Più ufficiale di così non si può: in QUESTO ARTICOLO del Sole24Ore, quotidiano economico per eccellenza, sono a confronto i dati sui contributi complessivi versati dai professionisti alle casse di previdenza. E la scoperta che nessuno si sarebbe aspettato è che la nostra professione è in crescita.
Non una crescita occasionale, ma costante da anni. Praticamente la psicologia a livello complessivo non sembra conoscere crisi. Il volume d’affari totale della nostra professione appare in salita anche negli anni in cui le altre, anche più blasonate, si sono arrestate o sono andate in perdita.
Il nostro presidente ENPAP Felice Torricelli, intervistato dal Sole24Ore, ha sostanzialmente confermato questo trend positivo, su cui ci stavamo già interrogando. Ma al di là dei numeri, occorre interrogarsi sul loro significato.
Sappiamo che la professione cresce al ritmo del 3-5% annuo in volume d’affari complessivo, ma non sappiamo esattamente perché. Potrebbe essere emersione del nero, espansione in nuovi settori, creazione di domanda sulla base di una massiccia presenza di offerta, erosione di spazi di lavoro prima occupati da non psicologi. Insomma, è una situazione che va capita, che rimanda direttamente al tema di come si sta sviluppando il lavoro degli psicologi.
Sappiamo anche che la crescita non è spiegata dal mero aumento del numero degli psicologi: è vero che aumentiamo ogni anno, ma è altrettanto vero che riusciamo a ‘piazzare’ sul mercato le nostre prestazioni aumentando le vendite del 3-5% l’anno. Semmai, sono i redditi medi ad aver subito nel tempo qualche flessione, ma non come ci si aspetterebbe ascoltando quel che hanno da dire gli psicologi sul proprio lavoro.
C’è infatti un importante dato ‘sociale’: in 18 anni il volume d’affari della psicologia professionale in Italia è quadruplicato, ma agli psicologi sembra proprio il contrario. Come è possibile?
Comunque, questi sono i grafici e ciascuno può farsi un’idea di ciò di cui parliamo:
Nello stesso articolo, il Sole24Ore ha poi comparato diverse professioni, sempre usando come base i redditi dichiarati alle casse di previdenza obbligatorie, e restituisce un’ulteriore positiva scoperta:
Mentre la psicologia cresce, altre professioni tradizionalmente più blasonate sono invece in perdita.
A perdere terreno sono le professioni fortemente connesse ai settori produttivi che risentono in modo diretto e immediato della crisi economica: edilizia, produzione industriale, giurisprudenza. Nella variazione dei redditi dal 2011, fanno meglio di noi solo i veterinari. Andiamo peggio se il periodo considerato è quello dal 2008 ad oggi, ma non ce la caviamo male come i Notai, Ingegneri e Architetti, Consulenti del Lavoro.
Ora: questi dati ci raccontano una certa realtà e andranno studiati meglio, perché le variabili che intervengono a determinarli possono essere molteplici. Resta però diffusa fra gli psicologi una percezione di scarsa crescita lavorativa, o almeno di insoddisfazione. Su questa base di partenza, ci interessa capire l’esperienza concreta di chi lavora ogni giorno sul campo:
Tu cosa ne pensi? il lavoro degli psicologi cresce davvero? in che modo?
In estrema sintesi credo che vada considerato il fatto che il numero di iscritti alla cassa è circa il 50% di quelli laureati ed abilitati.
Questo significa che la metà degli psicologi non percepisce reddito o fa altro.
Vista la premessa potrebbe essere che il trend sia in crescita perché i colleghi si iscrivono per versare i contributi unicamente nel momento in cui stanno percependo un reddito.
Il reddito individuale, poi, potrebbe rimanere costante perchè gli iscritti più anziani, ampliando il proprio giro d’affari, compensano i nuovi iscritti con redditi molto bassi.
Non so se sia solo una mia impressione ma credo di no: penso sia sotto gli occhi di tutti la situazione paradossale per la quale chi già lavora da un po’ di tempo ha sempre più lavoro, mentre chi sta cominciando ha davanti a sé una calma piatta. Il “giro” dei pazienti si ottiene dopo anni e paradossalmente una volta creato riempie l’agenda da solo (ma si potrebbe sostituire il termine pazienti con clienti, aziende, ecc)
Il fatto che il 50% degli psicologi abilitati sia iscritto alla cassa ENPAP mi sembra abbastanza coerente col fatto che solo il 55% degli psicologi abilitati e che svolgono la professione di psicologo svolge la libera professione. Gli altri psicologi abilitati e che lavorano come psicologi sono lavoratori dipendenti o con contratti atipici e collaborazioni occasionali (che, se non erro, rientrano nella gestione INPS), e poi c’è chi fa altro. Complessivamente, mi risulta che il 78% degli psicologi abilitati lavora come psicologo, e il 22% fa altro o non lavora o è in pensione (dati dell’Ordine del 2008). Per una carrellata esaustiva dei dati disponibili sulla professione (dati Ordine, ENPAP, Istat, AlmaLaurea, etc.), suggerisco di visionare molto attentamente questo video: https://www.youtube.com/watch?v=0B1k6PcLpQg#t=64.
Non credo sia solo un’impressione che chi lavora da più tempo ha più lavoro, mentre chi comincia ha molta strada da fare (in controtendenza rispetto ad altri tipi di professionalità, es. l’ingegnere). Però questo percorso mi sembra, almeno in parte, naturale, per una professione così delicata e che richiede una certa maturità e formazione aggiuntiva (compreso il tirocinio post-lauream) per essere svolta in modo pienamente responsabile. Comunque i dati AlmaLaurea del 2013 mostrano che l’80% dei laureati in psicologia dopo cinque anni lavora.
Il fatto che il fatturato cresca può dipendere semplicemente dal fatto che il numero di psicologi obiettivamente cresce, la domanda di servizi psicologici c’è e in qualche modo, nonostante il dilagante pessimismo, viene intercettata.
Lavora come?
Dada, se intendi i laureati in psicologia a cinque anni dalla laurea, non so dire come lavorano, dato che a quanto vedo sono disponibili solo i dati sul tipo di lavoro (autonomo, dipendente, etc.). Parlando però degli iscritti all’Ordine, mi sembra abbastanza chiaro che non si può affermare che “la metà degli psicologi non lavora o fa altro” basandosi solo sul dato ENPAP, dato che l’ENPAP intercetta solo una parte di chi lavora come psicologo (il 35% dei quali lavora come lavoratore dipendente, non soggetto a contributi ENPAP), e dato che il 78% degli iscritti all’Ordine dichiara di lavorare come psicologo, mentre solo l’8% dichiara di non lavorare e solo l’11% dichiara di fare altro. Complessivamente la situazione, in particolare per chi intraprende la professione, non sembra rosea neppure a me, tuttavia mi sembra meno critica di quanto una lettura superficiale dei dati e il dilagante pessimismo lascino credere. Tra l’altro, il problema della disoccupazione e in particolare quella giovanile (42%) riguarda tutte le categorie, a prescindere dal fatto di avere una laurea di qualunque genere oppure no, così come, con poche eccezioni, la discrepanza tra formazione ricevuta, aspirazioni e lavoro effettivamente svolto. Al tempo stesso mi sembra evidente che una parte di noi stessi psicologi fatica a inquadrare nella categoria “lavoro da psicologo” attività che implicano conoscenze teoriche e competenze che fanno parte della storia della psicologia (es. coaching, counseling, forse persino ciò che attiene alla psicologia del lavoro o dell’educazione), che non corrispondono al cliché diffuso dello psicologo come “strizzacervelli”, o di colui che “cura” disturbi mentali.
Non ho dati certi in mano, comunque sentendo colleghi senior il calo di lavoro è cominciato molto prima della crisi, diciamo almeno da una decina d’anni – poi con l’esplodere della crisi che ha colpito quasi tutti indiscriminatamente si sono avuti ulteriori effetti. Non dobbiamo però nasconderci dietro la crisi economica, la “crisi delle professioni” di cura è iniziata molto prima.
Condivido in pieno il commento di Brian Vacchini Giampaoli. Gli psicologi che cominciano con la libera professione adesso, anche quando in possesso di ulteriori percorsi formativi post-lauream, faticano ad avviarsi e possono quindi decidere di rinunciare all’esperienza del lavoro in proprio, chiudere la p.Iva e ritirare l’iscrizione all’Enpap. Solo chi riesce a percepire un guadagno sufficiente può ragionevolmente versare i contributi.
Bisognerebbe capire qual è il rapporto tra l’aumento del numero degli iscritti all’Enpap e l’aumento del numero di psicologi abilitati nel complesso: se questo rapporto si mantenesse costante al 50%, come giustamente segnalato da Vacchini Giampaoli, considerata la considerevole velocità con cui in Italia si laureano psicologi, significherebbe una conferma dell’attuale tendenza lavorativa, ovvero un sostanziale aumento del numero degli psicologi costretti a fare altro per vivere.
Porto la ma esperienza. Sono laureato in psicologia e da ormai due anni mi sto dedicando al coaching, per il quale c’è domanda sostanziosa e crescente. Ho aumentato il fatturato di circa il 30%in due anni, non sono a livelli assoluti molto alti (un lordo di circa 40.000 euro annui) ma le prospettive in questo ambito, completamente diverso dalla psicologia tradizionale e clinica, promette molto bene. Saluti.
Il coaching è l’ultima moda in arrivo dagli Stati Uniti: dovremmo fare psicologia e non marketing!!!!buon per lei che giadagna così, ma mi tengo la mia PSICOLOGIA orgoglioso di ciò che faccio seppur con poco riconoscimento economico
Il coaching è l’ultima moda qui in Italia anche perché in genere arriviamo con vent’anni di ritardo rispetto ai professionisti d’oltreoceano. E’ un’attività non clinica che richiede conoscenze teoriche e competenze psicologiche e per la quale, a quanto scrive il collega, c’è una domanda sostanziosa e crescente. Mi sembra sensato e coerente con la nostra formazione cimentarsi anche in questo, piuttosto che lasciare il campo a professionisti meno qualificati.
Gentile Gianfranco, la capisco. Volevo solo ricordare che il coaching trova le basi teoriche nella psicologia positiva fondata da Seligman, non proprio l’ultimo arrivato, e in tutto il movimento del potenziale umano, che di psicologi è legittimamente zeppo. Unito poi a diverse teorie dell’organizzazione. Non è lavoro clinico, non è terapia, non è nemmeno counseling. Ha una nascente prospettiva evidence based che lo rende interessantissimo e ben fondato. E si lavora, mi creda. Buone cose.
Precisiamo soprattutto che di certo la sola applicazione clinica non è di certo indicatrice della vastità delle discipline psicologiche. Cerchiamo di non confondere le acque. La Psicologia come scienza di ricerca va applicata ovunque può occorrere, l’ambiente clinico (intendendo quello ‘classico’, escludendo quindi le varianti quali la Neuropsicologia Clinica) è solo uno tra i tanti e, storicamente parlando, di certo non uno dei primi. Quindi non c’è assolutamente nulla di male (e soprattutto non c’è alcunché di svalutante) ad insediarsi nel campo sportivo, laboratoriale, industriale, economico, ingegneristico/progettuale e via dicendo.
qui, per chi fosse interessato, c’è il primo MOOC in positive psychology dell’università di Berkeley, ossia alcune della basi della cosiddetta “scienza della felicità”, fondamento del coaching che funziona realmente.
E’ la convergenza muldisciplinare di tutto ciò che si sa per far crescere e fiorire l’essere umano.
https://www.edx.org/course/uc-berkeleyx/uc-berkeleyx-gg101x-science-happiness-1497#.Uzpmcqh_vYq
Grazie Luca per la segnalazione di questa utile risorsa completamente gratuita (edx.org) 😉
Far ragionamenti sui dati statistici e pensare addirittura di capirli non credo sia possibile, perchè le variabili in gioco sono talmente tante che, a mio parere, chi ne evidenziasse un certo numero non ragionerebbe su altrettante.
Quando poi si “ragiona” sulle dichiarazioni dei redditi, la questione oltre che complessa si fa delicata e potrebbe anche nuocere.
Proporrei di stendere un velo pietoso, specie nel nostro Paese.
Il dato, comunque, più pesante e brutto è, secondo me, che tra le 14 professioni analizzate, siamo gli ultimi in quanto a reddito.
Con tutto il rispetto per i Periti Industriali, trovo che guadagnare la metà di loro non sia una bella notizia.
Saluti dalla Liguria. Roberto Sbrana
Gentile Federico Zanon,
mi permetto di farle notare che se il fatturato è in crescita (valore relativo) il reddito è quello più basso tra le posizioni esaminate (valore assoluto). Inoltre il trend può essere giustificato dal fatto che la nostra professione è la la più giovane tra quelle prese in esame, pertanto anche se a distanza di 25 anni dalla sua istituzione, beneficia ancora dell’effetto “lancio”. Credo che i dati suesposti dovrebbero, a ben guardare, far preoccupare, piuttosto che entusiasmare. La professione sembra produrre un reddito (e parliamo di reddito lordo, quello che risulta dalle dichiarazioni) ai limiti della sussistenza alimentare. Le statistiche sono potenzialmente ingannatrici. La sensazione di stagnazione soprattutto diffusa tra le giovani generazioni è ampiamente giustificata, e questi dati dovrebbero scoraggiare chiunque dal solo pensare di intraprendere la strada di una professione così poco redditizia e marginale. Purtroppo nel nostro campo sembra valere la regola biologica del “chi vince prende tutto” e così le vecchie leve (tra le quali purtroppo mi iscrivo anche io) occupano tutti gli spazi della nicchia ecologico-professionale disponibile (cumulando incarichi all’inverosimile) lasciando ai nuovi arrivati solo lo spazio per essere sfruttati in estenuanti percorsi formativi senza fine.
Infatti nessuno mi pare entusiasta: nell’articolo è evidenziato con chiarezza un gap tutto da spiegare fra dati contributivi – che paiono suggerire una crescita – e il dato sociale, percepito e diffuso fra gli psicologi che il lavoro manchi o produca poco reddito. Aggiungo un dato ulteriore: solo metà degli iscritti all’ordine è iscritto alla cassa, e questo in altre professioni non avviene, anche perché spesso le due cose sono vincolate fra loro. Quindi di default metà degli psicologi non lavora. Sono meno convito sul tema dei redditi medi: non sappiamo quanti iscritti all’ENPAP svolgono la libera professione come secondo lavoro, quindi con guadagni residuali che però fanno media, ma sappiamo che non sono pochi: insegnanti, dipendenti, operatori di comunità che magari lavorano part time e per alcune ore fanno libera professione sono molti, a mio parere, ma sono compresi nella stessa statistica reddituale.
Mah… a quanto mi risulta cresce il fatturato di maghi, cartomanti e centri estetici, non certo il nostro.
Una ex-giovane psicologa molto frustrata
Una volta si diceva che gli unici che crescono sempre sono fornai e prostitute. Gli uni e le altre oggi hanno ritoccato i prezzi al ribasso (più le prostitute che i fornai, a dire il vero). Aggiungiamoci pure cartomanti, counsellor, strumentisti e compagnia cantante.
No, credo che un confronto vada fatto su statistiche serie e precise, e non per sentito dire; queste del Sole24Ore sui dati delle casse di previdenza sono un buon inizio, ma come dice Federico nell’articolo, se non si analizza il significato dei dati non se ne caverà un ragno.
dal punto di vista dell’analisi dei dati concordo con i colleghi che si sono espressi prima di me…
e concordo pure sul fatto che nella nostra professione “più presidi il territorio più utenti/clienti/pazienti ricevi”….
non è moltissimo che opero in ambito clinico (quasi 5 anni!!!), ho avuto delle belle soddisfazioni derivanti dall’aumento dei clienti e dall’esito dei miei interventi….ma che questo abbia avuto delle ripercussioni ingenti sulla possibilità di pagare totalmente le bollette/tasse/contributi…mah! tanti altri colleghi sono nelle mie condizioni e lavorano da oltre 10 anni….ma se la passione ci guida, prima o poi riusciremo anche a viverci con questo lavoro! un abbraccio a tutti i nuovi colleghi
Sono senza parole! Affermare che “la nostra professione è in crescita” sulla base di un singolo dato contributivo è quantomeno opinabile se non addirittura tendenzioso.
Se anche fosse vero che il volume d’affari cresce un pochino di anno in anno è fuori di dubbio che con il continuo aumento del già esorbitante numero di psicologi di tale vantaggio non si vedranno mai i frutti, ma semmai si assisterà a un peggioramento complessivo della soddisfazione economica della professione.
In sintesi, se quello espresso nell’articolo è il grado di comprensione della materia economica che noi psicologi possediamo, è chiaro che la professione è destinata alla fame.
Veramente l’articolo riporta l’interpretazione del Sole24Ore, rapportandola alla percezione di segno opposto che come psicologi abbiamo della nostra professione – non ci sentiamo certo in crescita – e prova a fare alcune ipotesi sull’origine del dato, nessuna delle quali propone che ‘la nostra professione è in crescita’ come un dato di fatto. Se c’è un problema di comprensione, forse va ricercato nella decodifica del testo.
“Più ufficiale di così non si può” non mi sembra un problema di decodifica del testo. Magari la prossima volta scrivere in maniera meno sensazionalistica? O ci adeguiamo al giornalismo e alla politica italiana fatti di proclami e annunci senza sostanza? Complimenti!
Personalmente penso che negli ultimi anni gli Psicologi abbiano intrapreso strade e percorsi lavorativi, per poter giustamente “sopravvivere” con questa professione, che hanno a fare con tutto tranne che con la Psicologia. Ecco perché cresce il fatturato, la variabile di crescita è sicuramente spuria.
Sarà che molti di noi fanno altro (es.operatori, educatori ecc) ma sono costretti a fatturare come psicologi?? Ormai tante realtà impongono la partita iva e non è che uno può avere due partite iva per guadagnare l’equivalente orario di una donna delle pulizie!!non prendiamoci in giro. ci sarà anche chi fattura bene, ma la maggior parte è costretta a lavorare in condizioni inaccettabili se non fosse che sai di vivere in un Paesiello assurdo e ti adegui se non puoi andartene.
Non sono assolutamente d’accordo con quanto emerso da questa indagine con il reddito di uno psicologo ci si può a mala pena pagare contributi tasse e forse commercialista mi di certo non viverci ed avere come unico reddito quello della libera professione. Dobbiamo andare in giro a proporre progetti per tirare su due soldi non credo che nessun’altra professionista debba andare in giro a proporsi per poter lavorare.
Perché dici che nessuna professione deve andare in giro a proporsi? questo mi pare un modo di aroccarsi in una posizione di superiorità come se a noi il lavoro lo dovessero regalare. Non dimentichiamoci che siamo in un paese in crisi economica e di disoccupazione, che di certo non trovi lavoro stando a casa ad aspettare che ti chiamino. Io non mi vergogno di andare in giro a cercare lavoro presentando progetti o presentando me stessa, e semmai quello che mi pesa è pagare le spese per uno studio che anche se in condivisione sto usando pochissimo, proprio perché alla fine il mio lavoro si svolge fuori spesso: scuole, una cooperativa e ultimamente persino una parrocchia dove, magari farà ridere, ma il prete mi ha dato uno studio e mi ha pure inviato delle persone! secondo me a volte ci vuole coraggio, meno spocchia anche.
Con tutta evidenza è un dato “dopato” dagli introiti dei percorsi formativi che vedono psicologi pagare altri psicologi per raggiungere traguardi formativi post-universitari, nell’illusione di riuscire a lavorare. D’altra non essendoci possibilità lavorative, i neo laureati non hanno alternative a quella di investire in formazione, usando i risparmi di famiglia e ciò che guadagnano con altri lavoretti, coltivando l’illusione di esercitare un giorno la professione. Essendoci sempre più psicologi, è logico che aumenta la domanda di formazione post laurea, che al 95% è privata, con tutti gli annessi e connessi delle supoervisioni e master che psicologi fanno ad altri psicologi. E’ un sistema che si autoalimenta finché regge l’illusione di riuscire un giorno a lavorare. Ma tra qualche anno è logico che crollerà, e senza gli introiti della formazione fatta da psicologi ad altri psicologi, il sistema implode.
In altri termini, il meccanismo è molto simile alle catene di S. Antonio: chi arriva dopo paga chi è arrivato prima, con la speranza di arrivare dove è lui e guadagnare da chi a sua volta arriverà dopo….ma si sa che prima o poi le catene di S. Antonio si rompono, e gli ultimi arrivati ci rimangono fregati.
In termini economici, gli analisti direbbero che è una bolla speculativa.
In sintesi è un sistema dopato perché si regge sui soldi che i propri membri (neo-arrivati) investono nel sistema stesso fino a quando non crolla l’illusione di un avvenire.
Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti,, ma di usare oppure ignorare ovvie leggi matematiche e statistiohe. Tra pochi anni supereremo in numerosità i medici, e in ambito clinico è fuori dalla realtà pensare di occupare anche solo un decimo dei posti lavorativi che hanno tutte le discipline mediche nel loro complesso. Fuori dalla clinica, in molti si sperticano a immaginare spazi di espansione, ma il rapporto tra stime realistiche di potenziali occupati e stime di potenziali psicologi da occupare, è imbarazzante (tanto più che questi spazi alternativi, il più delle volte sono immaginati con costi a carico dello stato…e in un paese in spendig review cronica, dire queste cose è un esercizio di pura fantasia). Tanto per avere un’idea, da un punto di vista statistico, l’80% dei colleghi è disoccupato, sottocuupato o occupato in ruoli non professionali come l’operatore di comunità a salario di fabbrica. Il che tra qualche anno significherà un numero prossimo alle 6 cifre (cioè non lontano dalle 100.000 unità)
Di chi è la responsabilità di questo disastro annunciato?
Mi fermo qui, perché il terreno diventerebbe paludoso e polemico.
Certamente l’eplosione del numero di facoltà, non è stato un caso e a qualcuno è servita. Comunque la stortura del sistema era evidente da molti anni, e chi doveva/poteva fare qualcosa non l’ha fatto.
Me la cavo con una considerazione storico-culturale, talmente ovvia da essere banale: la politica è lo specchio del paese. Fuor di metafora, ogni sistema, sviluppatosi in questo lembo di terra a forma di stivale, dai più piccoli ai più grandi, dalla polisportiva agli ordini professionali, dall’università al parlamento, ha riprodotto invariabilmente lo stesso tarlo, che possiamo chiamare a questo punto il tarlo italico. Ogni regola ha delle eccezioni, e anche questa le avrà, ma le eccezioni non invalidano la regola del tarlo.
Ci sono antidoti? La risposta la lasciamo alla storia.
Quoto al 100%.
Condivido in pieno la visione di Fabio Leonardi, un analisi disincantata su una professione che continuando a fare di ogni necessità virtù, ha finito per cannibalizzare se stessa.
Non posso che condividere. Comunque, la vita stessa è una catena di Sant’Antonio. Quindi, che cosa si può fare per interrompere la “catena dell’Eros” secondo voi?
Indubbiamente la valorizzazione delle competenze di noi psicologi e della loro utilità sociale al di fuori della nostra stessa “cerchia autoreferenziale” aiuterebbe molto. Non sono però convinta che il numero chiuso nelle università sia davvero una soluzione o LA soluzione. Credo ci sia un problema a monte. La psicologia è una disciplina affascinante e assai misteriosa. Nel senso che, di fatto, l’unico modo per farsi un’idea seria di cosa sia la psicologia nel suo insieme, per sapere a cosa serve, in quali contesti trova applicazione e quali sbocchi professionali offre, è iscriversi a un corso di laurea in psicologia. Come dice Dada in un altro post, l’iscrizione ai corsi di laurea di psicologia risponde anche a un bisogno di “cura” o quantomeno di riflessione e comprensione di se stessi e degli altri evidentemente insoddisfatto nel precedente percorso formativo. In effetti, è dal 1923, cioè da quando la riforma Gentile abolì definitivamente l’insegnamento della psicologia dalle scuole di ogni ordine e grado che di psicologia si apprende poco o nulla a scuola (l’insegnamento di psicologia fu re-introdotto dopo la seconda guerra mondiale solo negli istituti magistrali). A me sembra chiaro che con questa scarsità di cultura psicologica di base tanto tra i potenziali pazienti/clienti/interlocutori (individui, scuole, aziende, istituzioni, etc.) tanto quanto tra i futuri professionisti, gli spazi di espansione sono più difficilmente percorribili. Mi rendo anche conto che in Italia e di questi tempi le riforme scolastiche sono difficili da praticare, però sono davvero convinta che una riforma di questo genere ci aiuterebbe moltissimo, e non solo a far crescere il fatturato.
Come scherzosamente avevo risposto a un altro collega, mi sono chiesta cosa avesse bevuto il cronista del Sole… Comunque, dal mio piccolo osservatorio devo purtroppo constatare che diversi colleghi hanno chiuso l’attività. Personalmente il mio “fatturato” degli ultimi 3 anni è stato in calo e di parecchio! Le previsioni di quest’anno non sono migliori dell’anno precendente. Sarà che rispetto a altre professioni, emettiamo più fatture? Siamo cioè meno evasori di altri? Altra ipotesi, come già detto da altri colleghi, molti che non svolgono l’attività di psicologo, ma lavorano per esempio in cooperative come educatori, amministrativi, ect. e sono precari ma iscritti all’Ordine, comunque versano i contributi previdenziali, visto la miseria che riceveremo dalle diverse casse previdenziali. Personalmente questo dato mi preoccupa, in quanto stravolge la realtà economica della ns. categoria e mi aspetto nuove tasse!
Leggendo i dati delle altre categorie, mi colpiscono quelle relative a “ragionieri, commercialisti, infermieri”… Sempre dal mio piccolo osservatorio, i riscontri che ho non parlano di calo, anzi!
Sicuramente la crescita dei versamenti impressiona, vuol dire che noi psicologi riuisciamo a farci pagare per il lavoro che s volgiamo e che ogni anno ci pagano un po’ di più. Quello che colpisce sono i redditi medi molto bassi, rispetto alle altre categorie, ma io vedo che spesso gli psicologi non lavorano nello stesso modo di altre professioni: quando abbiamo mai visto un geometra o un ragioniere o un commerciaista fare 4 o 5 ore di lavoro al giorno? invece succede spesso fra noi. la nostra professione è sempre un po’ ‘part-time’ e questo a molte colleghe va pure bene: le mie due colleghe di studio sono entrambe insegnanti e lavorano il pomeriggio o il sabato mattina in studio, ma non per questo sono povere. Eppure il loro reddito da psicologhe sarà misurato sulle ore svolte.
……guardate qua….
il Corriere è schizofrenico?
http://nuvola.corriere.it/2013/07/01/resistera-la-professione-di-psicologo-alla-spending-review/
Ma allora… vogliamo chiudere le facoltà di psicologia per almeno VENT’ANNI?
Ci rendiamo conto o no che il problema è tutto qui?
Certo, chiudendo università e formazione postlaurea metà degli “psicologi italiani” che non hanno mai lavorato al di fuori di questo ambito sarebbero a casa senza un euro. Ma si tratta appunto di “falsi psicologi” che creano un falso mercato psicologico saturando la professione con neo-psicologi e neo-terapeuti destinati al precariato a vita. Via costoro! Si tengano sul mercato solo gli psicologi formati e che si organizzi l’Ordine per farli lavorare subito. Ne guadagnerebbe soltanto la professionalità e il reddito di chi lavora sul campo e le ricadute sarebbero positive per la società.
Mi sa che con le facoltà non sarà sufficiente nessun atto d’imperio. D’altra parte il circuito della formazione (non solo quella universitaria) riesce ad intercettare molto più rapidamente della professione la domanda di Psicologia presente nella società. Lo dimostrano i numeri…
Infatti ricordo la previsione, un paio di decenni fa, di un noto psicoanalista: le facoltà e i corsi di psicologia avrebbero accolto, più che le vocazioni professionali, la domanda di cura di tanti giovani e meno giovani, che, dietro il paravento della formazione, avrebbero così avuto accesso alle terapie psicologiche di cui necessitavano per affrontare la vita. Oggi più che mai sembra che tra corsi di laurea, scuole private e seminari vari, il mercato “degli psicologi” sia in realtà il mercato “dei clienti degli psicologi”, il che dovrebbe far pensare come nella società moderna si camuffa il disagio psichico. Proporrei quindi di “smascherare il reale” di queste cure travestite da formazione.
In realtà, il fatturato non cresce e la richiesta è ridotta, specialmente negli ultimi tre anni, ed è diminuito sensibilmente, per effetto principalmente della crisi economica.
E’ assodato che la gente cerca di risparmiare e di tagliare le spese: anche se la salute e il benessere può essere considerata una dimensione fondamentale, pochi riescono a soddisfare i loro bisogni in tal senso, specialmente se la circolazione di denaro si è ridotta drasticamente.
Lo psicologo tenta di sopravvivere, magari realizzando altre attività collaterali, rispetto alla libera professione.
E’ da più di trent’anni che lavoro come psicoterapeuta raggiungendo fino a circa setto o otto anni fa buoni risultati, anche se capivo che la nostra professione autonoma e non solo quella stava implodendo come ora sta avvenendo. I resoconti ENPAP sono dati dal numero di chi apre studi e versa i contributi previdenziali e basta fare una ricevuta per versarli. Non dimentichiamo le Scuole di Specializzazione che vivono dei neolaureati che devono anche fare la terapia didattica e sono moltissimi. Il lavoro in pretaica dei disoccuppati. Implode la professione perchè a Piove di Sacco provincia di Padova dove lavoro da sempre, nel giro di un anno siamo passati da pochi, gli abitanti coi dintorni non arrivano a ventimila e siamo vicini a Padova dove vi è da sempre un esercito di professionisti, a circa dodici studi e due enormi centri clinici. Inoltre, ci sono massicci gruppi di autoaiuto volontario anche effettuato da preti che s’improvvisano psicologi. Insomma, il mio lavoro è diminuito di metà e anche di più. Fra un anno avremo un paziente a Testa… salvo i centri clinici per famiglie e anorressia, bulimia, che andranno bene.Insomma, una psicologozzazione del mondo, mentre la questione è sociale, culturale e politica. E, la digitalizzazione ha stravolto la mentalità: fretta, frammentazione, mancanza d’introspezione e capacità realazionale duratura. Google è il dominio oramai del Pianeta, e da Monti in qua dobbiamo contrattare i prezzi, gli unici che l’abbiano fatto essendo noi, un esercito inflazionante. Vi consiglio di guardare la pubblictà che ci offre come vendessimo caramelle, di Guida Psicologi.it dove si trovano anche i famosi di Padova, perciò non se la passano bene, per vedere a che punto stiamo chiedendo l’elemosina. Tutte cose che poi l’Ordine se fosse reale, vieterebbe… perciò anche chi è di Altra Psicologia, a mio parere con coglie la realtà ed è molto ingenuo.