image_pdfimage_print

E’ con piacere che vi segnalo un’iniziativa interessante del CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi). E, seppur sottolineando antichi vizi dei colleghi sanitari AUPI che da 20 anni governano l’Ordine, mi fa piacere diffondere un’attività di indagine e ricerca – comunque – da premiare!

Il CNOP, a quanto pare, ha avviato un “Osservatorio sulla professione per dare risposta a esigenze di natura conoscitiva in relazione alla situazione del mercato professionale degli psicologi e agli sviluppi dei bisogni psicologici della popolazione”. Questo nuovo organismo ha prodotto e diffuso due interessanti indagini che potete qui scaricare:

Lo stato e le prospettive delle professioni psicologiche in Italia (600kb)

La domanda e offerta nel settore della psicologia clinica e della psicoterapia (2,4MB)

Il succo di 89 pagine… e qualche considerazione

Proprio due giorni fa scrivevo in un articolo della strana attenzione che tutti stanno dando al marketing ed alla comunicazione, ed ecco il concetto cardine con cui apre la prima indagine:

gli ordini professionali sono chiamati sempre più spesso a confrontarsi con compiti (di lobbing, progettazione e sviluppo, marketing, comunicazione…) che vanno oltre la semplice tutela giuridica della professione e rispondono a istanze di promozione

Mi fa piacere quest’apertura in quanto – penso tra me e me – il CNOP pare mettersi in discussione e volersi svestire dei pesanti strati di ruggine
(come AltraPsicologia abbiamo una proposta operativa su questi argomenti, come Nicola Piccinini ho pubblicato un ebook gratuito su questi argomenti).

Si arriva quindi alle considerazioni sullo stato dell’occupazione degli Psicologi, apparentemente il tasto più dolente. Ed invece:

L’accesso al mondo del lavoro non sembra presentare consistenti problemi per gli psicologi: in media, dopo il tirocinio, passa circa un anno per trovare un’occupazione qualsiasi e circa due per sviluppare un’attività propriamente psicologica. Questi numeri potranno essere approfonditi avviando una comparazione con altre professioni ma, in sé, non sembrano rivelare un problema specifico

Con stupore prendo atto che gli psicologi non hanno quindi consistenti problemi di lavoro. Sono felice, ma…

  • che significa “occupazione qualsiasi“? Fare il pizzaiolo? Perché nel caso non dovevo aspettare 5 anni di università ed uno di tirocinio…
  • che significa “sviluppare attività psicologica” se non specifichi quanti soldi genera? Il volontariato con pagamento a buoni pasti rientra nello sviluppo di attività psicologica?

Le mie perplessità non si placano neppure quando si afferma:

Possiamo dunque affermare che la copertura occupazionale degli psicologi italiani appare ampia e coerente; insomma, la gran parte di chi ha intrapreso questo percorso di formazione trova poi una collocazione professionale pertinente

Si, certo… talmente pertinente che su 70.000 psicologi italiani iscritti all’Ordine, solo il 50% è iscritto all’ENPAP, ovvero ha aperto partita iva ed offre prestazioni psicologiche

E difatti, approfondendo meglio le ricerche, cominciano ad emergere alcune incongruenza:

Il 43,9% ha meno di quattro anni di anzianità professionale, nonostante un’età anagrafica tra i 31 e i 40 anni (41.0%)
La remunerazione professionale è considerata dal 55,7 % degli intervistati poco adeguata e non sempre sufficiente a garantire un’autonomia economica che la maggior parte degli intervistati raggiunge entro i quattro anni dall’inizio dell’attività professionale, a fronte di un 16 % che dopo cinque anni dichiara ancora una condizione di ‘non autonomia’.

gli psicologi realizzano tendenzialmente guadagni inferiori alla media della popolazione laureata in Italia (quasi 3.000 € in meno pro-capite, secondo le nostre stime); gli psicologi più giovani realizzano guadagni che – in assenza di altri sostegni
economici di tipo familiare – li collocherebbero nella fascia della popolazione prossima alle soglie di povertà secondo le statistiche ufficiali del Paese (circa 6.000 €uro netti anno pro-capite)

gli intervistati spiegano questa loro preoccupazione con un’ampia serie di motivi, che possono essere così riassunti:
a) la concorrenza di altre professioni e l’offerta di altri interventi;
b) la debole presenza o scarso potere come categoria professionale;
c) la perdita progressiva di prestigio culturale;
d) la diminuita disponibilità economica dell’utenza.

Ecco quindi l’amara sorpresa. In apertura si parla di una professione in salute ed a buona copertura occupazione, ma poi si scopre che la gran parte dei colleghi, alle soglie dei quarant’anni non è ancora autonoma e molti stanno sulle soglie di povertà!

Disorientato da questo doppio registro, arrivo alle proposte operative del CNOP per intervenire su questa situazione di crisi. Tiro un sospiro di sollievo!
Finalmente posso conoscere le strategie e le iniziative che l’Ordine Nazionale intende adottare!

“Discontinuità” e “progettazione” rappresentano, a nostro giudizio, il fil rouge. Elenchiamo e tratteggiamo brevemente qui di seguito gli snodi da considerare, a nostro giudizio, nell’azione di governante:

  1. Le dimensioni della community. Al momento in cui scriviamo siamo ormai 70.000 psicologi iscritti all’Ordine; cresciamo ad un ritmo del 10% annuo. l’intervento sulle dimensioni future del gruppo professionale tende a configurarsi quasi come un “compito urgente ma impossibile” in assenza di un modello di sviluppo elaborato e condiviso
  2. Questione femminile. Siamo incamminati verso un gruppo professionale mono-genere: al femminile. Può essere considerata uno sviluppo virtuoso?
  3. Questione giovanile. Sul mondo delle professioni psicologiche ridonda una questione giovanile che nasce dal più ampio contesto sociale e che si manifesta soprattutto in termini di difficoltà di accesso alla professione
  4. Mondi professionali. Affinare adeguate strategie di marketing e di job design delle professioni rispetto ai loro contesti appaiono i requisiti minimi per sviluppare un approccio sufficientemente rispettoso della complessità del quadro
  5. Core identity e core compenticies. Il problema è stato evidenziato dalla nostra ricerca anche se ci sentiamo molto lontani dal poterne dare una rappresentazione soddisfacente.
  6. Formazione universitaria e formazione professionale. Non abbiamo risposte a questo quesito che – oltre a sollevare uno specifico problema irrisolto – ha anche il merito di introdurre un altro snodo relativo ai rapporti fra formazione universitaria e formazione professionale

Beh… direi che non c’è male! Siamo quindi di fronte ad un compito urgente ed impossibile, di cui non si ha una rappresentazione soddisfacente, né risposte possibili da fornire.

E dire che da vent’anni stanno lì al governo della professione. O forse è proprio questo il problema, colleghi fermi allo scorso millennio che non hanno la minima idea dell’attuale scenario. Ed anche quando commissionano un’indagine – potenzialmente utile – gli danno interpretazioni del tutto scollate dalla realtà.

E’ comico che tra i punti di Discontinuità e Progettazione non vi sia anche quello del ricambio delle rappresentanze all’Ordine Psicologi. Non vi sia anche una loro presa in carico di responsabilità…

Fortuna che ci sono i colleghi di base, quelli che quotidianamente si confrontano con le criticità della professione. Ecco alcuni spunti da parte degli intervistati:

necessità di una maggiore selezione universitaria o l’esigenza di un più elevato “senso di responsabilità” nei professionisti senza ulteriori specificazioni;

necessità di un migliore investimento nella qualità formativa o la necessaria promozione dell’immagine e della cultura autonoma dello psicologo attraverso campagne informative

Rimangono quindi forti perplessità sull’interpretazione di questi dati, ed ancor più sull’utilizzo che l’Ordine ne vorrà fare.

Detto ciò, iniziative del genere sono benvenute e da diffondere in quanto, comunque, aumentano coscienza e conoscenza internamente alla nostra categoria!