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In questi giorni, un Fantasma si aggira per la psicologia Italiana: il Bonus Psicologo.

Oggetto di una complessa dinamica politica, più volte ristrutturato, ancora da definirsi in alcune sue modalità implementative a livello di Decretazione attuativa, il Bonus è stato comunque approvato. Ed è ora al centro di intense discussioni anche dentro la Comunità professionale.

Le risorse investite sono poche (20 milioni di euro, di cui 10 al Pubblico e 10 al Privato) e molte meno del previsto (originariamente la proposta era di 50 milioni di euro) o del necessario (che sarebbe di varie centinaia di milioni); intorno a questo ed altri aspetti, il Bonus è alternativamente visto come oggetto di aspettative o di critiche. Può essere quindi utile svolgere una riflessione sui suoi limiti, e i suoi potenziali, che non si negano a vicenda.

Il Dito e la Luna

Il Sistema Pubblico-Privato di Salute Mentale e benessere psicologico, nel nostro paese, presenta gravi carenze. E’ inutile che ci giriamo intorno: scarsi investimenti, legati a scarsissima consapevolezza, a stereotipie di ruolo, a frammentazione organizzativa, a politiche troppo timide ci hanno portato a una situazione di forte sbilanciamento tra “Bisogni” e “Risorse”.

In Italia abbiamo una media di appena 5 psicologi ogni 100.000 abitanti nel Servizio Pubblico: un quarto delle medie europee. I colleghi operanti nel SSN (abbiamo solo  4900 dirigenti psicologi) sono sommersi di lavoro, spesso con liste di attesa di molti mesi; nel Privato (nonostante la grande quantità di colleghi sul mercato libero professionale) l’accesso ai percorsi di cura non è sempre semplice per chi più ne avrebbe bisogno (famiglie multiproblematiche, situazioni di forte marginalità sociale ed economica, etc.), nonostante la frequente flessibilità di costo che i nostri colleghi applicano.

Serve quindi palesemente un “Piano Marshall della Psicologia e della Salute Mentale”, in Italia; con investimenti strutturali, lucidi e strategici. I tempi difficili che stiamo vivendo l’hanno semplicemente evidenziato; ma è un tema notorio ed evidenziato da anni, giunto ormai a un punto di non ritorno.

Il Bonus è infatti una misura temporanea che, per quanto utile, non ha però le cubature per essere impattante di per sé, se non come “starting point”: il segnale di un’inversione di rotta politica e sociale nella programmazione economica degli investimenti in salute mentale nel paese.

Ed è principalmente in quel senso che adesso tutta la Comunità professionale deve ingaggiarsi, con una sinergia potente tra tutti gli attori della professione, verso gli interlocutori politici regionali e locali, la società civile, l’opinione pubblica; con uno sforzo comunicativo, politico, di lobbying e outreaching che deve essere strenuo e costante, per trasformare la logica “one-shot” del Bonus in una logica di “investimenti strategici”.

In altri termini, il Bonus è solo il dito che indica la direzione, ma noi ora dobbiamo concentrarci sulla Luna.

E varie Regioni, anche a seguito di intense interlocuzioni politiche degli Ordini territoriali, hanno già risposto a sollecitazioni in tal senso, mostrando una grande sensibilità alle tematiche psicologiche (vedi gli investimenti recentemente dedicati in Psicologia del Lazio: 10 milioni di euro; dell’Emilia: 23 milioni di euro; della Campania: 3 milioni di euro; e sono in corso interlocuzioni in varie altre Regioni). Un segnale incoraggiante di un timido cambio di paradigma?

Chi si ricorda della Metonimia?

Quando andavo alle Superiori, faticavo molto a ricordarmi il nome delle varie figure retoriche, ma ricordo bene la Metonimia.

Il “Bonus Psicologo” soffre purtroppo di una forma di Metonimia, in realtà molto frequente: tende a equiparare funzionalmente la Psicologia con la Psicoterapia, considerando erroneamente equivalente la parte (Psicoterapia) al tutto (Psicologia).

Il Bonus Psicologo è, in effetti, un Bonus orientato a sostenere maggiormente l’accesso a interventi di psicoterapia e in questo sconta probabilmente il mantenimento dello stereotipo della “psicologia come clinica della patologia individuale”.  Su questo si pongono due riflessioni.

In primo luogo, si deve considerare la priorità della tipologia di interventi da realizzare in situazioni di “scarce resources”: purtroppo, con una tale scarsità di risorse economiche allocate rispetto alle esigenze effettive (ne usufruiranno infatti meno di 20.000 persone, su 60.000.000 milioni di italiani), il Legislatore ha probabilmente ritenuto “di fare di necessità virtù”, e di prioritizzarle orientandole su un subset di situazioni clinicamente più rilevanti, strutturate e complesse; da cui, questo focus sull’accesso a interventi specialistici di psicoterapia. Personalmente non difendo questa posizione, ma considero la ratio di questa possibilità.

In secondo luogo, a monte, dobbiamo però anche chiederci chi abbia creato e mantenuto la Metonimia su cui ora ci scagliamo, e che porta a queste confusioni.

E’ responsabilità solo del Legislatore (come ci fa pensare la nostra voglia di colpevolizzare qualcuno fuori di noi) o ci abbiamo messo anche noi molto del nostro come categoria, nel costruire e stratificare per decenni – internamente ed esternamente alla nostra comunità – l’equivalenza: “Psicologia = Psicoterapia”?

Perché l’idea che lo Psicologo sia “solo un mezzo Psicoterapeuta”, e che specializzarsi sia essenziale per diventare SuperSayan della Psiche non è del tutto peregrina neanche all’interno della nostra stessa Comunità professionale; e non la sostengono i cittadini o i Parlamentari che hanno proposto il Bonus, quanto persone che la laurea in Psicologia ce l’hanno.

Per chiarirci: la formazione psicoterapeutica è un asset fondamentale della nostra professione, con un ecosistema di Scuole che sono spesso portatrici di un know-how teorico-pratico di alto livello. Ma questo è un altro discorso, su tutto un altro piano.

Su questa “Metonimia culturale e identitaria” della Psicologia professionale come “Psicoterapia e poco altro” forse dobbiamo quindi interrogarci noi per primi, al nostro interno. Perché quello che vediamo nei provvedimenti e negli investimenti è forse anche un riflesso della cultura professionale che abbiamo costruito e proiettato all’esterno, noi per primi.

Tra il Bianco e il Nero: 50 Sfumature di Bonus

Tatticamente, quindi, abbiamo un investimento prevalentemente “one – shot” e sottodimensionato rispetto ai bisogni, che esclude metà della categoria. Il Bonus Psicologo sarebbe dunque un “Epic Fail”?

Personalmente, pur essendo critico su alcuni suoi aspetti, non lo credo: dire che sono solo pochi soldi, racconta solo metà della storia e dei processi che ha attivato. In termini culturali e politici è un punto di partenza rilevante, che fino a pochi mesi fa era probabilmente lontano da venire. Ed abbiamo quindi bisogno di leggerlo non come “bianco o nero”, ma in maniera più sfumata.

Osservandolo da una prospettiva strategica, il Bonus oltre ai suoi limiti oggettivi ha anche delle significative potenzialità “di sistema”: per la prima volta decisori politici trasversali a tutto l’arco Parlamentare (dall’estrema destra all’estrema sinistra, quasi senza eccezioni), tutti i media, la società civile e l’opinione pubblica “laica” (esterna alla nostra categoria) hanno finalmente chiesto, sostenuto e “normalizzato” l’investimento di risorse pubbliche in Psicologia, e il riconoscimento dell’accesso alla “cura psicologica” come diritto per la popolazione generale. 

Il clamore che si è rapidamente creato intorno al tema del Bonus e alla sua prima bocciatura ha indignato i cittadini, ed ha sdoganato pubblicamente su telegiornali e giornali il tema degli investimenti pubblici in Psicologia, entrando di prepotenza nel “discorso pubblico”: il benessere psicologico è componente della Salute Pubblica, e forse per la prima volta la società ha manifestato in modo netto e concorde di ritenerlo tale.

I due anni di Pandemia, su questo, hanno portato un’evoluzione della rappresentazione sociale significativa (“Psicologia come diritto per me ed i miei cari”), su cui però ora noi tutti dobbiamo politicamente lavorare “a leva” in modo intenso e costante.

Siamo appunto solo alle prime tappe di un viaggio che non sarà magicamente breve, ma non può più permettersi neanche di essere troppo lungo: dobbiamo concentrarci intensamente nel cantierare risorse pubbliche strutturali per la psicologia nel medio termine, full stop.

E dovremo anche condurre un “KulturKampf”, interno ed esterno: quello di far evolvere la rappresentazione della Psicologia in modo più ampio e trasversale, uscendo dalla metonimia psicoterapeutica, ed aprendo al potenziale delle “psicologie non cliniche” (sportive, giuridiche, dell’educazione, del lavoro e organizzazioni, etc.), come volano di benessere psicologico a 360° per la collettività, e su cui è necessario parimenti investire in modo significativo.

Insomma, parafrasando una frase di moda: con il Bonus non “Andrà tutto Bene”.

Ma… “potrà andare come la sapremo far andare”, costruendo intensamente iniziative che partano dal cambio di paradigma culturale che il Bonus può rappresentare.