Il referendum degli psicologi, punto per punto.

Se ne parla moltissimo, del referendum degli psicologi che dovrebbe svolgersi nei prossimi mesi. In questo articolo di sintesi proveremo a capire meglio il senso dei tre quesiti che ci saranno sottoposti, e come si svolgerà concretamente il voto.

Partiamo dunque dalle cose più concrete: CHI, QUANDO, COME e PERCHE’?

CHI? il referendum è stato indetto dal CNOP, che è il consiglio nazionale degli psicologi con sede a Roma, di cui fanno parte i presidenti di tutti gli ordini regionali. Il CNOP ha il compito, stabilito dalla Legge 56/89 che ha regolamentato la nostra professione, di occuparsi degli aggiornamenti del Codice Deontologico.

QUANDO? entro il mese di maggio 2013, in teoria. Il referendum dovrebbe svolgersi, secondo quanto comunicato dal CNOP, entro la fine di Maggio, ma è evidente che i tempi si stanno allungando perché il ‘kit elettorale’ non è ancora giunto nelle case degli psicologi italiani. Ragionevolmente potrebbe svolgersi prima dell’estate, ma ad oggi non abbiamo ancora informazioni certe.

COME? il voto sarà espresso per posta. Tutti gli psicologi riceveranno una busta contenente la scheda di voto che dovranno poi rispedire al CNOP. Le procedure dovrebbero essere volte a facilitare il più possibile le operazioni.

PERCHE’? per due ordini di ragioni. Il referendum nasce dall’esigenza di introdurre nel Codice Deontologico il concetto dell’obbligo formativo, come previsto dalla riforma delle professioni del DPR 137/2012 (NE HO PARLATO QUI). Con l’occasione, saranno adeguati anche altri articoli che necessitavano di una ‘rinfrescata’. E’ appena il caso di dire che tutte le professioni con ordini, e non solo gli psicologi, sono state interessate dall’introduzione dell’obbligo formativo. Ciascuna si è attrezzata per recepire le nuove norme nei propri Codici Deontologici.

Nel caso degli psicologi, la modifica del Codice Deontologico deve necessariamente avvenire attraverso un referendum

perché la nostra Legge istitutiva – sempre la 56/89 all’articolo 28 comma 6, lettera c, che recita: “ll Consiglio nazionale dell’Ordine (…) predispone ed aggiorna il codice deontologico, vincolante per tutti gli iscritti, e lo sottopone all’approvazione per referendum agli stessi”.

Ora, una prima obiezione che alcuni colleghi ci hanno inviato è questa:

“Ma se si tratta di recepire delle norme che provengono dallo Stato, rispetto a cui c’è ben poca scelta, che senso ha un referendum?”

Ebbene, la risposta è contenuta in due diverse norme: una che dice agli Ordini di aggiornare i loro Codici Deontologici, e l’altra che dice che gli psicologi lo devono fare con un referendum. Non mi addentro oltre nel ginepraio del sistema normativo italiano e sulle sue particolarità, sui cui illustri giuristi hanno scritto trattati.

E una prima domanda, a cui – purtroppo – pare utile rispondere perché anche qui molti colleghi ci hanno scritto è questa:

“ma cosa succede se uno non rispetta il Codice Deontologico?”

 E’ bene ricordare che il Codice Deontologico è la primaria guida per la condotta professionale. Non può essere subordinato o messo sullo stesso piano di linee guida, protocolli, regolamenti interni delle aziende. E’ una vera e propria norma imperativa, fa parte del sistema giuridico alla stregua di leggi e regolamenti, con un proprio posto nella gerarchia delle fonti del diritto. Si applica però ad una specifica categoria di cittadini – gli psicologi – e che l’organo competente a giudicare eventuali trasgressioni non è un magistrato ma il consiglio regionale dell’Ordine a cui l’incolpato è iscritto. Su segnalazione si svolge un vero e proprio ‘processo’, con fasi di indagine, audizioni, testimonianze, e infine un ‘verdetto’ di assoluzione o colpevolezza. In caso di colpevolezza, l’incolpato può subire quattro gradi di sanzione: avvertimento, censura (un biasimo formale a non ripetere l’errore), sospensione dall’esercizio dell’attività per alcuni mesi, radiazione dall’albo con inibizione all’esercizio dell’attività.

Veniamo ora al nocciolo del discorso: i tre quesiti.

Si tratta di tre modifiche di articoli del Codice Deontologico. Ogni psicologo dovrà votare SI se desidera modificarlo, oppure NO se non desidera le modifiche proposte.

ARTICOLO 1

Vecchio testo: Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.

Nuovo testo: Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per tutti gli  iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza e l’ignoranza   delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare. Le stesse regole si applicano anche nei casi in cui le prestazioni, o parti di esse, vengano effettuate a distanza, via Internet o con qualunque altro mezzo elettronico e/o telematico.

In questo caso l’intento è piuttosto chiaro: all’epoca – non certo remota ma informaticamente lontana – della nascita del Codice Deontologico le prestazione a distanza e online o comunque in setting atipici non esistevano, mentre oggi esistono. Si tratta di affermare esplicitamente che anche per tali prestazioni lo psicologo è soggetto alla deontologia professionale.

La posizione di Altrapsicologia? VOTIAMO SI.

Riteniamo che l’esplicitazione garantisca i cittadini e aiuti ad inquadrare le prestazioni online entro un setting professionale che garantisce serietà e norme di comportamento.

ARTICOLO 5

VECCHIO TESTO: Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.

NUOVO TESTO: Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. La violazione dell’obbligo di formazione continua, determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.

Qui occorre sottolineare un passaggio: la modifica “con particolare riguardo ai settori in cui opera’ in sostituzione di ‘specificatamente nel settore in cui opera” – mira ad introdurre un’idea di formazione ad ampio spettro. Questo di concilia con l’introduzione, all’interno della bozza di regolamento sulla formazione obbligatoria per gli psicologi di cui ho parlato QUI, di materie per cui non c’è una specifica attinenza al settore professionale, ma che sono comunque essenziali per svolgere al meglio la professione.
Rimando a QUESTA intervista a Luca Pezzullo per approfondire il senso e l’utilità professionale di una formazione ad ampio spettro.

La posizione di Altrapsicologia? VOTIAMO SI

Si tratta di recepire una norma dello Stato proveniente dal DPR 137/12).
Occorrerebbe un ben ampio dibattito sul senso e sull’utilità della formazione obbligatoria per un professionista – psicologo, avvocato, ingegnere, medico – e su come tali obblighi vengono poi declinati nella pratica e diventano oggetto di speculazioni e storture.
Ma il principio generale che ha ispirato il legislatore è in fondo corretto: garantire che un qualunque professionista a cui i cittadini si si rivolgono non sia soltanto uno a cui è stata data l’abilitazione una tantum – magari venti o trent’anni prima – ma anche che abbia un minimo aggiornamento sul proprio lavoro, posto che per definizione un professionista usa come strumento le proprie competenze.

ARTICOLO 21

VECCHIO TESTO: Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.

NUOVO TESTO: L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave.
Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo.
Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici.
È fatto salvo l’insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. E’ altresì fatto salvo l’insegnamento di conoscenze psicologiche.

Sulla modifica di questo articolo, Altrapsicologia si è spesa con particolare impegno.

Siamo certamente per il SI.

Dal 2005 – anno della nostra fondazione – abbiamo perseguito con forza e orgoglio molte battaglie per affermare la necessità di chiarezza – sia interna alla categoria che verso i cittadini che si rivolgono a noi psicologi – in merito ai confini professionali.

Siamo partiti da due dati di fatto, due tipi di pratiche, egualmente diffuse ed egualmente dannose:

La prima è quella di esercitare abusivamente, senza formazione e senza garanzie di competenza, attività del tutto sovrapponibili a quella dello psicologo. Di fare gli psicologi senza esserlo, insomma. Di fingersi psicologi. O peggio di ingannare i cittadini attraverso l’uso di appellativi volti a coprire la propria reale attività.

La seconda è quella di formare non-psicologi alla pratica professionale. E’ come se un medico formasse dei macellai a tagliare appendiciti, e spesso c’è l’aggravante di ‘suggerire’ in modo più o meno esplicito che

“si, si può fare, basta che non dici di essere psicologo!”.

Ne abbiamo viste di tutti i colori in questi anni: scuole di formazione che offrivano corsi a 5000 Euro l’anno per gli specializzandi, e nella stanza accanto con gli stessi docenti formavano persone senza alcuna preparazione psicologica alle medesime discipline, alla metà del tempo e alla metà dei soldi. Addirittura a volte in aule condivise, per risparmiare spazi e ore di docenza!

Ecco, il senso della modifica dell’articolo 21 non di restringere gli spazi lavorativi degli psicologi, come alcuni detrattori sostengono. Il senso è invece quello di una ulteriore specificazione del principio per cui

è scorretto – sia verso i colleghi che verso i cittadini – formare persone prive di requisiti inducendole a ritenersi autorizzate all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo.

Non è certo una modifica contro i colleghi che hanno fatto della formazione il loro lavoro, e proprio per lavoro trasmettono conoscenze psicologiche a chi ne ha bisogno per svolgere meglio la propria professione: infermieri, educatori, volontari, dirigenti, professionisti che cercano negli psicologi un arricchimento e una integrazione delle proprie competenze.

E non è certo una modifica che impedirà di fare formazione usando le proprie competenze psicologiche. Di trasmettere conoscenze utili nate dalla psicologia.

Ma forse impedirà di raccontare la storiella – ad allievi più o meno desiderosi di crederci – che con qualche centinaio di euro e di ore di formazione, un bel tirocinio e un attestato privato si può fare quello che fa uno psicologo, che invece viene autorizzato in forza di una Legge dello Stato a svolgere una professione regolamentata, dopo dieci anni di formazione, migliaia di ore di pratica, supervisione, terapia didattica.