Frequento abbastanza assiduamente il mondo cosiddetto on line. Alle volte mi permette di partecipare, o anche solo di seguire come semplice lettore delle appassionanti discussioni. Ultimamente, proprio una discussione on line su un gruppo Facebook di giovani futuri colleghi, ha colpito la mia attenzione.
Studente 1: Dubbio esame, in particolare la favola di orsetto : sto benedetto orsetto è metaforicamente lui (ndr l’autore del libro, nonché professore d’esame) o più in generale sono gli spoilt children (oggetto di intrusione e estrazione di parti vitali per la crescita del loro sé ) che solo con l’analisi arrivano a indossare la PROPRIA PELLE?
Studente 2: Ma è lui stesso!
Studente 3: Io mi ricordavo che c’entrasse la psicoanalisi.. Cioè che il paziente in generale (l’orsetto) sta male e si copre ma continua a stare male. E solo spogliandosi (attraverso la psicoanalisi) poteva guarire… È una follia? Premetto sono reminiscenze perché ho dato l’esame anni fa
Studente 4: Infatti il mio dubbio era se Riguardasse tutti quelli che vanno in analisi o lui in particolare … Xo avevo sentito qua e là che fosse lui quell’orsetto che si prendeva la tosse l’asma ho chiesto proprio perché spinta dal dubbio
Studente 5: Si si, è lui l’Orsetto!!
Bene. Ora, non vorrei arrivare a conclusioni affrettate ma, probabilmente, se queste sono le questioni vitali e professionali sulle quali sono costretti ad interrogarsi i nostri futuri colleghi nel corso del loro percorso formativo, qualche problema, c’è. E molto grosso.
E si, perché è così chiaro che l’orsetto asmatico sia lui, il nostro Winnie the pooh Ordinario di psicologia, è così chiaro che l’oggetto intrusivo sia una diretta metafora del Barbapapà interno del paziente, come è altrettanto chiaro, fin ovvio, che il suo percorso analitico terminerà solo quando avrà integrato le sue parti Candy Candy, separate dal trauma della nascita, che mi chiedo: ma cosa vi insegnano all’università?
P.s Nessun orsetto lavatore è stato maltrattato nella scrittura di questo post
a mio parere il problema nasce un po’ prima e quello che mi chiedo è: ma perchè apriamo la facoltà a tutti, nonchè a studenti che si pongono queste domande invece di leggere tra le righe e in modo simbolico una storia scritta in appendice su un libricino che in effetti nasce come autosvelamento della vita personale ma soprattutto analitica dello scrittore, ma che non è solo quello?
non capisco il tono polemico del post che mi sembra attaccare una personalità che ha dato e continua a dare molto alla Facoltà e alla psicoanalisi
Mari, perdonami, ma forse anche tu dovresti leggere tra le righe di questo post. Se lo facessi, al posto di vedere attacchi a illustri personalità, potresti vedere il pericolo per i più giovani, con una formazione di questo tipo, chiunque la eroghi, per il loro futuro professionale.
Saluti
è sbagliato leggere i nostri dubbi e giudicare noi e il professore senza conoscere la situazione.
è tremendo leggere: perche apriamo l università a persone che si fanno domande di questo genere?
1 anche voi dovreste essere stati studenti (ansiogeni e dubbiosi)
2 non è colpa nostra se all’esame spesso non viene valutata la nostra capacità di interpretare e di capire le metafore a modo nostro ma la nostra capacità di sapere ciò che il professore voleva intendere.per questo ci sorgono queste domande, perchè nel caso in cui io interpretassi a modo mio la metafora ciò potrebbe inficiare il mio voto.
e in ogni caso le lezioni di questo professore sono le migliori che ricordo, mi sono laureata con lui e mi ha insegnato moltissimo.
le sue metafore e i suoi libri, se si va oltre il semplice studio da esame sono ricchi di contenuti e di esperienza (quella che molti professori che invece insegnano in modo piu”standard” non trasmettono!)
ok le loro domande all’esame sono particolari ma rispecchiano perfettamente il messaggio che il professore vuole trasmettere… “bisogna conoscere la storia e il percorso di un autore per capire in che modo è arrivato a formulare le sue teorie e in che modo già nel preconscio aveva iniziato a elaborarle”.
il vero pericolo per i giovani sta nella semplice trasmissione di contenuti,quella che non passa la passione e il rispetto per un lavoro che il professore che abbiamo di fronte dovrebbe amare!
scusate se mi sono dilungata!
🙂
Esilarante!!! O forse ridere per non piangere …
Mi hai fatto divertire tanto con questo post!
Credo però che bisogna distinguere anche tra le persone che restano con l’orsetto e non riescono ad andare oltre la metafora, il simbolo. Da ipnotista devo verificare se la metafora, il come se, riesce ad attivare durante la trance quel passaggio, quello stimolo.
Se la persona in ipnosi non recepisce la metafora allora cerco un’altra metafora, e, quando mi rendo conto che la metafora non passa, allora passo ad un linguaggio più esplicito, più diretto.
Certo, resta comunque un quadro inquietante, se i futuri colleghi non colgono l’aspetto metaforico, ma soprattutto se il professore non verifica cosa è passato del messaggio trasmesso.
Però spezziamo *un’arancia* in favore dei giovani colleghi: ma noi, alla loro età, come eravamo? Io molte cose le ho capite dopo, con l’esperienza…
Fernando, il problema che volevo sottolineare non era tanto riferito alle competenze dei nostri futuri colleghi, quanto ai programmi di studio delle nostre università: pregni di simboli, e pericolosamente vuoti di realtà professionale concreta. Forse non sono riuscito a passare il messaggio.
Ma questo dipende da quale modello prevale, e da quale modello recepisco meglio.
Psicodinamico o Cognitivo?
Psicotico o Nevrotico?
Filosofico o Medico?
Emisfero Destro o Sinistro?
Grazie, Alessandro, ogni tanto farsi una bella risata fa bene.
Poi pensi: “Oddio, ma questi tra qualche mese/anno inizieranno ad esercitare la professione di Psicologo, vedranno clienti, parteciperanno alla vita dell’Ordine (no, scusate, questa era una battuta)”
La qualità della formazione nelle facoltà di Psicologia è mediamente scadente e quasi del tutto inefficace ai fini dell’esercizio concreto della professione.
PS. Ciò che mi scandalizza di più, però, è che non hanno nominato Daitarn III e Lupin…
Fa ridere, ma non farei di tutt’erba un fascio rispetto ai programmi universitari. Io ho studiato in Bicocca e ti garantisco che non ho mai trovato un esame in cui sono trattate solo questioni simboliche. Anche se sì, c’è un distacco con il mondo del lavoro, perché propendono in generale verso quello della ricerca scientifica (che comunque è anch’esso uno sbocco lavorativo). Ma probabilmente ti riferisci ad altri atenei… Infine, credo che la qualità dell’impegno e l’intelligenza critica con cui si affronta il percorso di studi siano quello che fa davvero la differenza, dato che con la parziale liberalizzazione del corso di studi è sì possibile scegliere alcuni esami, ma il grosso è predeterminato e la maggior parte dei corsi è basata (o almeno dovrebbe) sulla letteratura scientifica recente. Guarderei anche a chi controlla la qualità della didattica e alla formazione continua dei docenti, non solo agli studenti. Non è inutile studiare psicologia, magari sarà inutile studiare psicologia in certi atenei.
Francesco, chiaramente il mio post è iperbolico. So bene come in taluni atenei i programmi siano più “sensati” di altri e, forse, questo piccolo particolare può fare la differenza una volta che si sbarca nel mondo professionale.
Saluti
Non penso che il problema sia la “selezione” degli studenti al fine di evitare di raccogliere gente che non riesce a “leggere tra le righe” ed andare oltre la metafora.
Oddio, c’è chi non è particolarmente sveglio, ma non dimentichiamoci che dall’altra parte c’è una figura che, oltre ad interrogare agli esami, è anche un formatore (e formare degli studenti di psicologia, non penso sia una passeggiata).
Allora, non sarà anche in parte “colpa” di chi scrive sproloqui romanzati, narcisisticamente autocentrati? Chi assegna libri (ovviamente scritti di proprio pugno) per i propri corsi universitari per i quali i suddetti libri non ci azzeccano un’acca? Chi equipara la domanda “tal autore è maschio o femmina?” a domande di contenuto e sostanza sugli argomenti (veri) del corso?
La discussione tra gli studenti, di cui sopra, l’ho letta anche io ma non li/le biasimo data la mole di nozioni da far proprie (in questo caso anche in riferimento a vicende personali assolutamente marginali dal punto di vista dei contenuti del corso), la quantità di libri da studiare (quando in qualsiasi altro paese ci sono solo dispense e slide) e i dettagli (come in questo caso) della vita privata dell’autore che non hanno minimamente a che fare con la psicoanalisi, la psicologia o qualsiasi altra cosa che inizi con la “psi”!
Il problema emerge con tutta la sua drammaticità quando si conclude l’iter formativo (soprattutto quando si conclude una specialità). Non discuto tanto le singole scelte e i programmi ma l’assenza di un reale momento di orientamento per i futuri colleghi. Nessuna istituzione pare preoccuparsi di fornire i fondamentali che riguardano il mondo del lavoro, le sue dinamiche, le competenze che sono necessarie oggi. E’ tutto sospeso, idealizzato come se questi dati di realtà non riguardassero la nostra categoria professionale. L’orsetto esprime perfettamente la distanza ambissale tra formazione universitaria e il mondo del lavoro. Non vi nascondo il mio imbarazzo quando sento certe affermazioni da parte di alcuni personaggi “senior” che sembrano vivere in un mondo a parte, distante dalla realtà quotidiana… E dopo 13 anni di libera professione non so mai se ridere o piangere! Nel nostro piccolo qui in Piemonte come AP stiamo cercando di fornire i fondamentali ai colleghi che frequentano i nostri incontri (rigorosamente “free”), fondamentali che nascono dall’esperienza concreta con il mondo professionale e lavorativo…
La mia esperienza è questa: in 5 anni ho visto gente sapere a memoria manuali e siglature di test per poi entrare nel panico quando si trattava di CAPIRE. Ho sentito più studenti a diversi esami esclamare arrabbiati “Mi hanno chiesto cosa avevo capito del libro!! Ma che domanda è?!” e allora altri seguivano “Oddio!!! E tu cosa hai risposto?!” mentre iniziavano a rileggersi gli schemi e gli appunti impauriti.
Ora, onestamente, io sarei uno di quei docenti che pone questo tipo di domande perchè trovo inconcepibile che un futuro psicologo, o peggio psicoterapeuta, sia la stessa persona che non è in grado di leggere tra le righe, di interpretare un testo, di dargli un significato.
Nella mia ignoranza di neolaureata sono convinta che un manuale o un indice si può consultare in qualsiasi momento se hai capito di cosa stai parlando e come si utilizza, mentre quell’altra cosa che non so definire che serve per capire un testo come quello citato nell’articolo devi averla..e noi abbiamo il DOVERE di averla con la professione che abbiamo scelto!!! Per farla breve cito Morine: “E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena.” E sono esami come questi, in cui devi ragionare, che costruiscono una testa ben fatta. A riempirla (e a farsela riempire) son buoni tutti.
*Morin. Scusate.
Ciao Chiara, concordo con l’apertura mentale e la capacità di comprendere… ma rimane un problema di fondo qual è il profilo in uscita dopo un percorso universitario? Quali sono le competenze e le conoscenze di base fondamentali per svolgere la professione di psicologo? In quali contesti può operare questa figura professionale? Quali sinergie creano le università, gli ordini con il territorio e con il contesto “reale” e lavorativo? Se mancano questi aspetti tutto rimane fumoso e privo di aderanza con il mondo del lavoro. E’ questa distanza che dobbiamo colmare altrimenti fenomeni come la disoccupazione assumeranno proporzioni sempre più drammatiche in Italia. Orsetto o non orsetto…Qui c’è il mondo reale fatto di norme, leggi, aspetti fiscali, dinamiche lavorative… Poi se la psicologia è solo un hobby costoso questo è un’altro discorso, preferisco pensare in termini di sviluppo della professione e creare sinergie insieme ai colleghi…il tutto per costruire un futuro professionale diverso e lontano da certe distorsioni a cui molti purtroppo ci hanno abituati.
Gentilissimo Dott. Lombardo,
mi permetto di commentare il suo post con la mia totale consapevolezza che di studenti che si pongono domande ben più intelligenti rispetto al quesito relativo ad una nozione ce ne sono e anche tanti. Gli scenari critici che si prospettano loro li hanno resi consapevoli che una riflessione più profonda, che va al di là delle teorie studiate nei libri di testo, sia necessaria e si stanno dando da fare. Provi a fare un giro tra quanto organizzano studenti nelle facoltà, oggi scuole, di Firenze e Torino, per citarne due. Mi creda, parola di Studente… per quanto può valere. Mi permetta anche di criticarla per la sua generalizzazione un po’ troppo azzardata e pregiudizievole (a mio avviso), cosa che di solito ad uno psicologo non si addice. Se si tratta di una provocazione mi auguro che serva da fonte di motivazione o di discussione per gli studenti. Arturo Mugnai
Arturo, mi ripeto, non ho dubbi sulla vitalità degli studenti, anzi. Sui programmi proposti dalle università, si. Tutto qui.
Mi pare evidente che l’articolo in questione non sia una critica verso gli studenti ma verso un sistema formativo ormai completamente scollato dalla realtà professionale e lavorativa. Abbiamo assistito negli ultimi anni a un’espansione incontrollata della psicologia con la creazione di tante facoltà, l’apertura di un numero spropositato di scuole di specializzazione. Un sistema formativo che tende ad autoalimentarsi in modo cannibalico producendo le ben note distorsioni. Siamo di fronte a problemi seri, concreti e che riguardano in particolare il futuro dei colleghi, colleghi che rischiano di trovarsi completamente disorientati, senza le competenze necessarie per portare avanti una libera professione. Molti neospecializzati non sanno nulla rispetto alle questioni fiscali, normative e ai vari obblighi a cui devono sottostare (e spesso sopportare). Spesso rimango basito quando sento certe affermazioni da parte di coloro che risiedono nei luoghi decisionali e che non sanno minimamente che cosa significhi confrontarsi con il mercato del lavoro soprattutto oggi. La psicologia ha dei enormi potenzialità e spazi di espansione, ma è necessario un cambiamento radicale per costruire una professione adulta e allontarsi dal pericoloso concetto di “missione” (purtroppo spesso ancora oggi propagandato per nascondere certe distorsioni che ancora sopravvivono: tirocini infiniti, assenza di una retribuzione adeguata ecc). Cambiare si può e si deve ma bisogna per prima cosa avere il coraggio di far notare che il “re è nudo”…Sottolineare le problematiche per intervenire con una visione costruttiva, progettuale e per cortesia aderente con la realtà contemporanea.
Non stupiamoci. Molti studenti e neolaureati non sanno che cos’è psicologia (se non quella delle riviste del parrucchiere), che cos’è scienza, che cos’è ricerca, che cos’è clinica ecc. Qualcuno intelligente e capace di pensare con la propria testa continua a cercare conoscenza negli anni successivi; gli altri, la maggior parte per lo più, e soprattutto donne, vengono scientemente convinti da un massiccio lavoro di brainwashing che la psicologia consista nel parlare solo di aria fritta con l’aria di pensare che il fritto non puzzi e un relazionalissimo “volemose bene”.