento armato, anche senza progetto: ha costruito ponti per una vita.

Oltre ad essere ‘capaci’, per fare certe cose occorre anche essere abilitati, e con abilitazione garantita dallo Stato. La ragione è semplice: è lo Stato che deve proteggere il bene pubblico della salute.

Quindi, ben vengano le sacrosante abilità personali. Ben venga la libertà nella scelta delle cure. Ma resto convinto che per mettere un trapano in bocca alla gente, progettare ponti, occuparsi della psiche altrui, lo Stato – e non le associazioni private – si debba rendere garante presso tutti i cittadini del fatto che Tizio ha seguito un certo percorso formativo, mentre Caio no.

Gli Ordini professionali servono per garantire qualcosa ai cittadini. Questa è la loro principale funzione a livello giuridico. Che tale funzione oggi vada interpretata in senso estensivo, come interfaccia proattiva fra cittadini e categorie professionali, è assolutamente pacifico. Gli psicologi e le attività riguardanti la psiche non possono sottrarsi a questo tipo di garanzia.

La difesa del lavoro degli psicologi c’è, ma viene dopo.

Talune attività sono state sempre protette, riservate solo ad alcuni. Ma in virtù del valore del loro prodotto, e non certo per un capriccio.

“Gli uomini capaci di trasformare le pietre i metalli erano considerati quasi dei maghi. Il loro destino era spostarsi in continuazione, di villaggio in villaggio, per vendere la loro arte”.
[didascalia del Muse, museo di storia naturale di Trento]

La prima forma di specializzazione professionale: l’arte di forgiare metalli. Oggi sentiamo persone che si scandalizzano perché certe professioni hanno gli Ordini, ma questo modo di organizzare le attività specializzate risale alla notte dei tempi e segna la distinzione che deriva da un’arte che non tutti possiedono, che richiede un addestramento specifico e ha un proprio valore economico.

Oggi le nostre orecchie debbono pure subire un’altra balla colossale: che la Legge 4/2013 avrebbe riconosciuto questa o quell’altra professione.

‘Il counselling è riconosciuto’, si legge in molti siti in modo fraudolento. Ebbene, è falso: la Legge 4/2013, e vale la pena di leggersela QUI, non riconosce affatto specifiche professioni, semmai disegna un riconoscimento delle associazioni private fra persone che esercitano attività non riconosciute. Offre loro la possibilità della normazione UNI.

La Legge 4/2013 non ha riconosciuto per nome alcuna professione: ha semplicemente detto che chiunque può dichiarare di svolgere una certa professione (!), e se si vuole farlo seriamente si può – ma non si è obbligati – intraprendere in associazione un percorso che somiglia più ad una certificazione di qualità che ad un Esame di Stato.

Ecco, non serve ribadirlo: Altrapsicologia negli ordini perseguirà una logica di forte difesa della professione, affinché sia chiaro al cittadino che lo psicologo è formato, competente, riconosciuto dallo Stato. Lo stesso non si può dire delle varie imitazioni in circolazione.