SOS Case di Riposo

Con l’Allegato A della D.G.R. n° 84 del 16 gennaio 2007 la Regione Veneto definisce gli standard relativi ai requisiti di autorizzazione all’esercizio e accreditamento istituzionale dei servizi sociali e di alcuni servizi socio sanitari.

Le nuove case di riposo, ora chiamate centri di servizi per persone anziane, sono suddivise in base all’intensità del bisogno assistenziale, che per i non autosufficienti può essere di tipo ridotto-minimo o maggiore.

Se prendiamo gli standard relativi ad un ipotetico, ma realistico, centro servizi con 60 ospiti con maggior bisogno assistenziale, gli standard sono i seguenti:

n°1 Operatore Socio-Sanitario ogni 2,4 ospiti; 1 Infermiere ogni 12; 1 Medico ogni 60; 1 Fisioterapista ogni 60; 1 Logopedista ogni 240; 1 Educatore-Animatore ogni 60; 1 Psicologo ogni 120; 1 Assistente Sociale ogni 120.

Tradotto in minuti al giorno significa:

–          con 36 ore settimanali una OSS compie 2160 minuti di assistenza, diviso 60 ospiti sono 36 i minuti che dedica a ciascun anziano a settimana; essendo in 25 le OSS presenti in struttura (1 ogni 2,4 anziani) erogano 900 minuti settimanali, che diviso 7 giorni sono 128 minuti di assistenza sociosanitaria al giorno, vale a dire ogni anziano riceve in un giorno da una o più OSS n°128 minuti di aiuto e di cure;

–          per l’infermiera lo stesso calcolo conduce a 26 minuti;

–          per il medico i minuti sono 5;

–          per il fisioterapista sono 5;

–          per la logopedista sono 1;

–          per l’educatrice-animatrice sono 5;

–          per lo psicologo 2,5;

–          per l’assistente sociale sono 2,5.

Il totale è di 175 minuti sulle 24 ore, poco meno di 3 ore al giorno di assistenza che l’anziano riceve da tutte le figure professionali presenti nel centro servizi.

L’area sociosanitaria (Medico, Ip, Fkt, Log, Oss) occupa 165 minuti, corrispondenti al 94% del tempo a disposizione, mentre l’area psicosociale (Psic, Epa, Assist. Soc.) solo 10 minuti, cioè il 6% del tempo offerto all’ospite!

Questo ultimo dato merita un commento: evidentemente il legislatore, e stiamo analizzando una regione tra le più virtuose nel panorama del welfare italiano, considera i bisogni fisiologici come “primari” mentre  quelli psicosociali come “secondari”, quasi sull’onda lunga di Maslow e della sua ben nota “gerarchia dei bisogni”.

Eppure noi psicologi conosciamo le conclusioni raggiunte già a suo tempo dalla psicologia sociale e dalla più recente revisione psicoanalitica: il bisogno di socializzazione è primario, cresce “insieme” a quello fisiologico e chiede di essere appagato “mentre” viene soddisfatto quello fisiologico, pena una condizione di sofferenza e di patologia, psicologica  o corporea.

Le ricerche della psicologia si aggiungono a quelle della filosofia e della sociologia nell’ affermare che l’uomo, ovvero il bambino, l’adulto e l’anziano, è un essere sociale.

Alcuni potrebbero sostenere che le Oss e le Ip durante l’esecuzione dei loro compiti di cura sanitaria necessariamente interagiscono con l’anziano, e nel mentre lo aiutano nell’alzata, nell’igiene, nella vestizione, nell’alimentazione, nel bagno, nel prelievo o nella somministrazione della terapia farmacologica socializzano con l’ospite, o comunque “trovano il tempo” per farlo.

Nei centri di servizi per persone anziane, mediamente e in base alla mia esperienza, posso tranquillamente affermare che tutto questo tempo per la socializzazione “manca” a loro disposizione. Le Oss e le Ip si vedono costrette a “delegare” all’area psicosociale le risposte ai bisogni di relazione, cioè a quel 6%!

Questa delega tuttavia nasconde un profondo conflitto interiore: da un lato il desiderio e la legittima rivendicazione di competenza ad occuparsi anche della dimensione sociale (la componente “socio” del servizio sociosanitario), dall’altro lato il dato di realtà che rende impossibile (v. ritmi e modalità di lavoro dell’organizzazione attuale) nelle residenze protette l’appagamento di questa aspettativa. Questo tipo di conflitto contribuisce a generare “burn out” nelle Oss e nelle Ip, mentre il bisogno psicosociale dell’anziano rimane in definitiva “scoperto” al 94%…

Alla luce dei dati esposti e di queste ultime considerazioni a mio giudizio diviene sempre più necessario stimolare il legislatore, i politici locali e i dirigenti dei centri di servizi a investire sull’area psicosociale, assumendo psicologi, educatori o assistenti sociali per “innalzare” la soglia del 6%. Il processo di sanitarizzazione delle case di riposo deve cioè contenere anche un adeguato spazio per l’assistenza psico-socio-relazionale.

A differenza di altre figure professionali lo psicologo potrebbe dedicarsi sia all’anziano che al personale: con gli ospiti progetterebbe interventi di riattivazione sia individuali che di gruppo, con i colleghi di area sociosanitaria potrebbe supervisionare e supportare la loro relazione con gli anziani, contribuendo a creare quel positivo “clima ambientale” che dal punto di vista psicosociale sappiamo essere una decisiva variabile interveniente nei processi di assistenza e di cura alla persona.

Umberto Lamberti