Di tutte le forze in campo in queste elezioni, una in particolare rappresenta a mio avviso l’unica vera novità. Questo gruppo di colleghi rappresenta un fenomeno sociale che va ben oltre la psicologia.
Il movimento del precariato, a volte condito da elementi lagnosi e a volte meno, ha una sua verità intrinseca che si radica nella condizione occupazionale vista da una ben specifica prospettiva: quella di un lavoratore verso il mondo dei datori di lavoro.
Tecnicamente, pure io sarei un precario, ma non mi sono mai visto come un ‘lavoratore’ che si rapporta a dei ‘datori di lavoro‘. Questa prospettiva mi salva dal precariato come condizione esistenziale. Eppure, anche io ho contratti di lavoro in Partita IVA, che non prevedono tutele e possono essere chiusi in ogni momento. Ho una casa e due figli da mantenere e mandare a scuola, e anche mia moglie – consulente del lavoro – lavora per uno studio nelle mie stesse condizioni contrattuali. Ma non mi sono mai visto e comportato come un ‘precario’: io mi vedo e mi comporto come un libero professionista.
Spesso devo accettare compromessi volti a ricondurre la mia ‘libertà professionale’ alle esigenze di questa o quell’azienda, ma per ora – soltanto grazie al valore delle prestazioni che offro, me la cavo abbastanza. Chiaramente, se non sapessi offrire un valore anche economicamente quantificabile, e non avessi trovato persone in grado di apprezzare il mio lavoro, non sarei né precario né libero professionista: sarei disoccupato.
Essere libero implica la diversificazione: avere più clienti e non uno solo. Spesso mi è stata chiesta l’esclusiva, in cambio anche di vantaggi economici, ma ho sempre pensato che sul lungo periodo preferisco guadagnare meno ma contare su più di un pilastro reddituale per vivere.
Torno a loro, questi colleghi che dopo un lavoro politico di anni, costante, hanno deciso di candidarsi per un ordine regionale.
Se dovessi giudicarli dal punto di vista della capacità di gestire un ente pubblico, io credo che per ora il mio giudizio dovrebbe essere negativo perché la loro visione non è ‘di sistema’, ma ristretta ad una esigenza molto limitata. Si vede da quanto scrivono che ancora non hanno incontrato il muro della realtà amministrativa della cosa pubblica, che richiede un atteggiamento di assunzione di responsabilità verso un’intera comunità professionale, piuttosto che di richiesta con delega all’Altro di soddisfarla o meno.
Si compiacciono dei loro propri successi, non comprendendo ancora che le risposte dell’Altro stratificano sempre ben più di un interesse, e di certo quello di un genuino interessamento alla loro condizione di precari non sta in cima. ‘Non dalla benevolenza del mugnaio possiamo aspettarci il pane per mangiare’ diceva Adam Smith. Contare sul fatto che siano altri a garantirci il lavoro è condizione pericolosa, aggiungo io.
Se invece dovessi giudicarli dal punto di vista di quanto rappresentano una parte della società, allora la valutazione sarebbe positiva: sono pienamente rappresentativi della dimensione esistenziale e sociale del precariato.
Ma sono un po’ come il partito dei pensionati, o degli automobilisti o degli ecologisti: associazioni politiche che non hanno una visione d’insieme, ma rappresentano soltanto parti, problemi limitati della società.
Questi colleghi sono destinati prima o poi a trovare lavoro. Che faranno allora? Come per i gruppi che basano la loro identità di gruppo sul fatto di essere ‘Giovani Psicologi’, il tempo e non la politica li metteranno di fronte ad una perdita di identità. E quindi forse a perdere il radicamento motivazionale della loro attività politica.
Anche Altrapsicologia è nata sul tema del precariato, ma l’abbiamo vissuto diversamente: credo che avessimo tutti quanti l’idea di voler lavorare davvero, di volerci affrancare dal ruolo di disoccupati cronici. Nessuno di noi aveva un lavoro stabile quando abbiamo iniziato, ma non ho mai percepito che la situazione di precariato potesse diventare un organizzatore d’identità personale e grippale, per nessuno di noi. E infatti fin da subito ci siamo posti altre domande, più ampie, sulla professione e sul ruolo di Ordini ed ENPAP.
Oggi alcuni dei pilastri fondanti di Altrapsicologia sentono il peso degli anni, vanno ridefiniti e approfonditi. E alcuni fondatori sentono pure loro il peso degli anni, vanno mandati alle terme a rigenerarsi. Ma la fatica del pensiero sui molteplici aspetti della politica e della professione è il segno di una visione di sistema.
Con questi colleghi che si affacciano oggi alle loro prime elezioni ordinistiche sarebbe anche bello intavolare un discorso, un dibattito politico. Ma pare addirittura che abbiano il timore di farlo, che percepiscano attorno a loro soltanto degli interlocutori ‘a cui chiedere qualcosa’, oppure ‘da evitare’.
Quel primo atteggiamento, di ‘richiesta’, mi pare modellato su un approccio paleo-sindacale, ma c’è un motivo se le cariche sindacali sono incompatibili con quelle politiche: il sindacalismo è rappresentazione di una parte sociale, non è una proposta politica e amministrativa.
Ho 31 anni, da 2 anni lavoro e vivo a Londra come Psicologo, ciò che ho trovato qui e costruito: una società, un lavoro che da neo laureato mi permette di fare progetti per il futuro non credo si possa costruire nemmeno in 10 nell’Italia di oggi, per questo con I miei colleghi nel nostro blog cerchiamo di spiegare quali differenze nel sistema Uk fanno una così grande differenza e la Politica ne é una prima causa. credo ci vogliano persone, come ricorda l’autore capaci di guardare e decidere assumendo la responsabilità per chi sogna di fare questa professione come per chi questa professione la fa.
Leggete il blog di http://www.psicologialondra.com
Per chi vuole davvero cambiare le cose perché non ispirarsi al modello inglese dove un neolareato triennale ha ad oggi l’opportunità di trovare un lavoro da 25 000 Sterline annue come primo impiego, senza vedere un ordine che invece prolunga di ud un anno il tirocinio obbligatorio e continua ad organizzare un esame di stato che. Non esiste in nessun altro paese!!
Luca, il sito non si apre…….comunque anch’io ogni tanto sono a Londra per delle collaborazioni e per formarmi. E’ un altro pianeta e la psicologia è più vicina al territorio (meno clinica e più sociale), vi sono 7-8 specializzazioni diverse (non solo la psicoterapia come da noi)riconosciute e il cui titolo è protetto; vi è un abuso professionale praticamente irrisorio; la psicoterapia è una professione a parte, non riservata a psicologi e medici; vi è un sistema accreditatorio e delle associazioni professionali (non gli Ordini); non ci sono 80.000 psicologi, ma 35.000 (su una popolazione nazionale pari alla nostra), ecc..Insomma, un altro pianeta, neanche lontanamente comparabile con il nostro E certamente più efficace. Pragmatico, non ideologico. Liberale, non talibano. Voilà
TI ringrazio Giovanni per il tuo commento, molto ben scritto e chiarissimo, posso chiederti di poterlo pubblicare sul nostro Blog?
Cordialmente, Luca
Luca, bell’idea e ottime prospettive sicuramente ma perdonami, Londra è invivibile. Piove sempre, tutti sclerati, si mangia da fastidio…quality of general life meno di zero…certo magari professionalmente è ok. Io ci sarò stato 5-6 volte, ma tutti gli amici che vivono là da anni sono esauriti. Non so…in bocca al lupo comunque!
Che dire, Federico… dal mio modestissimo punto di vista, ci hai preso in pieno. Quoto. E molto a testa bassa.
Io penso che necessariamente le azioni volte a riorganizzare la psicologia italiana debbano partire dal momento universitario. E’ impossibile trovare una ratio in questa professione finchè vengono sfornati migliaia di laureati e abilitati, con competenze infime, che si riversano in un mercato asfittico, confuso, povero e per di più in cambiamento.
I vari gruppi che si battono per avere accesso alle cariche ordinistiche sono animati dalle migliori intenzioni, ma sopratutto, come è ovvio per homo economicus, dai loro interessi personali.
La professione è difficile? Punto ad una rendita di posizione nella burocrazia di riferimento, c’ho famiglia. E’ ovvio, normale, nessuna polemica la mia. Mangiate finchè ce n’è, provando legittimamente a mettere qualche pezza in un sistema progettato male e gestito peggio.
Condivido in pieno le riflessioni di Federico, chiare e veritiere. Ma è la stessa storia che si ripete: entri con l’idea di cambiare qualcosa, ma il sistema è talmente forte e le sirene talmente suadenti che tutti si adeguano, anche i più intransigenti….cominciano a offrirti prebende e vantaggi, l’Ego cavalca, ti senti investito di mandato generale, ti gasi….e passano gli anni con un quasi nulla di fatto ma la casa arredata e il mutuo dimezzato. Cinico? Si. Ma avanti sempre.
Grazie Federico per la capacità di esporre concetti chiaramente. Io ammetto di aver provato a confrontare una collega, con cui ho collaborato, che si candida con la lista di “giovani psicologi”. Ma con poco successo. In effetti gli ho chiesto se poi, tra qualche anno, non avrebbe cambiato idea…avendone trentacinque…. Mi ha detto che non si trattava di gioventù anagrafica. Insomma, si tratta di un gruppo di interessi specifici, che vede nella contrapposizione all’interesse dei meno giovani l’obiettivo dell’azione “politico-ordinistica”. tipo “vietare a chi lavora nell’ASL di far alcuna altra attività”.
In effetti non hanno visione di sistema, e finiscono con il frammentare e limitare lo sviluppo della psicologia. E sappiamo tutti che abbiamo un enorme bisogno di sviluppare nuovi modi di essere psicologi!!! Come insegna anche l’esperienza inglese. Non solo di dividere meglio quel pochissimo che abbiamo.