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Il CNOP sta lavorando ad una possibile revisione del Codice Deontologico.

Fra i temi meritevoli di attenzione ci sono sicuramente il contratto professionale e il consenso informato.

Quando il nostro Codice Deontologico è stato scritto mancavano ancora normative chiare sia sul contratto professionale che sul consenso informato per le attività sanitarie.

Sul piano del contratto, si era in un momento di evoluzione della figura del professionista nella sua qualità di operatore economico.

E sul piano del consenso informato in ambito sanitario, si viveva il passaggio da un paradigma di tipo paternalistico e asimmetrico, in cui il sanitario era depositario del sapere e il paziente un destinatario passivo delle cure, ad un paradigma più paritario, in cui il paziente è titolare delle scelte terapeutiche di cui è informato dal sanitario, il quale detiene il sapere tecnico-professionale senza che da questo ne discenda anche un potere di agire senza informare.

Inoltre, per quanto riguarda le prestazioni di cura prestate a minori di età, al tempo della stesura del nostro Codice vi era un concetto del minore (o di chi ha limitazioni della capacità giuridica) come destinatario passivo delle decisioni degli esercenti la ‘potestà’, mentre oggi il minore di età è soggetto pienamente attivo e legittimato – anche giuridicamente, con la legge 219/2917 – ad essere informato, e della cui volontà deve essere tenuto conto.

Infine, il Codice risente di un paradigma professionale di tipo individualistico, e riserva poco spazio al lavoro in istituzione, in cui contratto e consenso informato dipendono anche dal contesto e non solo dall’accordo individuale con lo psicologo.

Sono quindi almeno quattro le questioni relative a contratto professionale e consenso informato da ridefinire nel Codice Deontologico: (1) la distinzione fra contratto professionale e consenso informato in ambito sanitario, (2) il consenso informato come incontro dialogico fra professionista e paziente, (3) il contratto e il consenso informato con i minori di età e (4) il contratto e il consenso informato nei contesti istituzionali.

 

DISTINGUERE TRA CONTRATTO E CONSENSO INFORMATO

Credo che questa sia la prima operazione da compiere: distinguere chiaramente nel Codice Deontologico ciò che pertiene alle questioni amministrative (contratto), da ciò che riguarda la relazione di cura, di cui il consenso informato è il momento fondativo.

Si vede ancora troppo spesso – perfino nei vari fac-simile degli Ordini – un mescolamento e una sovrapposizione degli aspetti contrattuali (che appartengono a qualunque tipo di prestazione professionale) con gli aspetti informativi e negoziali riguardanti la cura, che costituiscono il consenso informato.

La distinzione fra contratto e consenso informato è necessaria perché sono cose diverse, giuridicamente e sostanzialmente, ma anche perché mescolarle e sovrapporle svilisce il valore civico del consenso informato alle prestazioni di cura.

Il contratto riguarda gli aspetti concreti e amministrativi di qualunque rapporto professionale.

Il suo valore è civilistico e l’interesse tutelato è la chiarezza degli accordi della parte ‘commerciale’ della relazione professionale.

Invece il consenso informato riguarda la sfera della clinica, della dignità della persona, della libertà e volontarietà della cura.

Il consenso informato non è un contratto ma un processo dialogico fra il professionista che presta la cura e il paziente che ne beneficia, che non può in alcun modo essere ridotto ad un modulo da firmare (nemmeno la legge lo prevede!).

Il consenso informato in ambito sanitario è un atto di grande valore clinico e civico, esito di un percorso storico anche sofferto di riconoscimento della dignità delle persone, dopo secoli in cui la medicina e la sanità sono state caratterizzate da un approccio paternalistico in cui il paziente era soggetto passivo delle decisioni del sapere sanitario, a cui era superfluo fornire informazioni.

Ed è stato un percorso costellato di fatti anche crudi e dolorosi, di persone sottoposte a trattamenti sanitari senza essere informate o senza aver acconsentito.

Fra i più recenti quello del neonato Jeffrey Lawson, operato a cuore aperto senza anestesia e senza informare la madre nel 1986.

Sono stati questi fatti a mettere in luce la necessità di un profondo ripensamento del ruolo della volontà e dell’informazione del paziente in sanità.

Non è scontato avere una legge che afferma che il paziente ha diritto ad essere informato e scegliere per se stesso, e che la comunicazione fra sanitario e paziente è costitutiva della cura. Tanto che in Italia è avvenuto solo recentemente con la legge 219/2017.

Ecco, svilire tutto questo attraverso un’operazione di appiattimento del consenso informato su un mero adempimento formalistico non è degno della nostra professione, che ha fatto della dignità e dell’autodeterminazione della persona il centro del proprio agire.

Dunque, una prima linea di revisione del Codice dovrebbe riguardare, a mio avviso, la distinzione fra contratto professionale e consenso informato in ambito sanitario, al fine di riconoscere la profonda pregnanza civica di quest’ultimo e non ridurlo ad un mero passaggio burocratico.

 

IL CONSENSO DEI MINORI DI ETA’

Altra importante linea di revisione riguarda il riconoscimento del ruolo attivo di chi non ha piena capacità giuridica: minori di età, interdetti, inabilitati, amministrati.

Se sul piano amministrativo e contrattuale il minore di età non può siglare in proprio accordi contrattuali, e saranno quindi gli esercenti la responsabilità genitoriale a farlo per lui, sul piano delle attività di cura la situazione è ben diversa.

Nella legge 219/2017 “la persona minore di età o incapace ha diritto (…) a ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute (…) per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” e “il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale (…) tenendo conto della volontà della persona minore (…) e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.

Siamo lontani anni luce dall’attuale testo dell’articolo 31 del Codice Deontologico, che (1) non distingue fra consenso civilistico e consenso informato all’atto sanitario (2) mette al centro la situazione di conflitto dei genitori (3) non considera minimamente la volontà del minore di età (4) non pone l’obiettivo della salute al centro della decisione.

I risultati sono ben noti: l’articolo 31 del codice deontologico è diventato un frequente oggetto di contesa all’interno delle liti per separazione, con atteggiamenti aggressivi da parte di legali e genitori e con un assetto difensivo da parte degli psicologi, più preoccupati di procurarsi la famosa ‘firma di entrambi i genitori’ che di costruire un processo di comunicazione finalizzato alla salute del minore di età.

Una revisione di questa parte del Codice a mio avviso dovrebbe tendere a ridurre l’esposizione del professionista a rivalse dei genitori, attraverso un ferreo richiamo a (1) considerare preminente l’informazione e la volontà del minore (2) considerare la salute del minore come l’interesse prevalente.

 

IL CONTRATTO E IL CONSENSO INFORMATO NEI CONTESTI ISTITUZIONALI

Quale che sia la ragione storica, il Codice Deontologico sembra disegnato sulla figura di uno psicologo che opera in modo sostanzialmente solitario e indipendente, e gli articoli che trattano del lavoro in istituzione sembrano più tesi a istruire la delimitazione dei confini con il contesto, che a tracciare indicazioni per il lavoro dentro e con il contesto.

Lo si vede negli articoli 4, 6, 9, che disegnano uno psicologo nell’atto di stabilire le regole, prendere le distanze, decidere se e quanto riferire, porsi come terzo rispetto sia al destinatario della prestazione che all’istituzione.

Ma non sempre funziona così. Più spesso, lo psicologo che opera in istituzione (scuola, azienda, ASL, comunità, etc) è parte del contesto, di cui co-costruisce le regole insieme ad altri attori, dentro un quadro ancora più ampio costituito dalle norme giuridiche e dagli assetti organizzativi, sociali e culturali.

Questo tema si è posto con molta chiarezza in occasione del protocollo CNOP-MIUR per la psicologia scolastica, che ha fatto emergere tutta l’inadeguatezza del Codice Deontologico nel regolare contratto e consenso informato in un contesto istituzionale.

L’aggiornamento del Codice dovrebbe superare la visione di uno psicologo solitario che si adatta con fatica ai contesti istituzionali, per approdare a uno psicologo che riesce ad operare nei contesti istituzionali in modo flessibile avendo chiari i principi della chiarezza contrattuale per la parte amministrativa, e dell’informazione e rispetto della volontà per la parte del consenso informato alle cure.

 

ALLA FINE SERVE UN ARTICOLATO.

Dopo questa lunga premessa, non posso non tener conto di una considerazione espressa da Catello Parmentola: i dibattiti sono un’ottima cosa, ma alla fine serve un articolato.

Ed è vero: la sfida della revisione del Codice è produrre un altro Codice, cioè un testo composto da capi, articoli e commi, abbastanza sintetico da essere maneggevole, abbastanza chiaro da essere comprensibile da psicologi e cittadini, e abbastanza preciso da essere utile nella vita quotidiana.

Raccolgo quindi l’invito ad andare oltre il discorso generale, e ad immaginare anche un articolato.

Ovviamente si tratta solo di un esercizio, senza alcuna velleità di riscrittura del Codice, onere che è compito di altri. Ma voglio cogliere l’invito di Catello Parmentola ad essere pratici e concreti nel dibattito.

 

PROPOSTA DI REVISIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO: CONTRATTO E CONSENSO INFORMATO.

La proposta che qui immagino sostituisce gli attuali articoli 18, 23, 24, 31, 32 del Codice Deontologico con il capo unico ‘CONTRATTO PROFESSIONALE E CONSENSO INFORMATO’.

Inoltre, elimina dall’articolo 9 l’espressione ‘consenso informato’ (andrebbe sostituita), così da non lasciare ambiguità sul fatto che con essa ci si riferisca esclusivamente alle prestazioni di natura sanitaria.

La proposta distingue fin dal titolo il contratto, come elemento civilistico che regola gli aspetti concreti e amministrativi, e il consenso informato che invece riguarda solo le prestazioni sanitarie e la volontà del paziente a beneficiarne.

Un parte è dedicata alle persone che non possono esprimere legalmente un consenso autonomo (minori di età, inabilitati, interdetti, amministrati).

Infine l’ultima parte è dedicata al contratto e al consenso in contesti istituzionali (ad esempio scuola, famiglia, istituzioni, enti sanitari, tribunale).
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CAPO N – CONTRATTO PROFESSIONALE E CONSENSO INFORMATO PER LE PRESTAZIONI SANITARIE

Articolo 1. CONTRATTO PROFESSIONALE

Le prestazioni professionali dello psicologo sono regolate da un contratto, eventualmente redatto in forma scritta, che ne stabilisce l’oggetto e le modalità economiche e organizzative di espletamento. Il contratto deve contenere le informazioni eventualmente stabilite da leggi e regolamenti.

Per i minori di età e per chi ha limitazioni della capacità negoziale, il contratto professionale è stipulato con chi esercita la responsabilità o la tutela.

La mancata chiarezza negli accordi contrattuali costituisce infrazione deontologica lieve o grave, anche in considerazione del danno prodotto.

Articolo 2. CONSENSO INFORMATO PER LE PRESTAZIONI SANITARIE

Le prestazioni sanitarie sono subordinate al consenso informato. Il consenso informato è un processo dialogico nel quale si incontrano l’autonomia decisionale della persona e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del professionista. Nessuna prestazione sanitaria dello psicologo può essere iniziata o proseguita senza il consenso libero e informato della persona interessata.

L’informazione è il presupposto del consenso. Il consenso è valido se lo psicologo ha fornito alla persona interessata chiare e comprensibili informazioni sulla situazione di salute riscontrata, sui possibili interventi da effettuare, sulle prospettive di evoluzione, sulle possibili alternative alle cure proposte e sulle conseguenze di un eventuale mancato trattamento.

Lo psicologo integra le informazioni e verifica la presenza del consenso anche nel corso dell’intervento, ogni volta che lo ritenga necessario o quando siano intervenuti cambiamenti significativi nella situazione.
Il consenso informato deve essere documentato in forma scritta.

La mancata o parziale informazione al paziente, specialmente se comporta una limitazione della sua possibilità di prestare un consenso libero e informato, costituisce grave infrazione deontologica.

Articolo 3. IL CONSENSO INFORMATO DEL MINORE DI ETÀ, DELL’INTERDETTO, DELL’INABILITATO E DI CHI HA LIMITAZIONI DELLA CAPACITÀ NEGOZIALE.

Il consenso informato al trattamento sanitario del minore di età, dell’interdetto o dell’inabilitato è espresso dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenendo conto della volontà del destinatario della prestazione e della tutela della sua salute psicofisica.

I destinatari minori di età, interdetti o inabilitati partecipano alle decisioni relative alla propria salute psicologica. Lo psicologo li informa in modo consono alle loro capacità, e si fa garante della possibilità che esprimano la loro volontà rispetto alle prestazioni psicologiche.

In caso di disaccordo sulle prestazioni psicologiche destinate a minori di età, interdetti o inabilitati, lo psicologo informa gli interessati rispetto alle prevedibili conseguenze per la salute del permanere di un disaccordo.

Qualora permanga un disaccordo sulle prestazioni psicologiche, lo psicologo considera preminente la tutela della salute del minore di età, dell’interdetto o dell’inabilitato, e qualora lo ritenga necessario può ricorrere al giudice tutelare.

Articolo 4. PRESTAZIONI PSICOLOGICHE IN CONTESTO ISTITUZIONALE

Nei casi in cui opera in contesti istituzionali, lo psicologo tutela la salute, la libertà e la dignità delle persone. Si accerta, sia per le prestazioni sanitarie di sua diretta responsabilità che per quelle di cui ha conoscenza diretta, che i destinatari siano adeguatamente informati e abbiano espresso la propria volontà di beneficiarne.

Qualora la documentazione scritta del consenso informato alle proprie prestazioni sia gestita dall’istituzione o da terzi, lo psicologo si accerta comunque che l’interessato sia adeguatamente informato e che la sua volontà sia presente, e conforme a quanto documentato.