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Mi sveglio tutte le mattine alle 6, ma mi piace troppo restare a letto per riuscire ad alzarmi subito. E così mi giro e rigiro su me stessa per una mezz’oretta ancora, fino a quando il dovere vince il sonno e il lavoro annienta il caldo delle coperte.

Pochi minuti per prepararmi e poi sono catapultata nella metropoli.

Questo lungo dragone rosso che mi inghiottisce tutte le mattine, per risputarmi poi, un ora più tardi, nel luogo in cui inizia il mio lavoro, il mio lavoro di “operatore sociale”.

Sì, è quello che c’è scritto sul mio contratto di collaborazione a progetto, in cambio di 800 € mensili: “operatore sociale”.

“Operatore sociale”?!

Ma io non ero laureata in psicologia?

Sì, se non ricordo male mi sono laureata nel 2003, poi ho fatto il tirocinio, l’esame di stato e infine mi sono iscritta all’Albo degli Psicologi… ma allora sul mio contratto non dovrebbe esserci scritto “psicologa”?

Forse!

Ma forse è un sogno che in troppi ci siamo dimenticati di voler raggiungere, quello del riconoscimento della nostra formazione universitaria sul piano professionale!

E io, che come molti ahimé, ho sempre sognato di fare la psicologa da grande, mi trovo intrappolata nel limbo degli “operatori sociali”. Vai a capire poi chi sono effettivamente, da dove vengono e soprattutto dove vogliono arrivare o dove purtroppo hanno rinunciato ad andare, gli operatori sociali!

Ed è assurdo come, a volte, si debba pensare a se stessi come a dei “fortunati” (dato che il merito non è cosa dell’Italia), perché tutto sommato nel sociale ci lavoriamo, a differenza di molti altri colleghi capitati, anziché in questo limbo, nel girone dei pub o in quello dei call center. Quasi tutti, comunque, costretti  a imparare a fare i salti mortali per arrivare a fine mese e a inventarsi vere e proprie acrobazie per riuscire a frequentare un scuola di specializzazione in psicoterapia, con la speranza che, almeno quella, possa ripagarci degli sforzi fatti fino ad ora, dato che l’università e l’esame di stato, non sono stati in grado di farlo.

Ma io solo da piccola ero brava a fare le acrobazie, ora ho perso un po’ di agilità e sono stanca di inseguire questo circo che mi ha portato da Lodi a Padova, alla ricerca di una buona Facoltà di psicologia, poi in Spagna per un’esperienza internazionale, quindi di nuovo a Milano per un lavoro precario e ancora a Roma all’inseguimento di un master, come se ogni volta fosse proprio quello che ti manca a impedirti di raggiungere quello che vorresti.

E a furia di correre, mi sono dimenticata chi sono!

Intrappolata in questa vasta ed eterogenea categoria degli operatori sociali, dove i confini e le identità si mischiano, si perdono e si ritrovano di nuovo.

Una categoria precaria per definizione, di una precarietà con cui a 30 anni è difficile fare i conti.

Sento di aver bisogno di fermarmi, di smetterla di continuare a correre restando ferma, come se fossi su di un tapis roulant da una vita!

Può sembrare assurdo, ma ho deciso di farlo andandomene dall’Italia. E se devo correre, che sia almeno per andare da qualche parte!

Nel frattempo vorrei avere la forza di sperare che le cose in Italia possano cambiare, e che la politica, le Istituzioni, le persone, rendano possibile una psicologia migliore.

Del resto anche il Vaticano ha abolito il limbo, perché non dovrebbe svuotarsi a poco a poco anche il limbo degli operatori sociali, ridando una dignità professionale a chi ne è rimasto intrappolato troppo a lungo?

Intanto ho deciso di “emigrare”. Si, proprio così, ma non solo, provo anche a cambiare lavoro. Vado in Danimarca a seguire un master in Relazioni Internazionali presso un ONG danese. Non ci crederete, ma sarò ospitata e spesata completamente in cambio di pochi mesi di lavoro… Proprio come in Italia….

Alessandra Rosabianca