Come funziona l'ENPAP – Seconda Parte

L’ENPAP è uno spauracchio per molti Psicologi: a metà strada tra una speranza e una tassa nel panorama esperienzale della categoria, rivela tutte le ambivalenze che una tale posizione propone, visto che i meccanismi normativi e finanziari che ne regolano l’esistenza sono solitamente lontani anni luce delle sfere di interesse della maggior  parte dei colleghi.

Nel tentativo di rendere meno ostico il rapporto con l’ente di previdenza AltraPsicologia ha pensato di avviare due azioni:

  1. costituire un gruppo di studio on line di libero accesso per tutti i colleghi che vogliono approfondire la conoscenza dell’ente di previdenza degli psicologi e confrontare le loro idee in questo ambito; e
  2. proporre una sorta di manuale a puntate su come funziona l’ENPAP: un prontuario di base per capire quali regole ne dirigono l’organizzazione e, in seconda battuta, quali di queste regole possono essere cambiate dagli organi dell’ENPAP e quali, invece, dipendono da leggi dello Stato (molto più difficili da cambiare).

Proseguiamo quindi con questo articolo, strutturato anche intorno alle interazioni del gruppo di studio on line, il percorso per poter valutare le condizioni operative dell’ENPAP e i principali limiti al suo funzionamento.

Semplificheremo per quanto possibile i ragionamenti, riservando al lavoro del gruppo di studio – sempre aperto per tutti i colleghi interessati (basta inviare una email a redazione@altrapsicologia.it con la richiesta di adesione) – gli approfondimenti e le puntualizzazioni su un sistema comunque complesso e molto articolato.

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SINTESI SUL FUNZIONAMENTO DELL’ENPAP

Seconda parte

Sui rendimenti e la possibilità di essere solidali

Superata, almeno in parte, la buriana elettorale riprendiamo il nostro viaggio nella previdenza degli Psicologi… e le cose cominciano a farsi complesse.

Abbiamo visto (qui) che i parametri da cui dipenderà l’importo della nostra pensione sono fondamentalmente due:

1-  quanto abbiamo accumulato sul nostro conto previdenziale versando anno dopo anno i contributi (montante previdenziale);

2-  il coefficiente percentuale, stabilito dalla legge per l’età a cui decidiamo di andare in pensione, per cui moltiplicare questo capitale.

Il montante previdenziale, a sua volta, si costruisce attraverso due canali:

a) con i soldi che versiamo ogni anno, più

b) una percentuale di rivalutazione annuale della somma accumulata fino a quel momento.

Questa percentuale di rivalutazione annuale (che serve – idealmente – per compensare la perdita di valore del denaro dovuta all’inflazione e per commisurare il capitale depositato alla affettiva ricchezza del paese) si chiama “tasso annuo di capitalizzazione” e viene definita dalla legge come la variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale. In pratica questa cifra (che anno per anno viene calcolata dall’ISTAT e comunicata dai Ministeri vigilanti all’ENPAP) è data dalla media dell’inflazione sommata al PIL dei cinque anni precedenti a quello in cui si effettua il calcolo. Negli ultimi anni questa percentuale di incremento è andata calando fino ad essere del 3,39% per il 2007 (era stata del 5,65% nel 1999, anno di massima rivalutazione).

Questo incremento non è la piccola cosa che può sembrare a prima vista: consultando un prontuario attuariale è facile vedere che, con un rendimento fisso del 4,5% e versamenti di 1000 euro all’anno, dopo 35 anni di versamenti non si avranno i 35.000 euro effettivamente versati ma … 81.500 euro. È su questa ultima cifra che andrà calcolata la pensione effettiva, moltiplicandola per la percentuale relativa all’età desunta dalle tabelle di conversione di cui abbiamo parlato nella prima parte del nostro viaggio. Ampliando l’esempio, se comincio a versare a 30 anni e verso, appunto, 1000 euro l’anno di contributo soggettivo per 35 anni, a 65 anni avrò versato 35.000 euro che però daranno – grazie ad una rivalutazione annuale del 4,5% – un montante previdenziale di 81.500 euro e quindi una pensione annua di [81.500 x 6,136% (percentuale prevista dalle tabelle per l’età di 65 anni)] = 5.000 euro: cosa miserrima – soprattutto se depurata dall’inflazione che si sarà accumulata in quei 35 anni – ma sempre più di quanto sarebbe toccato facendo conto solo sui soldi effettivamente versati [35.000 x 6,136%= 2.147,60 euro/anno].

L’incremento del nostro gruzzoletto previdenziale, come dicevamo, non è determinato dal rendimento che l’ENPAP riesce a far fruttare al nostro denaro ma è dato e assicurato dalla legge attraverso l’imposizione ministeriale del tasso annuo di capitalizzazione.

Per garantire che davvero questo tasso venga corrisposto ai conti pensionistici di ognuno la legge prevede che venga costituito un “fondo di sicurezza”. A questo si attinge nel caso in cui i rendimenti che la Cassa riesce ad ottenere investendo i soldi degli iscritti siano inferiori a quanto l’ISTAT calcola, appunto, come tasso annuo di capitalizzazione.

Il fondo di “sicurezza” viene formato con i soldi del nostro contributo integrativo (il benedetto 2% sui guadagni lordi) che quindi non vanno a costituire il gruzzoletto previdenziale. Il 2% che versiamo viene usato per le spese di gestione dell’ente (stipendi ai dipendenti, gettoni agli organi, costi delle utenze e delle consulenze, ecc.) e, come si è detto, per coprire la differenza tra rendimenti dei soldi investiti e rivalutazione dovuta sui conti pensionistici.

L’evenienza che i rendimenti ottenuti dagli investimenti delle cassa siano inferiori alla rivalutazione del montante stabilita dalla legge si è verificata, per l’ENPAP, molto spesso: per ben 10 anni su 11 complessivi di attività. In tutti questi casi si è utilizzato il fondo del contributo integrativo per rimpinguare i gruzzoletti individuali degli iscritti.

Può anche darsi l’evenienza contraria, cioè che i nostri denari messi a rendita dall’ENPAP fruttino più di quanto i Ministeri impongono debba crescere il montante previdenziale degli iscritti. In questo caso i soldi che restano, una volta coperte le esigenze di rivalutazione, vengono accantonati su un fondo detto “di riserva”. Su questo fondo confluiscono anche i soldi avanzati del contributo integrativo una volta che si è certi non servano a ripianare situazioni di deficit (dopo cinque anni). I soldi del fondo di riserva possono essere utilizzati per le iniziative solidaristiche ed assistenziali (per esempio, aumentare le pensioni, soprattutto quelle basse; aiutare i colleghi in difficoltà; bandire borse di studio).

Sulla possibilità di incrementare i fondi costituiti con il contributo integrativo in modo da poter garantire solidaristicamente una pensione “minima” a tutti gli iscritti si è consumata una delle più accese diatribe che stanno caratterizzando l’attuale mandato consigliare all’ENPAP.

L’ipotesi prevedeva l’incremento del contributo integrativo dal 2 al 4%: secondo un calcolo attuariale si sarebbe potuto utilizzare questo ipotizzato 2% aggiuntivo per incrementare notevolmente i rendimenti del montante previdenziale e ciò, assieme ad altri aggiustamenti del sistema, avrebbe permesso di garantire una pensione ragionevole a tutti.

Come la maggior parte della documentazione dell’ENPAP gli studi relativi a questa ipotesi non sono di dominio pubblico (?) ma … si possono fare delle ipotesi.

Sempre semplificando, a titolo di esempio, notiamo che il contributo integrativo (2% sul lordo) dovuto dal collega che nell’esempio precedente paga 1000 euro l’anno di contributo soggettivo sarà di circa 200 euro (qualcosa in più, visto che è calcolato sul lordo e non sul netto, come il contributo soggettivo, ma per ora trascuriamo questo dato): 200 euro corrispondono al 20% di 1000. Ora il 2% del contributo integrativo che già versiamo viene utilizzato per le spese di gestione, l’integrazione dei rendimenti, ecc. Se aggiungessimo un ulteriore 2% – portando così il contributo integrativo al 4% – questo potrebbe essere riversato sui montanti individuali e aumentarne notevolmente la rivalutazione annuale anche grazie ad un meccanismo a ripartizione (una parte dei versamenti del contributo integrativo dei colleghi più giovani andrebbe a sostenere la rivalutazione dei capitali di chi è più avanti con la contribuzione).

Ipotizziamo che si riuscisse a portare stabilmente la rivalutazione annuale intorno al 8%: i calcoli attuariali cambierebbero di molto e i nostri (compianti) 1000 euro annui versati all’ENPAP potrebbero diventare, dopo 35 anni di versamenti, 172.000 e, in pensione (172.000 x 6,136%), 10.553 euro/annui.

Questa proposta non è poi stata accettata dal Consiglio di Indirizzo Generale (CIG) dell’ENPAP che ha rinviato ad approfondimenti ulteriori.

È vero che tale modifica non sarebbe semplice. Intanto, la definizione al 2% del contributo integrativo è prevista esplicitamente dalla legge all’art. 8 comma 3 della legge 103/96. La legge 103/96, l’abbiamo visto, è un caposaldo dell’attuale sistema previdenziale. Il cambiamento di un tale dettato normativo avrebbe bisogno di essere sostenuto da una forte mobilitazione di tutte le casse che prendono origine da quella legge – e non solo dallo sparuto gruppo degli Psicologi – per avere possibilità di ascolto dalla politica. Occorrerebbe, quindi, convincere della validità di questa proposta almeno le altre casse che prendono origine dalla legge 103/96 (i periti industriali, gli infermieri, i biologi, la cosiddetta pluricategoriale che accorpa gli attuari, i chimici, gli agronomi e forestali e i geologi).

Poi, se è vero che formalmente tale contributo è a carico dell’utenza e quindi in via teorica non dovrebbe incidere sulle già misere tasche degli Psicologi (che secondo i dati dell’ENPAP hanno mediamente un reddito annuo lordo di circa 18.000 euro) sappiamo, per esperienza comune, che se riusciamo a chiedere 50 euro a seduta è difficile chiederne 52 (50+4%) e che se si lavora per progetti, per esempio nel terzo settore, lo stanziamento è definito in partenza (ed è in continua riduzione, peraltro) e non ci sono margini per aumenti percentuali. Quindi una buona parte di questo ipotizzato incremento ricadrebbe a carico dei colleghi.

L’ultima obiezione è che questo raddoppio del contributo integrativo peserebbe come aumento dei costi generali nel “Sistema Paese” in termini inflattivi e, con i chiari di luna attuali, è difficile che un governo accetti di aumentare di due punti secchi i costi di un servizio di area sanitaria.

L’ipotesi, checchè ne dica il CIG, merita comunque seri approfondimenti, visto che senza aggiustamenti il sistema contributivo secco che abbiamo descritto finora non potrà garantire a nessuno una vecchiaia dignitosa.

Continua ….

Felice D. Torricelli