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Duecento euro e un manualetto che arriva a casa come a suo tempo accadeva con la Scuola Radio Elettra. Tanto basta, secondo tal Protocollo Discentes, per … avviare anche tu un bel master triennale in counseling relazionale espressivo integrato nella tua città… manca una bella supercazzola, e poi c’è proprio tutto… ci verrebbe da dire…

Tornando all’amara realtà, tutto ciò ci obbliga ad una riflessione! Come siamo finiti in una realtà in cui davvero tutto è possibile?

Il bello è che tutto è a norma di legge, sicuramente, ma che sta succedendo? Qualcosa rende oggi possibile pensare di diffondere le scuole di counseling sul territorio in modo del tutto capillare e a macchia d’olio, anche senza specifiche competenze. Siamo arrivati al rapporto di aiuto del tutto svincolato dalla competenza, dalla formazione professionale, dal passato. E in questa valorizzazione del vuoto, del nulla, del non sapere non c’è molto di nobile, visto che la cosa che viene più sottolineata nel protocollo è che questa “si configura come un’enorme opportunità di fare “impresa” nel sociale”. Come dire, accorrete, c’è grasso che cola.

Non c’è dubbio che quello che colpisce sia una preoccupante, davvero estrema facilità: fare il counselor e perfino il formatore diventa in questa spericolata impresa davvero un gioco da ragazzi. Investimento limitato, grande resa, guadagno sicuro. Il bello è che il counseling è vicino e per certi versi sovrapposta allaconsulenza psicologica che richiede una preparazione di sei anni e mezzo e un esame di Stato.

La proposta di esercitare una professione delicatissima di cura “anche senza competenze” ci riporta a prima del 1989, quando la consulenza psicologica era un fatto di sensibilità e istinto, non di scienza e preparazione, e fa saltare sulla sedia chi abbia qualche interesse nella salvaguardia di quel diritto alla salute che la legge 56 aveva tutelato, riservando l’esercizio delle attività di sostegno psicologico agli psicologi.

Che poi un soggetto privato dichiari che “ci pensa lui” a fornire tali competenze dà la misura del fatto che ci si trovi all’interno di una narrazione personale, del tutto autoreferenziale e ovviamente come tale in potenza estremamente pericolosa per gli utenti. Non ci si rende conto, è evidente. Ma in che modo un privato intenderebbe supplire ad una formazione accademica? In quali tempi? Con quali strumenti?

Difficile chiederlo perché chi organizza queste iniziative alla minima, legittima naturalissima domanda posta sui social si fa subito aggressivo e minaccia querele. Questi sono i tempi. Per fortuna è a buon punto il DDL sull’inasprimento dell’articolo 348 c.p, almeno ci sarà occasione di verificare cosa succede davvero là fuori e chissà mai che qualcuno dei soggetti che mettono a rischio la salute delle persone con troppa leggerezza possa un giorno ricevere la giusta sanzione.