Guardiamo avanti? fare gli psicologi nell’epoca della Tessera Sanitaria.

bimbe-orizzonte

In questi giorni mettiamo a disposizione, grazie al grande lavoro di Laura Salvai, l’ennesimo ‘manuale di istruzioni’ per far fronte alla nuova incombenza della Tessera Sanitaria.

Le mie critiche alla nuova incombenza le ho già scritte qui. Ma da settimane gli spazi di dialogo degli psicologi sono intasati di Tessera Sanitaria. Non sarà ora che guardiamo oltre?

Intorno a noi c’è una società che cambia. Grandi temi sociali sui cui gli psicologi non solo devono interrogarsi, ma anche assumere posizione. E più vicino a noi, una domanda e bisogni che cambiano nelle persone e nei gruppi.

Questo, e non certo il Sistema Tessera Sanitaria, condizionerà la nostra vita e la nostra professione.

L’indagine di mercato di ENPAP sul posizionamento della figura di psicologo in Italia ci restituisce cose interessanti.

Pare che i cittadini ci riconoscano come professionisti autorevoli, a cui rivolgersi con fiducia. Siamo nel cuore delle persone? E tutta questa fiducia come si traduce in domanda di psicologia? Come dovremmo muoverci come professione per avvicinarci ai cittadini?

Anche quest’anno i dati statistici raccolti da ENPAP ci raccontano che la nostra professione cresce in termini di volume d’affari complessivo. Eppure, il dato consolidato è che solo la metà dei laureati in psicologia entra appieno nella professione, e i redditi individuali spesso non sono soddisfacenti.

La psicologia allarga ogni anno il suo volume di fatturato complessivo, ma non riusciamo ad occupare dignitosamente tutti gli psicologi.

Sono dati che non sono sfuggiti ai maggiori quotidiani nazionali. Specie l’aumento del fatturato complessivo, perché in controtendenza rispetto ad altre professioni. Ma rischiano di sfuggire a noi.

Cosa farcene di queste informazioni? e di questa crescita ventennale della psicologia? come trasformarla – anche – in crescita dei redditi individuali? in aumento della nostra felicità professionale e personale?

Le ricette meccanicistiche basate sull’abbattimento controllato degli psicologi in sovrannumero non bastano, anche perché negli ultimi dieci anni il disegno strutturale e completamente sganciato da ogni considerazione di posizionamento professionale è stato la moltiplicazione delle sedi di corso di laurea in psicologia.

E non basta nemmeno conoscere quello che i cittadini pensano di noi: la ricerca ENPAP per la prima volta tenta di raccontare ‘come ci vedono gli altri’, ma di certo non può indicarci la nostra strada di mattoni gialli.

La nostra strada di mattoni gialli dobbiamo farcela da noi. Dobbiamo occuparci, tutti e non solo chi sta nelle istituzioni, del nostro bene più prezioso: la professione. Questa cosa strana che ci dovrebbe dare da mangiare (al minimo), ma dovrebbe pure renderci un po’ più felici di stare al mondo e dare il nostro contributo.

E questo lo possiamo fare se usciamo dai nostri studi. Se oltre all’ordinaria e fastidiosa burocrazia, e alla lotta quotidiana per sviluppare la nostra personale attività, iniziamo ad occuparci dell’ecosistema in cui operiamo, della nostra comunità professionale.

A partire dalle nostre istituzioni: Ordini ed ENPAP. Ponendo fine all’epoca feudale delle regalìe, del clientelismo e dell’indifferenza e iniziando a fare sul serio.