Psicologia: mala tempora

 

Il 5 Novembre scorso il MIUR ha emanato un decreto in base al quale la specializzazione post lauream in psicologia clinica passa congiuntamente alle facoltà di psicologia e di medicina. Già la psicoterapia è una specialità a mezzadria fra psicologi e medici: l’estensione del terreno di sovrapposizione fra le due discipline ha sollevato le ire degli psicologi italiani. E il 10 dicembre ci saranno tutti, o quasi, a reclamare l’esclusiva psy sulla psicologia clinica: da Altra Psicologia e dal Coordinamento degli studenti di psicologia che l’hanno promossa a tutte le associazioni e i sindacati di categoria, all’Ordine. A ben vedere però dietro la rabbia e la voglia di far valere le proprie ragioni su questo fatto specifico, molti sono i motivi di disagio che agitano gli psicologi italiani.

Intanto negli ultimi anni l’Europa ha cominciato a mordere sul collo tutte le nostre sonnacchiose corporazioni professionali, i cosiddetti Ordini, e ad avviare una serie di politiche di liberalizzazione del mercato delle prestazioni professionali che per ora sono solo delle raccomandazioni ai singoli governi, ma che, ove applicate, minerebbero alla radice i principi costitutivi della varie corporazioni nostrane.

Il fatto, poi, che Prodi intenda prendere sul serio i suggerimenti di Bruxelles, unito alla sensazione che con la fine del governo Berlusconi possa cessare da un momento all’altro la solita politica di appeacement che, in barba al liberismo, i centristi e la destra italiana hanno avuto da sempre con il mondo delle corporazioni e degli Ordini, i riflette all’interno delle professioni più giovani come quella degli psicologi incrementandone i motivi di ansia e di inquietudine.

La situazione poi è resa più difficile perché a 13 anni dalla nascita dell’Ordine e a 30 dall’apertura delle prime facoltà di psicologia si sono andati sedimentando in ambito psy un insieme strati e di interessi che spesso mostrano alcuna capacità di massimizzazione di ciò che di buono è stato fatto in questi anni dagli psicologi all’interno del welfare e nel mondo della libera professione, scarsissime capacità di lettura della potenziale domanda di psicologia presente in Italia, alcuna propensione all’assunzione di un punto di vista comune a difesa e per lo sviluppo di una immagine alta della professione.

Ci sono gli accademici, paradossalmente lontanissimi dal mondo della professione, che oltre a non far nulla per individuare cosa chiede la società alla psicologia; si sono inventati, per esigenze legate alla moltiplicazione delle cattedre, una laurea breve, lo junior, che poi l’Europa ha bocciato perché senza sbocchi: che per lo stesso motivo ha aperto un sacco di nuove sedi, scarsamente qualificate in ogni dove (l’ultima a Chieti ha accolto da sola l’anno scorso 2000 matricole!), e che mostrano di avere tanto a cuore la clinica da essere gli unici che finora non hanno fatto nulla per mantenere in ambito psy la clinica psicologica. Anzi.

Poi c’è l’Ordine che, dopo un momento iniziale in cui è riuscito a far decollare alla bell’e meglio il treno della professione, si è andato avvitando su se stesso e, in base a vari cavilli burocratici partoriti nei corridoi del MIUR, non è stato rinnovato da ben 7 anni mentre la categoria esplodeva in termini numerici e una massa di giovani psicologi, portatori di nuovi interessi e bisognosi di nuove tutele entrava nel mercato.

Ci sono poi alcune migliaia di psicologi psicoterapeuti di una certa età, assunti a tempo indeterminato e arroccati all’interno delle vecchie strutture del welfare italiano (sanità, assistenza) che però, un po’ per l’insipienza dei sindacati di categoria, un po’ per la concorrenza degli psichiatri, rischiano di non essere sostituiti allorché andranno in pensione e di vedere dissolversi come neve al sole un patrimonio di conoscenze e di pratiche psicologiche nate e sviluppatesi nei servizi in questo trentennio.

Segue una massa di giovani e giovanissimi neolaureati che o si accalcano come libero-professionisti nel campo della clinica, o lavorano come precari nelle sedi del nuovo welfare mix, spesso sottopagati e senza alcuna sicurezza circa il loro avvenire, o più prosaicamente lavoricchiano, pagano tasse salatissime pensate dai maggiorenti dell’Ordine sulla base di un profilo professionale che semplicemente non esiste, accumulano salario differito e mettono il loro futuro nelle mani di una cassa mutua di categoria, l’Enpap, che in effetti appare sempre più incapace di dare sicurezza ai giovani.

Ed infine c’è un mondo di formatori, di supervisori, di psicologi didatti che campano sui giovani aspiranti psicoterapeuti. Qui sono nate in questi ultimi anni, a fianco a luoghi di eccellenza, ed in base ad una politica clientelare che troppo facilmente elargisce autorizzazioni-MIUR all’esercizio della didattica, oltre 270 di scuole di specializzazione che spesso cannibalizzano i giovani, costretti a rivolgersi a loro se vogliono il patentino della clinica.

Da ultimo, e a pochi mesi dalla probabile caduta del governo Berlusconi, all’improvviso una svolta: la chiamata alle urne degli psicologi durante le vacanze di Natale e col malcelato proposito che alle urne si rechino solo i soliti noti, nel tentativo di salvare il salvabile, da parte di un Ordine, ormai del tutto squalificato e autoreferenziale, che in questi 7 anni si è alleato con la destra berlusconiana a tutela praticamente delle proprie rendite di posizione, e che mira solo a perpetuare la permanenza nelle stanze dei bottoni di uno strato sottilissimo della categoria: quello dei suoi rissosi “politici di professione” che altro non pensano che a restare a galla in ogni caso.

I punti focali, in base ai quali si deciderà il futuro della psicologia in Italia, sono a nostro avviso: – come contemperare la spinta europea e prodiana alla liberalizzazione delle professioni con le esigenze di sviluppo e di tutela di una professione giovane e dei giovani che in essa accedono ora al mercato del lavoro; – come avviare una riforma delle facoltà di psicologia che mantenga la libertà di accesso alle facoltà e garantisca un percorso di professionalizzazione più serio, incardinato intorno al tirocinio in itinere e ad un legame più stretto con il mondo reale della professione; – e soprattutto l’avvio di una seria e attuale analisi di mercato volta ad evidenziare agli occhi dei politici, delle forse produttive e della stessa università quali possano essere gli sbocchi di una professione che si sta ripiegando sulla clinica, incapace di vedere al di là del proprio naso le svariate possibilità di specializzazione e di impiego per la categoria, e cioè la psicologia delle organizzazioni e del lavoro, quella giuridica, etc. intorno alle quali costruire percorsi formativi nuovi, nuove opportunità d’impiego, nuove normative che ne sanciscano la legittimità.