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E’ sufficiente il fine di “incidere sulla sfera psichica” per configurarsi l’abuso della professione di psicologo.

E’ quanto ha stabilito una recentissima sentenza della Cassazione penale depositata il 22 Agosto 2017, la n.39339, che ha condannato in via definitiva il fondatore del “percorso di crescita personale” dell’associazione Archeon e i suoi collaboratori.

I fatti

Si tratta dell’epilogo del lungo e travagliato processo che coinvolgeva Archeon (o Arkeon), definita da molti come una psico-setta.
Il fondatore di Archeon, Vito Carlo Moccia, insieme ai suoi collaboratori, organizzava seminari formativi su un metodo (Archeon, appunto) ed effettuava attività di “diagnosi e psicoterapia” a soggetti con problematiche psicologiche e psichiatriche, nonché mediche.

Di fatto, utilizzando le informazioni che i pazienti davano sulle loro vite private, i “maestri” dell’associazione effettuavano interventi che andavano a sconvolgere e traumatizzare gli stessi, insinuando terribili sospetti sul loro passato, allontanandoli dagli affetti.

Il caso ebbe molta eco durante le fasi del processo (noto ai media come “il caso Arkeon”).

Una psicologa, Lorita Tinelli, che si occupa da anni di casi sui culti distruttivi, ha seguito la causa che si è protratta per 11 lunghi anni, ma che alla fine ha dato piena ragione agli psicologi.

Il ricorso su cui si sono pronunciati gli ermellini riguardava diversi aspetti,  fra cui uno relativo al risarcimento chiesto dall’Ordine degli Psicologi della Puglia che si era costituito parte civile nella causa. Vi erano poi alcune questioni riguardanti i termini di prescrizione, e una questione per noi molto importante, in merito all’esercizio abusivo della professione di psicologo.

Un motivo del ricorso, infatti, si basava sul fatto che il “guru” dell’associazione, Moccia Vito Carlo, non si sarebbe mai spacciato per psicologo, ma avrebbe utilizzato un metodo “non psicologico” ( n.d.r.) per “trattare” i pazienti, cioè il metodo Archeon (o Arkeon), una variante del metodo Reiki (una pratica spirituale di pseudo-guarigioni basate sull’imposizione delle mani sul paziente).

La Cassazione, però, ha rigettato anche questo motivo, sostenendo che:

non è necessario che il soggetto non qualificato si avvalga delle metodologie proprie della professione psicoterapeutica, ma è sufficiente che la sua azione incida sulla sfera psichica del paziente con lo scopo di indurne una modificazione che potrebbe risultare dannosa.

Considerazioni

Si tratta quindi dell’ennesima vittoria giuridica per la tutela della professione.

Certo, questo non significa che da domani non vedremo più abusivi.

Così come nessuna sentenza che stabilisce la colpevolezza di un soggetto potrà mai evitare che in futuro nessun altro commetta lo stesso reato.

Significa però che la legge si è espressa anche sul fatto che un abusivo non può difendersi dicendo che non faceva diagnosi (la Cassazione ha sottolineato anche che intrattenere approfonditi colloqui “su aspetti intimi della vita dei pazienti, per diagnosticare problematiche psicologiche eventualmente all’origine di disturbi da loro lamentati” è già attività di diagnosi psicologica).

E non può nemmeno sostenere di non commettere abuso poiché non utilizza “tecniche psicologiche”, se il fine dell’attività prestata è quello di modificare la sfera psichica del soggetto.

E questo è indubbiamente un importante passo avanti.