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 “L’anima volgare, riconoscendosi volgare, ha l’audacia di affermare il diritto della volgarità e lo impone ovunque”

[Ortega y Gasset, La ribellione delle masse]

 

L’obbiettivo nella democrazia è consequenziale alla definizione stessa di democrazia: partecipare al governo delle cose pubbliche.  E parteciparvi, non significa necessariamente candidarsi, ma è in primo luogo esercitare il proprio diritto al voto, che è a tutti gli effetti un’azione politica, che assicura la libertà a chi la pratica.

Questa libertà è diversa da quella che vediamo oggi nei fatti, rappresentati da una delega sostanziale a dei piccoli despoti che sembrano appartenere ad una anonima macchina di produzione, lontana concettualmente ed emotivamente dalla realtà libero professionale della nostra categoria.

Ho sempre pensato che la partecipazione di uno psicologo a contesti  di politica professionale potesse essere l’occasione per acquisire una dimensione allargata, una maggiore consistenza e spessore che tornassero utili anche alla propria stessa umanità.  

Guardando però a chi ha governato su larga maggioranza il nostro ente previdenziale negli ultimi anni, questo non sembra essere accaduto.

Al contrario, il confronto tra la complessità che sarebbe necessaria al governo di un ente di previdenza e la volgarità, la grossolanità, l’inciviltà con cui invece è stato gestito in questi anni, appare particolarmente doloroso, specie quando questa grossolanità viene sbandierata pubblicamente con un certo orgoglio.

L’ansia di apparire esperti di cose che semplicemente non conoscono, spinge oggi molti colleghi che stanno all’attuale maggioranza del governo dell’Ente a simulare certezze inesistenti, che immiseriscono il dibattito elettorale e che tolgono la speranza in chi assiste ai loro discorsi ed è chiamato a rinnovare il governo dell’ENPAP. Privano i colleghi della speranza di comprendere meglio ciò che è accaduto e accade dentro all’ente, la speranza di poter capire come stanno realmente le cose, quali le possibili soluzioni e quali le scelte più adeguate da compiere per provare a governare meglio il  nostro futuro pensionistico.

L’angoscia di non poter esercitare il potere indisturbati, ha spinto i colleghi che stanno all’attuale maggioranza a scegliere tra i loro più fidi devoti, le persone che avrebbero dovuto invece esercitare un controllo di garanzia sul loro operato, con le conseguenze tristemente note.

Il terrore di perdere la loro egemonia, li ha portati a definire discrezionalmente e senza possibilità di contraddittorio, i nomi di chi dovrà vigilare sul corretto andamento delle prossime votazioni sia nel seggio centrale che nei seggi periferici.

Ci dovrebbe quantomeno stupire quindi che chi ha deciso chi sono i propri giudici, accusi di parzialità chi partecipa alla stessa gara ma si ribella per non aver avuto modo, come da proprio diritto, di contribuire alla scelta dei giudici stessi.

Ci dovrebbe stupire a maggior ragione se chi fa queste affermazioni, fa parte di quel gruppo di persone alle quali è stato chiesto di dimettersi, in forza di una petizione che ha raccolto più di 8000 firme di colleghi e che a fronte di queste richieste, le ha totalmente ignorate.

Ma tutto questo non ci stupisce. Semplicemente ci preoccupa, perché loro chiamano tutto questo: “democrazia”. Perché questa è la “democrazia” che piace a loro.

La Democrazia che piace a noi è quella in cui tutti i partecipanti ad una competizione definiscono insieme le regole e le modalità per individuare i giudici della gara. Perché se c’è anche solo il sospetto che il legame tra arbitro e giocatori sia meno che limpido, la partita è senz’altro falsata e chi ne paga le conseguenze, è il futuro, il futuro di tutti i colleghi.

La Democrazia che piace a noi è quella in cui chi riceve un avviso di garanzia si dimette dalla propria carica e non rimane ancorato alla propria poltrona come se nulla fosse.

La Democrazia che piace a noi richiede sforzi continui, lungimiranza e voglia e capacità di mettere da parte egoismi personali ed interessi di bottega per realizzare un progetto condiviso che vada a vantaggio di tutti.

La Democrazia che piace a noi è questa; altre – sia pure con lo stesso nome –  non ci appartengono e non ci apparterranno e ci vedranno sempre impegnati nel metterle in discussione.