Giovani psicologi e precariato

E’ dall’inizio degli anni ’90 che i vari governi che si sono succeduti in Italia hanno cominciato a perseguire politiche precarizzazione del lavoro e, in contemporanea, di allentamento delle tutele dei lavoratori.
Si può dire anzi che queste siano due delle componenti strutturali che tutti i governi hanno usato per compensare gli svantaggi derivanti al “sistema Italia” nel momento in cui la globalizzazione prendeva sempre più piede ed i paesi con più bassi salari sconvolgevano i mercati.
Rimandiamo al lavoro “Giovani precari. Dall’adolescenza all’età adulta oggi, nell’epoca del precariato e della globalizzazione” chi volesse sapere di più su come la pensiamo sull’argomento in termini generali, e ci limitiamo qui a tentare una analisi su ciò che sta accadendo ai giovani che operano nel terzo settore e ai giovani psicologi, in particolare.

I dati che provengono da una regione opulenta come l’Emilia ci dicono che dal 1992 al 2002 c’è stata anche qui da noi una vera e propria inversione della tendenza: cosicché mentre nel 1992 solo il 21 % dei giovani che entravano nel mercato del lavoro era assunta con contratti di precariato nel 2002 i nuovi assunti con le varie forme di lavoro precario erano intorno all’70 %.

Si tratta per ora solo di un fenomeno che Seravalli, un economista dell’università di Parma, definisce “panchina lunga”: cioè una situazione in cui dopo uno o due anni il giovane precario “si sistema“ e passa al tempo indeterminato.
Intanto però lo stesso Seravalli sostiene che, di fronte ad una crisi economica, questa tendenza sarebbe destinata ad essere ulteriormente sconvolta e che si assisterebbe ad una biforcazione nei vari comparti in base alla quale i più qualificati sarebbero tutelati ed i meno qualificati condannati ad un precariato di lungo corso che sarebbe destinato a cascare rovinosamente sui destini dei singoli poiché in questa prospettiva il valore della forza lavoro è destinato a deprimersi sempre più.

In secondo luogo già oggi i tempi secondo i quali avviene il passaggio dalla panchina lunga del precariato alla prima squadra del lavoro a tempo indeterminato non sono omogenei in tutti i comparti lavorativi e – udite, udite! – nel terziario dei servizi questo passaggio tende ad assumere “gli anni di Nestore e di Priamo”. Inoltre è noto, al di là delle riflessioni di Seravalli, che se all’interno del precariato andiamo distinguere fra forza lavoro maschile e femminile scopriamo che quest’ultima è più precaria della prima. Cosa che è certo destinata ad accentuarsi se consideriamo ciò che sta avvenendo proprio in questi ultimi mesi a cavallo della finanziaria: vedi i provvedimenti che istituzionalizzano per le donne la precarizzazione praticamente “a vita”.

Venendo a noi e limitandoci a dedurre ciò che in base a quanto abbiamo detto finora vale per i nostri giovani colleghi, ne deriva che i giovani psicologi oggi sono ‘fregati’ – scusate il termine – almeno per tre ordini di motivi:

  1. lavorano nel terziario dei servizi alla persona;
  2. sono impegnati in larga parte in un welfare che sta scomparendo (perché questo significa l’allentamento delle tutele: la scomparsa del welfare!);
  3. sono in prevalenza donne.

E’ pensabile quindi che, se le condizioni economiche si deteriorano ulteriormente i nostri giovani colleghi sono destinati alla sottoccupazione ed al precariato in misura crescente, con rischi in itinere di perdita di competenze e di concorrenzialità, se non altro per l’impossibilità di pagarsi la formazione e la supervisione.
Così come è intuibile che, anche se l’economia reggesse e permanesse il meccanismo della panchina lunga intanto la nostra panchina è più lunga e poi, sia pure in termini meno drammatici, ciò che dicevamo prima varrebbe lo stesso. Non è questo il tipo di timori che giornalmente ci comunicano i nostri giovani tirocinanti? Non è questo che intuiamo semplicemente guardandoli in faccia?

Nel nostro caso però i guai per i nostri giovani colleghi non finiscono qui perché, in sovraccarico, il combinato maledetto che si è costituito fra l’inerzia e insipienza dell’Ordine e il sostanziale misconoscimento da parte dell’Università delle opportunità reali e potenziali offerte dal mercato del lavoro finiscono col produrre una situazione insopportabile.
Quell’Ordine e quell’Università che hanno inventato una professione che non esiste e che è stata bocciata dall’Europa, lo junior, e che nel frattempo si sono viste scappare o non hanno mai lottato per istituire lauree brevi quali “educatore professionale”, “logopedista”, psicomotricista, testista, etc.

Quell’Ordine e quell’Università che non hanno mai svolto un’opera di ricerca sui potenziali sbocchi e che perciò hanno rinunciato ad aprire specializzazioni che andassero in linea con le esigenze del mercato. Col risultato di affollare la clinica e di far credere che per-ciò gli psicologi sono tanti e che l’unica cosa è bloccare gli accessi.
Che fare in una situazione per molti versi così drammatica?

Innanzitutto, a nostro avviso, recuperare la dimensione collettiva del problema, e non solo con gli altri colleghi psicologi. Che non vuol dire buttarla in politica, ma ritrovare insieme agli altri giovani quel filo rosso che collega la condizione dei singoli a quella di tutti.
In secondo luogo fare un’autocritica sul piano della autorappresentazione della categoria: insomma i giovani psicologi sono dei fortunati che, siccome si sono fatti il c… sui libri e nella pratica per così lungo tempo ipso facto appartengono all’élite dell’élite? oppure – come molti altri giovani laureati – dobbiamo tirar su le maniche e darci da fare per disegnare un profilo di noi medesimi più realistico e perciò meno esposto alle depressioni in itinere.
Inoltre lottare perché sia fatta e continuamente rifatta un’inchiesta sugli sbocchi professionali possibili. Un’inchiesta a partire dalla quale poi l’Ordine, le associazioni, noi si vada a negoziare con le istituzioni accademiche tutta la questione della diversificazione mirata degli sbocchi.
E, all’interno di questo quadro, cominciare insieme agli altri giovani, un percorso di superamento del precariato, di ridefinizione delle tutele sia per l’oggi che per il domani.

Su quest’ultimo punto la proposta che noi facciamo, ovviamente in termini general-generici, poiché non siamo degli economisti, è quella della istituzione per tutti i giovani di un fondo, garantito e coperto dallo stato, dagli enti locali, dalle categorie economiche, volto nell’immediato a cofinanziare, a basso tasso d’interesse, esclusivamente posti stabili per i giovani in un quadro di spinta all’innovazione e alla ricerca, nel futuro a costituire il plafond sul quale costruire la loro pensione.