Come funziona l'ENPAP – Quarta Parte

Abbiamo visto che l’ENPAP riceve dalla legge le indicazioni per definire l’entità della pensione che eroga ai suoi iscritti. L’ENPAP ha, comunque, per legge, oltre che il compito di garantire la pensione ai suoi iscritti anche quello di prestare loro assistenza nelle situazioni di bisogno.

Fino a poche settimane fa (ci occuperemo presto delle “nuove forme di assistenza” avviate da aprile scorso) l’unica assistenza erogata dall’ENPAP era quella obbligatoria voluta dalla legge 151 del 2001: la corresponsione dell’indennità di maternità.

La legge 151/2001, infatti, è il “testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità” che, riprendendo ed aggiornando norme precedenti, obbliga anche gli enti di previdenza per i professionisti ad erogare il contributo di maternità e a costituire risorse ad hoc, stabilendo altresì che lo Stato contribuisce per una quota (fino a vecchi 3.000.000 di lire) nell’erogazione dell’assegno. L’ENPAP ha quindi predisposto un regolamento specifico per la corresponsione dell’indennità di maternità che, semplificando, viene pagato per poco meno di due terzi con il contributo di maternità versato da tutti gli iscritti e per poco più di un terzo dallo Stato.

L’indennità di maternità è costituita da cinque mesi di “stipendio” (reddito medio mensile desunto dalla dichiarazione fatta annualmente all’ENPAP) all’80% del suo ammontare oppure, ancora più semplicemente, da un terzo del reddito annuale dichiarato. Attenzione, però. Questo reddito annuale dichiarato non è quello dell’anno prima del parto bensì quello di due anni prima. Questa è una modifica abbastanza recente ma peggiorativa delle prestazioni per le colleghe che diventano mamme: la raccomandazione è di tenerne conto quando si programma un figlio (anche se periodi di “programmazione” così lunghi appaiono improbabili).

È comunque previsto dalle norme un ammontare minimo dell’indennità di maternità che anno per anno viene definito dall’INPS sulla base di complessi calcoli. Per il 2008 è stato definito un assegno minimo di 4382,56 Euro. Il contributo dello Stato per il 2008 sarà di 1843,90 per ogni indennità di maternità erogata. Quindi, ad ogni collega, vanno 1843,90 euro dello Stato ed almeno 2538,66 dall´ENPAP.

L’ENPAP, avendo tra i suoi iscritti una percentuale preponderante di donne (più del 75%), eroga annualmente poco meno di 4.500.000 euro in contributi per la maternità (estesa per legge anche ai casi di adozione, affido e, in misura minore, interruzione di gravidanza) di cui – i dati sono del 2006 –1.377.422,17 euro pagati dallo stato e 3.105.120,00 raccolti dagli iscritti.

Le colleghe che hanno usufruito del contributo (nel 2006) sono state complessivamente circa 900 – 1000. L’assegno di maternità per ognuna delle colleghe che ne usufruisce è quindi, mediamente, di 4-5.000 euro.

Ora, il contributo con cui tutti gli iscritti sono tenuti a contribuire a questa forma di solidarietà intra-categoriale è stato fissato, dagli organi ENPAP, in 120,00 €  l’anno a testa.

Rispetto a questo contributo “fisso” e alle modalità di erogazione dell’assegno di maternità ci sono tre osservazioni da fare:

1 – a differenza di quanto avviene in altri enti previdenziali il contributo di maternità è definito dall’ENPAP in quota fissa, indipendentemente dal reddito di ognuno.

Questo crea, a mio avviso, situazioni di grande sperequazione. Per colleghi che guadagnano poco – ad inizio carriera, ma non solo – 120 euro possono essere davvero tanti, in proporzione al loro reddito. Chi, per esempio usufruisce, della riduzione a 156 euro del contributo soggettivo – possibile se si guadagna meno di 1560 euro all’anno – finisce per pagare quasi altrettanto come contributo di maternità e comunque per questa forma di solidarietà va via quasi il 10% del suo reddito. La solidarietà intra-categoriale è pensata per appianare le differenze tra colleghi, aiutando chi è in difficoltà, ma in questo modo le differenze vengono esasperate e sempre a svantaggio di chi già sta peggio!

Altre casse di previdenza pongono come contributo di maternità una percentuale del reddito individuale (la stessa gestione INPS per i professionisti pone una percentuale dello 0,5%).

Fatti due conticini – visto che il reddito complessivo della categoria è stato (dati 2006) di circa 400.000.000 di euro (15.431,93 euro in media x 25.876 iscritti) e che nello stesso anno sono stati raccolti tra gli iscritti contributi di maternità per 3.105.120,00 euro – questi sono pari a circa lo 0,78 %. Definendo in percentuale la contribuzione per la maternità fra lo 0,8 e l’ 1% del reddito di ognuno, anziché in quota fissa di 120 euro, quindi, si raccoglierebbe un po’ di più di quanto si è raccolto finora e si sarebbe un po’ più giusti nei confronti dei colleghi più deboli.

2 – il contributo viene versato, nella prassi corrente dell’ENPAP, almeno 90 giorni dopo la presentazione della domanda e la domanda può essere presentata solo a partire dal sesto mese di gravidanza.

Ne deriva che il contributo arriva, se va bene, alle colleghe dopo il parto. Essendo però previsto che il periodo di astensione dal lavoro vada dai due mesi precedenti ai tre successivi al parto stesso viene fuori che il contributo dell’ENPAP arriva dopo che per almeno due mesi la collega è stata senza lavoro e quindi senza reddito, in un periodo in cui le spese assumono, peraltro, carattere eccezionale. Tale situazione arreca disagio soprattutto alle colleghe che intrattengono rapporti di lavoro con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per i quali i datori di lavoro solitamente impongono l’astensione “obbligatoria” dal lavoro. Queste colleghe si trovano private di ogni reddito proprio in un momento in cui è massimo il bisogno di tranquillità e ciò di certo non depone a sostegno dell’idea solidaristica con cui è stato concepito il contributo di maternità.

3 – a differenza di quanto avviene nella maggioranza delle Casse Previdenza ed Assistenza (ed anche nell’INPS) il Regolamento dell’ENPAP non prevede contributi solidaristici per la paternità.

È di certo vero, lo dimostrano i pochi dati noti, che le colleghe guadagnano un po’ meno – mediamente – dei colleghi maschi ma questa esclusione non appare congrua con i fini solidaristici, visto che la nascita di un figlio è un evento che riduce comunque la capacità di reddito per entrambi i genitori proprio in un momento in cui è necessario che tutti due abbiano la serenità necessaria ad affrontare compiutamente un evento così importante. L’adozione di una contribuzione per la “genitorialità” in termini percentuali sul reddito (tra lo 0,8 e l’uno percento, come dicevo prima) permetterebbe di sostenere anche le spese per un contributo a sostegno della paternità oltre che essere più giusta in linea di principio.

Ora, accade che la Corte Costituzionale (con la sentenza 385/2005 depositata il 14 ottobre 2005) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità. Le disposizioni censurate si scontrano infatti con il basilare principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Sostiene la Corte Costituzionale che gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino «che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità» (sentenza C.C. n. 179 del 1993), come noi Psicologi sappiamo bene.

Ciononostante il Regolamento del nostro Ente di Previdenza non è stato modificato ed ancora oggi fa espresso riferimento alle sole colleghe professioniste… e ciò accade nonostante da anni lo stesso INPS  preveda chiaramente tale garanzia anche per la paternità. Inoltre pare che, in via amministrativa, almeno una volta il beneficio sia stato concesso ad un padre, ma non è affatto chiaro quali siano i criteri per la concessione: ad esempio, non è per niente chiaro quali siano le condizioni in cui il padre può subentrare alla madre così come non si capisce se entrambi i coniugi debbano necessariamente essere iscritti all’ENPAP (come nell’unico precedente finora registrato).

Felice D. Torricelli

Il modulo per richiedere l’indennità di maternità/paternità all’ENPAP è qui.