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ungi da me l’idea di sviare le vostre speranze: ci penserà la vita. Come tutti gli altri passerete di caduta in caduta.

E. M. Cioran

Ma la cosiddetta “psiche”, la cosiddetta “anima”, che fine ha fatto? Fu incaricata la Psicologia scientifica di studiarla, e la Psicologia applicò all’anima i suoi metodi scientifici. Che cosa siamo venuti a sapere dai suoi risultati?.

M. Zambrano

La difficile situazione lavorativa degli psicologi in Italia, sul piano della qualità professionale, su quello della precarietà e della condizione a volte di dipendenza da altre professioni se non di sussidiarietà accessoria, denuncia di per sé una condizione paradossale e di crisi forse non ancora del tutto compresa, se non ignorata o sottovalutata nelle sue premesse e nei suoi effetti. Stretta tra la tentazione di scimmiottare la medicina o di rimanere avvinghiata ad un lessico pseudoscientifico, che rassicura e appaga, imprigionata ad un’epistemologia screditata ormai persino in parte dalla biologia e dalla fisica moderna – alcuni psicologi sull’animo umano pretenderebbero di essere più precisi dei fisici, dimentichi dell’imprevedibilità dell’uomo, già predicata da Nietzsche e prima di lui su un versante da S. Agostino e su altri dagli stessi greci – e quasi sedotta a schernire alcune scienze sociali o la attuale “consulenza filosofica”, perché poco avvezze al sapere scientifico o alle psicodiagnosi, senza cercare di cogliere il senso di quello che sta accadendo e il perché possano avanzare tali proposte, una certa psicologia non poteva che fallire, epistemologicamente e storicamente prima ancora che in campo clinico, laddove tuttavia il buon senso e la “preparazione umana” di molti colleghi hanno permesso di aiutare comunque. Che cosa rende uno psicologo tale? Che cosa consente l’aiuto, la ripresa, la comprensione della sofferenza? E’ forse nella esclusiva conoscenza teorica, la differenza di preparazione e la competenza sull’animo umano? Se fosse così una persona sofferente dovrebbe incontrare un qualsiasi computer, che è ben più preparato di un qualsiasi psicologo. Oppure potrebbe bastarle la lettura di un libro di psicologia per affrontare e superare i propri problemi. Forse occorre sapere che non esistono manuali per la sofferenza: né per quella propria né per quella degli altri. Per la sofferenza si è soli con il nostro vissuto. Il vissuto allora è l’unica traccia disponibile su cui leggere le parole che non riusciamo a volte a scrivere, a comprendere o a pronunciare, segnate su quella sabbia finissima che si cancellerà alla prossima onda irrequieta o pronunciate sottovoce su quella soglia dell’indicibile, che è tale forse perché non ascoltabile da altri.

E’ necessario dunque attraversare la crisi e cercare di unire la preparazione teorica all’esperienza vissuta. Ciò che cerchiamo, ci ricorda Buber, quando siamo disperati, è una presenza amica attraverso cui poter vivere e capire che esiste ancora il senso delle cose. La presenza dell’altro che ognuno cerca, compreso lo psicologo quando vive la sua malinconia – la vita non disdegna a nessuno di far sentire alcuni effetti di momenti particolarmente significativi – è una presenza, un’esistenza che faccia capire il senso e la misura delle cose e faccia riprendere il cammino. O, ancora, il senso delle cose non può che giungere attraverso l’altro, ma un altro che sia testimone dell’esistenza e di quanto ha rinvenuto di fondamentale e di importante nello studio per l’esistenza. L’inutilità delle parole è data dalla mancata testimonianza su di esse, dal loro silenzio. Lo psicologo se intende essere credibile, autorevole e scientificamente valido deve essere testimone della sua preparazione e della sua esperienza. Lo psicologo che ha cercato la scientificità e non la questione personale in ogni caso non ha fallito nella sua ricerca. Le sue intenzioni erano e sono importanti. Ma la ricerca dell’animo umano, nei termini che riteniamo scientifici, non può non compiersi in un incontro interpersonale, che non è una condizione fumosa e decadente: è una possibilità tutta umana, come ha più volte sottolineato Binswanger, quella di incontrarsi, intuibile in ogni parte del mondo da ogni uomo e ripetibile ovunque e sempre, se vi sono le condizioni. Una certa arte e una certa filosofia sono riuscite lungo i secoli a compiere una tale sintesi universale su temi fondamentali della vita, anche se il confronto avviene con frammenti di verità per quello che riguarda il mistero dell’uomo.

La coscienza dell’uomo, la presenza dell’altro o la sua assenza, il senso delle cose, la sofferenza della vita e la responsabilità su di essa, il senso di disperazione o della speranza, della nostalgia, del non aver capito in tempo o abbastanza, del nostro essere responsabili piuttosto che colpevoli o innocenti, il vissuto di fronte alla perdita, alla religione, al male, agli altri, al senso, alla vita in genere, al tempo, allo spazio, alla nostra angoscia, la sospensione di ogni giudizio e pregiudizio, l’essere-nel-mondo: sono solo alcuni dei temi che la filosofia esistenziale e la fenomenologia, husserliana e steiniana in particolare, hanno trattato. Come può lo psicologo prescindere da ciò, ignorando tale importante contributo? Come può lo psicologo ignorare che ciò che fa la differenza è la capacità di aver maturato egli stesso, dentro di sé, le questioni fondamentali dell’esistenza? E’ così che non può essere ignorato quanto offerto non solo dalla filosofia esistenziale e dalla fenomenologia, ma anche dall’arte e dalla sfida che la vita pone ad ogni passo a ciascuno, dalla poesia interiore di ognuno, nessuno escluso.

Preso atto del fallimento di una certa psicologia e che in ogni caso non ha fallito la funzione dello psicologo, decisiva ed importante, che ha vissuto fino in fondo la crisi (epistemologica e storica) e che è necessario saper difendere, occorre ora ricostruire, iniziando dal piano epistemologico la stessa psicologia o, se si vuole, farla rinascere dalle proprie ceneri storiche. E’ certamente difficile unire la preparazione, il metodo con il ricominciamento radicale sempre e di nuovo: ma non esiste al momento altra via da poter percorrere. Si è soli nella nostra ultima solitudo, eppure in relazione con gli altri, laddove il Noi anticipa l’Io e il Tu, per come Buber sul versante filosofico e Callieri su quello psicopatologico hanno posto in rilievo, mentre è proprio il nostro essere individualmente responsabili a renderci uomini.

Per poter fare questo occorre che il dibattito sia aperto e acceso e radicato sulle questioni dell’esistenza. Ecco perché ogni psicologo dovrebbe avere la possibilità di riconoscere nella psicologia fenomenologica ed esistenziale, in quella che affonda le sue radici in Husserl, E. Stein, M. Scheler, M. Merleau-Ponty, così come in L. Binswanger, K. Jaspers, E. Minkowski, o anche in Agostino, Pascal, S. Kierkegaard, per certi versi in M. Heidegger, e poi in P. Ricoeur, in M. Zambrano, in E. Lévinas, e nella psichiatria fenomenologica, il contributo assai concreto al suo lavoro.

Non esiste possibilità effettiva di operare se non attraverso quella testimonianza offerta dalla maturazione personale che giunge da un percorso esistenziale spesso segnato dalla sofferenza. E’ il lungo cammino verso il silenzio, l’umiltà, il sapere di non sapere, il mettere in parentesi ogni sapere, che apre di fatto la questione etica della psicologia. Lo psicologia non può esaurirsi nella giustificazione della realtà. La realtà delle cose nel vissuto si radica in un mondo in divenire. Ma anche il proprio vissuto può non essere compreso. La psicoanalisi ad esempio ha posto una sua radicale questione nelle radici di un possibile (e grave) autofraintendimento. “Caro collega – sembra ammonire la psicoanalisi – se vuoi diventare esperto della mente, se vuoi operare in tale ambito, devi scendere alle radici del tuo essere, nel tuo crogiolo ultimo, nel possibile male che sa come travestirsi di bene”. A di là della condivisione o meno di tutta la metapsicologia freudiana o di quella attuale, della questione sull’inconscio ecc., rimane valida l’intuizione per la quale occorre porre al vaglio, possibilmente di un altro, il proprio operato e il proprio pensiero in un incontro importante, significativo, senza sconti. E’ una questione intersoggettiva e in tal senso etica, ma è anche universale e oggettiva perché indiscutibilmente valida per ogni uomo. La conoscenza personale nasce come conoscenza interpersonale. E, come Buber ha osservato, la conoscenza di quello uomo in particolare non può prescindere dalla conoscenza dell’uomo in generale. Tuttavia intriso di mistero e incompleto. La vertigine che sale nell’oscillazione continua tra l’universale e l’individuale, pur creando un gioco di specchi a volte abbaglianti, lascia sempre uno iato da scoprire, su cui intervenire, su cui ritrovarsi con quello uomo. Marcel ha subordinato ogni ideale al primato della persona. Non si può agire per principi o ideali, ma per gli uomini. Non è possibile agire, nel campo della psicologia, solo con la preparazione teorica. E’ così che sulle questioni radicali della vita non può lo psicologo sottrarsi al confronto e su quel terreno e su quello della testimonianza di esse, deve convincere. Non su altri. Non su quello del potere accademico. Non certamente su quello delle ricerche pseudoscientifiche che scoprono quanto era da sempre conosciuto all’uomo, rasentando altre volte il ridicolo, se non il grottesco con pseudoscoperte. Non su quello della esclusiva costruzione teorica. La splendida, lucida e matematica teoria potrebbe franare rovinosamente e crollare di fronte alla sofferenza autentica di persone ricoverate in un qualsiasi reparto di oncologia.

Chi opera in campo oncologico, criminologico o con patologie gravi sa benissimo quanto siano fondamentali le questioni di vita o di morte, la testimonianza dell’operatore e la sua parola intrisa di corporeità, data dalla sua umana, spesso troppo umana (in-) coerenza. Non è trinceandoci dietro la laurea o un corso di specializzazione, per come a volte viene proposta o imposta con i suoi piani di studi spesso distanti dall’uomo, avulsi dalla vita, che renderemo la professione valida, credibile, attendibile, autorevole. E’ nell’umiltà della consapevolezza, è sulle questioni fondamentali della vita, su cui chiunque, meglio se artista, può dire la sua opinione e che si potrà e si dovrà testimoniare. Forse è in questo il compito ultimo dello psicologo, nella sua testimonianza, proprio quando ricerca nell’animo umano l’attimo poetico da vivere con la persona che incontra, tra la ripresa del paziente e la testimonianza del terapeuta. E’ così che diventa importante il poter esprimersi di chiunque sull’amare, sulla perdita, sul senso della vita, della sofferenza, della religione, del silenzio, oltre che delle parole. E’ così che l’arte diventa un terreno non da colonizzare, con le spiegazioni manualistiche già pronte, ma da coltivare e da cui andare a raccogliere, con il permesso dell’arte stessa, i frutti. E’ così che forse così non cambieremo lavoro, ma cambieremo il nostro modo di lavorare. E’ forse così che lo psicologo diventerà lo studioso dell’anima, del soffio di vita, a volte così tenue, eppure così intenso.

In tutti gli ambiti in cui opera, lo psicologo, come ogni uomo, può porsi in maniera efficace e disponibile al dialogo con chiunque, così come può cedere in alcuni momenti  alle lusinghe delle Sirene: la conoscenza assoluta e la gloria anzitempo. Un attimo prima del naufragio. L’esperienza del confronto con chiunque e senza alcun timore  o la stessa supervisione, ad esempio, in altri contesti, quale rapporto interpersonale, diventa centrale e rende il proprio operato e il proprio essere conoscibile. Non abbiamo paura delle questioni della vita. Abbiamo attraversato la crisi.

Sul piano teorico il confronto con gli altri, con chiunque altro, è decisivo, gli arroccamenti non producono conoscenza, né personale né universale. E sembra stia diventando quasi patetico ormai il tentativo disperato di continuare a parlare, da parte di alcuni, di una scientificità (quella naturalistica e riduttivistica) che non appartiene alla psicologia. E’ dal confronto costante che le crisi diventano opportunità di crescita. La psicologia fenomenologica ed esistenziale è già dalla sua nascita aperta al dialogo sulle radicali questioni della vita, senza possedere ultime o penultime parole, ma gettata in una ricerca costante, in un ricominciamento, a volte stancante, ma necessario per poter di volta in volta, nel divenire dell’esistenza, comprendere ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta, a partire dal quotidiano, dal sorriso del proprio figlio o della persona amata, nel luogo del ritrovarsi, nel rientro a casa, laddove ognuno vive o dovrebbe vivere, compreso lo psicologo.

Possibili obiezioni all’articolo:

Qual è la finalità?

Non ho finalità particolari, se non quelle dettate dall’amore verso la psicologia, quella che studia l’animo umano. Certo, è anche vero che l’amore spesso è ambizioso. Forse è molto ambizioso ritenere che la psicologia possa rinascere, ma penso che sia veramente possibile. Occorre cercare di effettuare quel salto epistemologico che ancora non riesco ad individuare se non nelle parole di colleghi che a bassa voce, per timore non essere più “scientifici”, mi informano che sono d’accordo sul ricercare la spiritualità nell’uomo, senza ingenuità o saggezza, e sul procedere su altri sentieri (scoscesi) della scientificità. Dopo Auschwitz e dopo ogni strage, occorre chiedersi non solo quale filosofia e quale poesia, ma anche quale psicologia sia possibile. Forse è il caso di chiedersi “quale psicologia?” dopo ogni suicidio o ogni attuazione di violenza. L’uomo è capace di compiere le azioni più nobili o quelle più nefande: è la responsabilità su di noi e sugli altri che crea la differenza, sul nostro modo di amare e di vivere la perdita, al di qua di ogni ideale. Alla psicologia il compito di riscattare l’uomo e la sua dignità.

Il nostro sapere psicologico, tutto quello che abbiamo studiato a cosa servono, allora?

Mettere in parentesi il sapere non significa cancellare oltre un secolo di storia della psicologia, le sue discussioni, i suoi temi, i suoi problemi, i suoi contenuti, le prospettive diverse. Ma occorre porre in crisi e mettere alla prova tale sapere, nonostante possa continuare a vivere in parentesi. I manuali di psicologia aiutano, da soli, a conoscere l’uomo? O è necessario unire il sapere teorico con quello della vita, del mondo-della-vita? Occorre certamente rispettare le ricerche, le intenzioni, i risultati cui si è giunti. Tuttavia occorre anche analizzare il vissuto dell’uomo sulle questioni fondamentali dell’esistenza. Il timore, il tremore, con cui si potrebbe vivere il non essere sufficientemente “scientifico” – lo psicologo vive nel terrore di non essere considerato scientifico: ciò è comprensibile sul piano umano e storico, ma foriero di equivoci epistemologici anche gravi su quello della ricerca – hanno fatto perdere di vista quanta scientificità autentica possa esserci nella universale intuizione delle cose, date da altre forme di conoscenza. L’arte ad esempio, la poesia, la letteratura, la stessa filosofia offrono da secoli i loro contributi sull’uomo e sulla sua inquietudine. Tale sapere psicologico universale viene da noi sufficientemente considerato? Quanti esami su W. Shakespeare, su A. Camus, su F. M. Dostoevskij o sulla fenomenologia e sulla filosofia esistenziale si sostengono nelle università? Chi conosce gli studi di Husserl o di E. Stein sulla psicologia? Sono certamente autori complessi, ma è un motivo valido per ignorarli? Chi ha detto che comprendere l’uomo sia semplice? Dov’è l’uomo in alcuni corsi universitari? Potrà mai essere misurata la gioia o la tristezza? O questi vissuti, come altri, essendo qualitativamente diversi, animano la stessa “misura” come portata metaforica, che viene scambiata, in certe occasioni, per le analisi del sangue? Se uno psicologo è triste da quale collega andrà? Da chi ha già le risposte confezionate o da chi cerca nell’animo umano ancora qualcosa?

E’ la proposta di un’altra psicologia? Non ve ne sono già troppe?

Le proposte di psicologia e sulla psicologia non sono mai troppe, se ricercano la verità, nel senso di E. Stein. Non si tratta, infatti, di vendere prodotti, ricette o risposte oppure di cercare adepti. Ciò che crea la differenza tra una scuola e un’altra o, meglio tra uno psicologo e un altro, è proprio la capacità di ciascuno, con i propri limiti ovviamente, di riuscire ad armonizzare il senso della propria vita con le proposte effettuate. La conoscenza psicologica non è un camice da poter indossare o togliere. E’ il primato, se si vuole, della questione etica sull’estetica, in un ricominciamento continuo lontano da metodologie inopportune. La psicologia fenomenologica ed esistenziale è forse una proposta, sì, ma antica, ponendosi in una venatura storica di pensiero e di testimonianza. Tuttavia in cammino. E ognuno può offrire il suo contributo. Si è come viandanti, molte volte soli, ma non con sandali alati, come quelli di Ermes, che consentivano lo spostamento in ogni direzione, ma con calzari poco efficaci a volte, poco protettivi in altri momenti, assai spesso poco lucidi, molte volte impolverati, appesantiti dal tempo. In tale percorso è fondamentale incontrare le persone, capire le loro ragioni, i loro vissuti e ascoltare ciascuno e con chiunque dialogare, discutere anche animatamente. Non per con-vincere, tuttavia, ma per ritrovarsi assieme al fine di costruire un tipo di sapere valido, non fallimentare, anche se costituito da frammenti di verità. E insieme cercare l’uomo, anche in piccoli laboratori artigianali, ricolmi di sogni a volte coperti dalla caduta del tempo, dove si cerca di far convivere il sapere proposto da altri con la propria esperienza teorica e, soprattutto, di vita, dove si rimane in perenne ricerca di una psicologia radicata sulle questioni centrali dell’uomo, soprattutto di quanti hanno sofferto o soffrono ancora. Non vi sono altre condizioni umane dove si richieda maggiore autenticità che in quella della sofferenza e dell’amore.

Bibliografia

Per la bibliografia si fa riferimento agli scritti dei classici della fenomenologia e della filosofia esistenziale (da S. Agostino a Jaspers, da E. Husserl ed E. Stein a P. Ricoeur, a M. Zambrano, a E. Lévinas…) e della psichiatria fenomenologica italiana e tedesca, soprattutto. Si rimanda inoltre alla rivista “Comprendre”, diretta dal prof. L. Calvi, disponibile ora anche online (http://www.rivistacomprendre.org), organo ufficiale della Società Italiana per la Psicopatologia, e agli studi svolti presso il Centro Studi Interdisciplinari di Chiavari (diretto dalla prof.ssa A. Dentone) e a quelli realizzati presso il Centro Italiano Ricerche Fenomenologiche di Roma, affiliato al “The World Phenomenology Institute (Usa), diretto dalla prof.ssa A. Ales Bello.

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Ringrazio il dott. Umberto Lamberti per avermi richiesto questa nota.

E-mail: adelucapsy@libero.it