Up patriots to arms! Engagez-Vous!

Un fatto, fra le notizie mirabolanti della politica, nostrana ed internazionale, di questi giorni, può essere sfuggito: a Franco Battiato, cantautore, una tra le figure più influenti del panorama musicale italiano, quasi un’icona pop nazionale, è stato proposto di entrare a far parte della giunta Regionale Siciliana, invitato dal neo presidente di quella disastrata regione.

E Battiato ha accettato, con cautela ma ha accettato, decidendo così di confrontarsi con la Politica in un tempo in cui dalla politica si preferisce tenersi alla larga, quasi la si esorcizza dopo le infinite delusioni degli ultimi vent’anni.

Nella percezione di tanti la Politica, il prendersi cura del bene comune, è diventata il prendersi cura esclusivamente dei propri personalissimi interessi o, al limite, dei parzialissimi interessi clientelari dei propri sodali, senza alcun riferimento, ormai, al senso dell’essere comunità, dell’essere polis, del nostro stare insieme e costituire civiltà.

Nella politica professionale il percorso è stato simile, negli ultimi vent’anni, ma più devastante.

Se nella politica nazionale lo scoramento, il distacco e l’astensionismo hanno raggiunto solo nell’ultimo periodo vertici preoccupanti, in campo professionale il senso di alienazione dalle istituzioni di categoria e dai rappresentati della professione è antico, quasi fondativo.

Gli organismi politici di rappresentanza degli Psicologi, Ordini ed Enpap, hanno sempre avuto il sapore di istituzioni obbligatorie, di controllori imposti, di esattori farisei per gran parte della categoria: poco a che fare con l’idea di impegno condiviso a sostegno della comunità di appartenenza.

Gli Psicologi hanno spesso sentito che la loro identità professionale veniva meglio tutelata da livelli diversi di appartenenza che non quelli istituzionali di categoria; che la loro comunità di appartenenza non stava nell’Ordine o nell’Ente previdenziale ma, semmai, nella scuola di specializzazione frequentata, nel riferimento al maestro che avevano avuto o al sindacato cui aderivano. E quelle micro-comunità parziali e sciagurate ognuno ha voluto difendere e sviluppare anche contro la categoria generale degli Psicologi, in una sorta di polverizzazione medioevale dei riferimenti che ha impedito la nascita di un saldo sentimento di appartenenza categoriale e lo sviluppo di politiche sensate ed armoniche di promozione e tutela della nostra professione.

Queste appartenenze di campanile, lungi dal comporsi negli Ordini e nella Cassa, sono state spesso incentivate da chi ha gestito gli enti. Costoro hanno spesso operato per salvaguardare, al più, gli interessi della cerchia ristretta di appartenenza cui personalmente facevano riferimento (il sindacato, la scuola di specializzazione, l’università, …), lavorando per ampliare il solco tra iscritti ed organismi di rappresentanza. È stato cavalcato, così, lo spirito disincantato (o antipolitico, come si dice oggi) che porta a confrontarsi con l’inadeguatezza di chi governa la professione e al contempo a dire, quasi con una punta d’orgoglio, “io faccio lo Psicologo, non mi interesso di politica” assieme al classico “tanto non cambia niente, sono tutti uguali”.

E invece cambia, eccome se cambia, come sentivo dire poco fa ad una collega,

Cambia se riusciamo a scoprire nella nostra professione il valore della partecipazione e della democrazia, dell’esserci, del dire la propria e farla contare, del confrontarsi e riscoprire che si ha valore, del rimettersi in gioco ed assumersi responsabilità.

Lo fa Battiato in Sicilia pur facendo anche lui tutt’altro che il politico. Ma “il politico” non è un mestiere. Chi fa politica esercita al contempo un diritto e un dovere nei confronti della sua comunità: lo diceva già Aristotele.

Essere un politico a tempo pieno è una perversione recente ed italiana, pienamente acquisita dai politici della nostra categoria: gli Psicologi hanno, tra chi li governa, persone che mantengono posizioni di potere fin dai tempi della discesa in campo di Berlusconi (18, vent’anni) e gruppi di potere che gestiscono ogni spazio decisionale con continuità fin dalla fondazione della Psicologia professionale.

L’assunzione di impegno di Battiato in una situazione difficile come quella siciliana è il segnale che davvero è possibile per chiunque mettere le proprie competenze e la propria umanità a disposizione della comunità cui appartiene.

Sarebbe bello cha anche gli Psicologi si sentissero autorizzati ad uscire dai propri studi, dalle loro comunità terapeutiche, dalle cooperative, dalle associazioni e prendessero a fare – nella professione e nella società – quella Politica che è impegno a cui tutti i cittadini sono chiamati a partecipare attivamente in quanto tutti possono portare avanti e sostenere la comunità arricchendola di significati condivisi.

In questo senso “fare Politica” è non solo fare l’assessore a Palermo o candidarsi all’Enpap ma anche e soprattutto, partecipare al dibattito, portare le proprie opinioni, i propri contenuti e la propria competenza, operare per valorizzare e difendere la professione che ci accomuna*.

Soprattutto è fondamentale smettere di conferire deleghe in bianco: alle elezioni per l’Enpap, l’ultima volta, ha votato poco più del 20% degli aventi diritto.

Sarebbe un bel segnale che questa volta, alle elezioni Enpap di fine gennaio, l’indignazione per la mala politica e la cattiva gestione passasse per un aumento netto del numero dei votanti. Vorrebbe forse dire che sono molti di più quelli che pensano che reagire al dissesto vuol dire partecipare piuttosto che estraniarsi.

Se così fosse tutti gli Psicologi avrebbero davvero un po’ vinto.

Felice Damiano Torricelli