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Gli Psicologi guadagnano mediamente poco, lo sappiamo. Le cifre ricavate dai dati ENPAP di qualche anno fa confermano che a malapena la media nazionale dei redditi di categoria si attesta su poco più di mille euro netti al mese: la stessa cifra dell’ormai famigerato stipendio dei lavoratori dei call-center.

In verità questa cifra è addirittura inferiore, di almeno il 12% (10% sul reddito al netto delle tasse e 2% al lordo delle imposte), visto che gli Psicologi pagano l’ENPAP. Con evidente sacrificio… ma pagano.

Già, l’ENPAP. Uno ci pensa come ad una specie di salvadanaio, di quelli in creta a forma di porcellino che da piccoli si potevano rompere per fare i regali di Natale: ci si mettevano dentro i risparmi, facendo sacrifici e togliendoli alle necessità di tutti i giorni perché, nel momento della necessità, potessero essere usati. E nel frattempo nessuno poteva toccarli, così non si correva il rischio che noi o qualcuno altro li spendesse (mamma, papà e fratelli maggiori avevano tutti, sempre, bisogno di contanti) per cose non altrettanto necessarie.

Così gli Psicologi mettono da parte il loro obolo per il futuro e lo versano. Versano non il 10 ma il 12,50% del loro reddito netto, nelle casse dell’ENPAP. Su mille euro incassati ne danno un ottavo all’enpap: 125 euro al mese

Però, di questi 125 euro 25 non sono più della collega o del collega che li ha versati: diventano automaticamente dell’ENPAP e suoi soltanto. È come se il porcellino in terracotta dovesse essere nutrito e quindi mangiasse un quinto di quello che gli si mette dentro. Infatti il 2% del reddito lordo degli Psicologi (il cosiddetto “contributo integrativo”), circa un quinto dell’importo versato, non costituisce capitale cumulabile ai fini pensionistici ma viene utilizzato:

*        per costituire un “fondo di riserva” (da utilizzare per correggere gli errori di investimento che nel corso degli anni l’ente può fare),

*        per le attività solidaristiche,

*        per le spese di gestione dell’ente.

Contando che siamo a circa 30.000 iscritti all’ENPAP e che mediamente ognuno versa circa 1.500 euro all’anno (uno stipendio e mezzo), nelle casse dell’ente entrano annualmente intorno a 45.000.000 (quarantacinquemilioni) di euro. Di questi un quinto – 9.000.000 di euro all’anno – vengono “mangiati dal porcellino” e non torneranno in termini di maggior pensione a coloro che li hanno versati.

Nove-milioni-di-euro-l’anno per le necessità “integrative” – diverse dall’erogazione delle pensioni – sono una bella cifra, non c’è che dire.

Tolte le spese vive per gli stipendi al personale, la posta, le utenze, le consulenze e poco altro di irrinunciabile resta un bel gruzzolo che, ben amministrando la cassa, dovrebbe essere utile per la solidarietà ai colleghi più sfortunati (sempre che non si facciano errori marchiani d’investimento per cui diventi necessario ripianare le perdite).

Sul come usare questi denari, che si accumulano nei depositi presso le banche, si è da tempo aperto un ampio dibattito. Si è parlato tanto, per esempio, di azioni di solidarietà e di assistenza per i colleghi bisognosi.

Nonostante tanto parlare, le azioni di solidarietà promesse (assicurazione sanitaria di base per tutti gli iscritti, borse di studio, sussidi ed aiuti ai colleghi in difficoltà) tardano molto ad arrivare: è più di un anno che l’ENPAP sostiene di averle approvate ed ancora non se ne vede traccia.

Ci sono davvero i soldi per pagare queste prestazioni o si è solo scherzato?

Oppure questo ritardo nell’erogazione delle facilitazioni solidaristiche ha fatto si che ci fosse un eccesso di denaro da investire in “spese di gestione”?

Si, perché tra le spese di gestione, pagate con il contributo integrativo dei colleghi, ci sono anche i COSTI DELLA POLITICA “ENPAP”: emolumenti, indennità, rimborsi e gettoni per i componenti degli organi dell’ente.

Spese necessarie a garantire l’effettiva democraticità e la partecipazione all’amministrazione dell’ente, per carità. Ventitre membri del Consiglio di Indirizzo Generale e cinque membri del Consiglio di Amministrazione dedicano una parte sostanziale del loro tempo a garantire, per esempio, che non sia necessario utilizzare il fondo di riserva per ripianare i conti.

A me piacerebbe che lo dedicassero anche ad altro: per esempio, a rendere più trasparente il loro operato o, soprattutto, a far tornare utile alla categoria il fiume di denaro che l’enpap ha a disposizione. Ma tant’è: loro amministrano e loro hanno l’onere di decidere cosa fare dei nostri soldi.

Solo che, accadono sempre più spesso episodi inquietanti, che fanno mal intendere le intenzioni di utilizzo dei soldi degli Psicologi che hanno i nostri rappresentanti all’ENPAP.

Le prime notizie arrivano da una fonte ben informata, interna all’Ente: il Coordinatore del Consiglio di Indirizzo Generale (CIG) Cesare Rossi.

Il Collega Rossi ha informato alcune mail list di Psicologi che sabato 2 febbraio era stato convocato il Consiglio di Indirizzo Generale dell’ENPAP. Alle 9,45 si era aperta la riunione con la presenza di un numero di consiglieri sufficiente a garantire il numero legale (15 su 23). Alle 9,50, cioè appena 5 minuti dopo l’inizio, 8 consiglieri hanno invece subitaneamente abbandonano la riunione facendo così mancare il numero legale. Dopo la sospensione di rito la riunione è stata ufficialmente chiusa – per mancanza del numero legale – senza aver neanche cominciato i lavori.

Resterebbe uno caso particolare di improduttività della politica professionale se oltre alla beffa non ci fosse anche il danno: ogni riunione del Consiglio di Indirizzo impegna 32-33 persone (23 Consiglieri, 5 Sindaci, Presidente e Direttore, Impiegati) e costa circa 20.000 euro fra rimborsi spese di viaggio, di vitto, di alloggio e di gettoni di presenza (per i consiglieri ed i sindaci) e straordinari degli impiegati;

–         i  20.000 euro sprecati quel giorno graveranno proprio sul fondo del contributo integrativo (quello alimentato dai versamenti degli iscritti con il 2%), destinato anche agli interventi di solidarietà ed assistenza a favore degli iscritti, che ne sarà così inopinatamente impoverito;

–         i consiglieri, risultando comunque presenti in apertura del Consiglio, hanno acquisito il diritto al totale rimborso delle spese di viaggio e di permanenza a Roma nonché al gettone di presenza, pari a 348,00 euro! Contando che i lavori del CIG sono durati meno di per 5 minuti i colleghi consiglieri hanno incassato circa 70,00 euro al minuto (?).

Insomma, c’è da essere preoccupati: dopo tutto il gran discutere sull’aiuto da dare ai colleghi in difficoltà, all’ENPAP stanno decidendo di usare così i soldi degli Psicologi?

Abbiamo, allora, provato a capire quali motivi hanno spinto alcuni colleghi a questa “mossa tattica” inusuale: non possiamo certo pensare che i colleghi del Consiglio di Indirizzo siano “attaccati al soldo” in questo modo becero!

Abbiamo sentito alcuni degli assenti-in-seconda-battuta a quella riunione. Secondo i colleghi Cavallo e Sperandeo la motivazione dell’improvviso allontanarsi sarebbe tutta “politica”: nell’incontro del 2 febbraio si sarebbero dovute prendere decisioni cruciali circa l’accesso alla documentazione e la trasparenza degli atti dell’Ente.

La loro uscita di scena durante la riunione, allora, sarebbe stata determinata dalla consapevolezza che si era creata una maggioranza che avrebbe certamente approvato una regolamentazione restrittiva, per cui agli stessi membri del CIG sarebbe stato impedito l’accesso ad atti importanti quali i contratti con i gestori dei fondi ENPAP (contratti che vengono stilati dal Consiglio di Amministrazione). In questo modo, a loro avviso, si sarebbe impedito al Consiglio di Indirizzo di esercitare il basilare controllo ed hanno preferito far mancare il numero legale piuttosto che causare il tracollo democratico dell’Ente.

Che dire? L’esercizio della democrazia è cosa ardua, sicuramente, ed ognuno si assume la responsabilità dei propri comportamenti.

Di certo avremmo potuto farci un’idea più precisa di quello che sta accadendo all’ENPAP se tutti gli iscritti (non solo i membri del CIG) avessero potuto accedere agli atti e capire, per esempio, quali fossero le clausole in discussione in quella famigerata riunione di inizio febbraio.

È davvero così complicato rendere pubbliche le decisioni e le discussioni del Consiglio di Indirizzo?

Posso capire la prudenza, quando si parla di somme di denaro importanti – come quelle che orami muove il nostro Ente di Previdenza – ma ormai sono anni che anche le notizie più semplici e basilari (avremo o non avremo l’assistenza sanitaria di base gratuita? E le borse di studio? E i sussidi per i bisognosi?) dobbiamo conoscerle attraverso contatti personali o attraverso Altrapsicologia che faticosamente raccoglie e diffonde le versioni delle diverse componenti.

Non ci sono più notiziari, non c’è un bollettino con gli atti e i verbali.

Ai colleghi arrivano, dall’ENPAP, soltanto moduli di pagamento ed avvisi di mora.

Come si fa a sentire “solidale” un ente di categoria che chiede solamente ma non da nulla,  neanche informazioni?

Felice D. Torricelli