image_pdfimage_print

È arrivata al massimo grado di giudizio in Cassazione la vexata questio dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) dovuta dagli Psicologi e degli altri liberi professionisti: bisogna far attenzione e decidere caso per caso, dicono i giudici. Ecco come.

***********

Ci viene di solito detto al momento dell’apertura della partita IVA che i liberi professionisti – quindi anche gli Psicologi – oltre alle imposte sul reddito (I.R.Pe.F.) e ai contributi previdenziali (E.N.P.A.P.), sono tenuti anche al pagamento dell’I.R.A.P. (Imposta Regionale sulle Attività Produttive).

La famigerata IRAP colpisce, fin dal 1998, i soggetti che svolgono abitualmente ed autonomamente un’attività economica in forma organizzata, cioè mediante l’utilizzo di beni strumentali e/o con l’aiuto di dipendenti e collaboratori (l’imposta ha come presupposto «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» – art. 2 del D.lgs n. 446/1997 e succ. modifiche).

A lungo la consuetudine seguita dagli uffici erariali ha ritenuto che “il requisito dell’autonomia esclude i lavoratori parasubordinati ma coinvolge a pieno titolo i lavoratori con partita I.V.A.” in quanto essi naturalmente utilizzano beni strumentali in un assetto organizzato per l’esercizio della professione.

Per quanto riguarda gli Psicologi libero professionisti, quindi, l’IRAP si traduce in una tassa aggiuntiva sul reddito all’incirca del 4,25% (variabile da Regione a Regione).

Molti professionisti e diversi colleghi Psicologi hanno contestato la legittimità di tale ulteriore tassazione ed hanno presentato ricorso in tutte le sedi competenti (finanche alla Corte di Giustizia Europea) e, a fronte di alcuni pronunciamenti delle Commissioni Tributarie Provinciali, hanno chiesto in tanti il rimborso delle cifre versate in conto IRAP.

La prassi più diffusa, infatti, in assenza di una precisa definizione della norma ed in pendenza dei diversi ricorsi, è stata finora quella di pagare comunque l’IRAP per poi chiederne il rimborso. Questo era il consiglio “cautelativo” della maggior parte dei commercialisti, che altrimenti prospettavano un quasi sicuro accertamento da parte dell’erario e un conseguente, lungo, contenzioso tributario (con spese di prova, consulenza, tempo e preoccupazioni).

Visto che comunque l’Amministrazione Finanziaria non rispondeva alle richieste di rimborso si è arrivati, con sentenze non sempre coerenti l’una all’altra, al massimo grado di giurisdizione e al recente pronunciamento della Corte di Cassazione a Sezioni Civili Riunite (Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 26 maggio, sentenze nn. 12108, 12109, 12110).

Già le Sentenze della Cassazione (V Sezione) del 12 febbraio 2007 sul tema dell’applicabilità dell’IRAP ai professionisti evidenziavano che, laddove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il professionista costituiscano un mero ausilio della sua attività personale, l’imposta non è dovuta. Ora, con le sentenze del maggio scorso, si chiarisce definitivamente, partendo dal dettato costituzionale per cui la tassazione deve essere proporzionale alla capacità contributiva, che ciò che rende l’IRAP conforme a Costituzione è la produzione di un valore aggiunto da parte dell’organizzazione di capitale o lavoro altrui.

Nella lettura dei giudici e nell’intenzione del legislatore si rileva che l’IRAP vuole colpire principalmente l’impresa dotata di una organizzazione “spersonalizzata” nel senso, cioè, di essere in grado di svolgere l’attività produttiva del valore aggiunto, oggetto del tributo, anche in assenza del «titolare» ovvero anche quando muta la persona del titolare.

I giudici di Cassazione hanno quindi stabilito che non si è assoggettati all’IRAP se si impiegano, nell’esercizio dell’attività, beni strumentali nella misura comunemente destinata all’esercizio dell’attività professionale stessa e non eccedenti il minimo indispensabile, in assenza di organizzazione e di lavoro altrui non occasionale*.

L’assoggettamento o meno all’IRAP va quindi valutato caso per caso (meglio se assieme al proprio commercialista) a seconda che ricorrano o meno le condizioni di “autonoma organizzazione” di cui sopra.

In altre parole: avere lo studio, il pc, i test, il telefonino e l’automobile o il lavorare come liberi professionisti presso strutture (comunità, ambulatori, centri studi, aziende, ecc.) e con mezzi ed organizzazione altrui (ad es. segreteria, ufficio stampa, amministrazione) NON costituisce “autonoma organizzazione” e quindi NON rende soggetti all’IRAP e di conseguenza questa tassa non va pagata.

ATTENZIONE – con questa definitiva decisione della Cassazione la posizione di cautela finora raccomandata dai commercialisti si inverte:

NON È AFFATTO OPPORTUNO PAGARE E POI CHIEDERE IL RIMBORSO!

Dice la Cassazione, infatti, che è onere del contribuente, nel caso in cui chieda il rimborso dell’IRAP che ritiene di aver versato impropriamente, dare prova davanti al giudice della sussistenza delle predette condizioni. Tocca cioè andare in giudizio!

Nel caso invece di mancata presentazione della dichiarazione IRAP, la Suprema Corte (sent. n. 7734 del 21/3/2008) ha stabilito che la prova dell’esistenza della autonoma organizzazione deve essere data dagli Uffici delle Entrate.

Felice D. Torricelli

***********

*: “l’esercizio delle attivita’ di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e all’art. 53, comma 1, medesimo D.P.R. (nella versione vigente dal 1 gennaio 2004) e’ escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attivita’ non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass. n. 3676 del 2007).