Intervista a Sergio Benvenuto (Psicologo, psicoanalista e Ricercatore CNR)
Presentazione estesa di Sergio Benvenuto a fondo pagina
D. Ci siamo domandati, come AltraPsicologia, dello stato di salute della ricerca in Psicologia in Italia. Cosa puoi dirci dal tuo osservatorio? Quali sono secondo te i problemi principali?
R. Tu usi la P maiuscola per Psicologia: troppa grazia! Per me è sempre stata minuscola… Personalmente non ho mai fatto ricerca in Psicologia – piuttosto in psicologia sociale.
La mia impressione è che – a parte le solite importanti eccezioni – la psicologia in Italia è stata sempre una parente povera. Ma il punto è: che cosa s’intende per Psicologia? Ormai questo termine si usa solo per i rotocalchi destinati alle massaie e al pubblico lower class.
D. Quali sono le cause che hanno, secondo te, determinato questi problemi?
R. Il problema è sociologico: la psicologia, ripeto, è un campo per il pubblico di cultura medio-bassa. Quasi nessuna persona seria si dice più “psicologo”. E’ come un idraulico che si dicesse “stagnaro”. La psicologia è ormai una categoria della cultura di massa, non del mondo scientifico rispettabile. Chi non si vuole far ridere dietro oggi si dice “scienziato cognitivo”, “psicoanalista”, “psicoterapeuta”, “esperto di comunicazione”, “filosofo della mente”, ecc, mai “psicologo”!
D. Come mai è cambiata la denominazione da Istituto di Psicologia a Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione. Non che ci si affezioni ai nomi delle cose, ma questo cambiamento non sembra per caso un segnale di una trasformazione culturale più profonda?
R. Il mondo scientifico è soggetto a mode, fisime, conformismi, cotte, passioni, non meno del mondo dell’abbigliamento, per esempio, o delle arti o della musica. Oggi gli Anglo-Americani – che nella scienza come dappertutto sono gli Arbitri Elegantiarum – hanno deciso che quello che
contano sono le Scienze Cognitive e noi europei, alla periferia
dell’Impero, ci adeguiamo. Del resto al CNR per fare carriera devi pubblicare nelle riviste del Quotation Index, che sono – in grandissima maggioranza – in inglese e redatte da anglo-americani. Devi quindi assimilare la mentalità cognitiva anglo-americana, altrimenti sarai sempre un parya.
Credo che la voga del termine Cognitivo abbia essenzialmente un senso anti-psicoanalitico, come a dire: gli analisti, poveretti, si occupano della vita affettiva ed usano categorie affettive – noi cognitivi invece ci occupiamo della vita razionale (quindi, anche di quello che è razionale nella vita affettiva) usando categorie razionali. Per gli analisti i soggetti umani sono uomini e donne in calore, per noi cognitivi sono come software per computer, insomma processi logici. Le sedicenti scienze cognitive privilegiano un aspetto della vita umana – la cognizione, ovvero il sapere e il calcolo – e allo stesso tempo sono come ciò che privilegiano, moduli cognitivi. Il sapere si adegua al suo oggetto e viceversa.
Inoltre, si confondono scienze cognitive e cognitivismo. Alcuni scienziati cognitivi (Bateson, Varela, Edelman, Langacker, Lakoff, Rosch, Gallese, ecc.) non sono affatto “cognitivsti”. Le scienze cognitive sono interdisciplinari, nel senso che sono trasversali alle vecchie scienze accademiche (tra cui la psicologia) e si occupano spesso di questioni molto eccitanti. Il cognitivismo – derivante da Chomsky – è una teoria particolare che vorrebbe chiudere il campo, ma le scienze cognitive vanno ben oltre il cognitivismo! (Il cognitivsmo è l’approccio secondo cui la nostra mente è computazionale, insomma, come un software da computer.)
Anche se molto spesso i “cognitivisti” dicono “NOI siamo le scienze cognitive!”. Per fortuna non è così.
D. Cosa dovrebbe fare un giovane ricercatore, o un laureato, che volessero investire energie ed entusiasmo nelle ricerca in Psicologia per poter trovare degli spazi di azione e di sviluppo? A chi dovrebbero rivolgersi? Quali sono i campi più promettenti?
R. In Italia contano i potentati universitari: se un giovane troverà un professore potente – foss’anche in “Psicopatologia Sportiva” o in “Micologia Cognitiva” o in “Bizantinistica Psicologica” – e gli farà da portaborse per anni, probabilmente farà carriera. In Italia non si premia il merito e la creatività dei giovani: si premia solo la loro fedeltà ancillare (aiutare il professore a fare esami, a fargli da segretario, scarrozzarlo in auto, ecc.). Perciò siamo agli ultimi posti in Occidente per produttività scientifica (e non solo quindi per penuria di fondi).
Consiglio per i giovani attratti dalla ricerca, in psicologia o altrove? ANDARSENE ALL’ESTERO. In particolare, prendersi un PhD negli Stati Uniti – se hanno una famiglia che possa mantenerli in US per qualche anno – e cercare di fare ricerca là. L’Italia è sempre più un deserto. Quanto al
CNR, l’attuale governo lo sta di fatto smantellando.
D. Quali rimedi occorrerebbero per ripristinare, anche solo parzialmente, lo stato di salute della ricerca in Psicologia? Quale futuro si prospetta?
R. La domanda implica che la ricerca in Psicologia sia malata, e che quindi prima era in buona salute. Ma quando è stata in buona salute in Italia? In Italia non abbiamo mai avuto dei Piaget, o Wallon, o Gesell, o William James, o Vygotsky, ecc. Piuttosto siamo stati grandi in pedagogia – vedi Montessori o don Milani.
Come ho detto sopra, Psicologia ormai è un termine tabù: chi dice “sono psicologo” è come chi dicesse “sono un cocchiere di carrozelle” oggi nel 2005. Certo esistono ancora, in particolare a Firenze, dei conduttori di carrozzelle, ma non credo che sia la professione dell’avvenire!
E poi, QUALE psicologia? Ho sempre concepito le facoltà di psicologia come certi quartieri delle metropoli americane, dove c’è da una parte il ghetto dei negri, dall’altra il ghetto degli ebrei, dall’altra quello dei cinesi, e dei russi, ecc. ecc. Il quartiere ha un unico nome, ma di fatto la popolazione è del tutto eterogenea. La Psicologia è un’invenzione della storia accademica d’Europa, non una regione dell’Essere. E’ un cerchio arbitrario tracciato sulla sabbia. Non ho mai pensato che esista la psicologia, e nemmeno la Psicologia come tu scrivi.
Di fatto si iscrivono a psicologia persone di culture, vocazioni,
interessi, mentalità del tutto diverse, se non opposte. Si iscrive a Psicologia la ragazza che aspira solo ad essere “una mamma abbastanza buona”, così come chi vuole approfondire le neuroscienze o la psicoanalisi lacaniana! Che c’è in comune tra questi esemplari?
Personalmente, non ho mai considerato un laureato/a in psicologia un mio/a collega, e credo che buona parte dei laureati in psicologia avrebbero orrore nel dirmi un loro collega.
Personalmente, scinderei la facoltà di psicologia in dipartimenti distinti: uno di Psicologia Pratica (per tutti quelli che vogliono aiutare l’anima del prossimo, infermieri dello spirito, educatori, psicoterapisti, ecc.), un’altra di Scienze della Mente (e non cognitive!) e infine un’altra di Scienze Critiche (il dipartimento nel quale io vorrei insegnare). La psicoanalisi seria dovrebbe entrare in quest’ultima.
Presentazione di Sergio Benvenuto
Risiede a Roma.
Psicologo, psicoanalista e filosofo, è ricercatore presso l’Istituto di
Scienze e Tecnologie della Cognizione (ex-Psicologia) del CNR a Roma.
E’ membro del comitato scientifico della Società Gruppo Analitica Italiana
(SGAI) e responsabile per l?Italia dell’Institut des Hautes Etudes en
Psychanalyse, con sede a Parigi.
Laureatosi in Psicologia all’Università di Parigi nel 1973, si è quindi
laureato in sociologia all’Università di Urbino nel 1976. Ha seguito
l’insegnamento di Roland Barthes e Jacques Lacan a Parigi, di Elvio
Fachinelli e di Diego Napolitani a Milano. Ha insegnato nelle università di
Siena, Chieti-Pescara, Trento e Catania, ed è stato per due anni Visiting
Researcher alla New School for Social Research di New York.
Direttore del semestrale “Journal of European Psychoanalysis”, che si edita
a Roma e a New York, è stato capo-redattore del trimestrale “Lettera
Internazionale” (del cui comitato scientifico fa tuttora parte) ed è
columnist del trimestrale Lettre International di Berlino.
Ha pubblicato alcuni libri, e oltre 360 saggi (su oltre 70 riviste,
italiane e straniere), sulla filosofia delle scienze sociali e della
psicologia, sulla psicologia sociale, sulla teoria psicoanalitica e sugli
Studi Culturali. Le sue pubblicazioni sono in varie lingue – inglese,
tedesco, francese, ungherese, spagnolo, croato, rumeno, russo, ecc.
Tra i suoi libri:
“La strategia freudiana”, Liguori, Napoli 1984
“Confini dell’interpretazione. Freud, Feyerabend, Foucault”, Teda,
Castrovillari 1988
“La bottega dell’anima” con O. Nicolaus, FrancoAngeli, Roma 1990
“Capire l’America”, Costa & Nolan, Genova 1995
Capitoli di “Kursbuch Stadt. Stadtleben und Stadkultur an der
Jahrtausendwende”, Redaktion Stefan Bollmann, DVA, Stuttgart 1999
“Dicerie e pettegolezzi”, Il Mulino, Bologna 2000; Edizione ungherese:
Városi legendák. Miért hisszük el, amit mondanak? Casa editrice Gondolat,
Budapest 2004
?Un cannibale alla nostra mensa. Gli argomenti del relativismo nell?epoca
della globalizzazione?, Dedalo, Bari 2000
“Perversioni” – 2005 in stampa