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Non avrei voluto scrivere questo articolo, per non aggiungere un altro riflettore sulla vicenda giudiziaria che coinvolge 28 professionisti.
Ma c’è stata così tanta malafede e superficialità nei commenti usciti finora sulla vicenda, che è diventato doveroso intervenire.

I FATTI. A Trapani, ventotto persone sono state rinviate a giudizio per fatti avvenuti nel loro lavoro per l’INPS.
Sono medici, psicologi, assistenti sociali. Tutti liberi professionisti con contratti a tempo. Tutti incensurati.
Sono insomma persone come noi, non certo degli Arsenio Lupin dediti al crimine.
Sono accusati tutti, in blocco, del reato di falso.

Attenzione: non quelle storie di ‘falsi invalidi’ che si leggono a volte.

La questione è molto più banale, e legata all’organizzazione del lavoro in INPS.
Secondo l’accusa avrebbero firmato verbali che li vedevano presenti contemporaneamente in posti diversi.
Secondo la difesa i verbali non attestano la presenza fisica, ma l’accordo finale sull’esito di una valutazione.

Lo spiega bene in un comunicato ufficiale Gaetana D’Agostino, una delle 28 persone coinvolte:

è sempre la commissione nel suo insieme che – al termine di un’attività che comporta più fasi in cui non sono necessariamente presenti tutti i componenti – definisce il verbale finale.

Secondo la Cassazione (su caso analogo), è una prassi del tutto regolare:

Correttamente il giudice di primo grado ha concluso per l’insussistenza del reato (di falso a carico della commissione), limitando l’attività collegiale delle commissioni – peraltro particolarmente oberate di lavoro e quindi obbligate ad adottare prassi di maggiore speditezza in ossequio al principio del buon andamento dell’amministrazione – alla fase della deliberazione.

Lo stesso INPS in una testimonianza agli atti dice che si componevano più commissioni con gli stessi componenti per smaltire l’ingente carico di lavoro.

In tutta questa faccenda, nessuno di questi 28 professionisti avrebbe tratto vantaggio. In pratica, non c’è nemmeno un movente.

Il quadro è completo. Il cerchio si chiude.

IL PROCESSO DI PIAZZA. Il giudice dirà se queste 28 persone sono colpevoli o innocenti. Al momento sono innocenti, il processo nemmeno è cominciato.

La colpevolezza di queste persone non è per nulla scontata. È dubbio perfino se ci sia un illecito.

Eppure, qualcuno sta provando a imbastire un processo di piazza.

Alcuni personaggi, che normalmente si ruberebbero le scarpe fra loro, si sono radunati per condannare subito questi 28 professionisti.

Perché? L’obiettivo non sono i 28 professionisti, ma una delle persone coinvolte: Gaetana D’Agostino.
Che sta sotto i riflettori perché è Presidente dell’Ordine Sicilia e vicepresidente di Altrapsicologia.

Si sta usando la vicenda legale per screditare una persona impegnata in politica.
La tattica più vecchia del mondo.

Vediamo dunque arrivare queste villane e questi villani da tutte le province del regno, con i loro forconi in mano.
Hanno coinvolto un giornalista amico per montare il caso, e ritrasmettono i suoi articoli fingendo che sia stampa nazionale.
Gridano di vergognarsi, di dimettersi, di tutelare la categoria.

Ma della categoria non gli importa assolutamente nulla.
A loro importa solo condannare anzitempo la collega Gaetana D’Agostino per farla dimettere.

Alcuni hanno un interesse diretto: se Gaetana si dimettesse ne prenderebbero il posto in consiglio dell’Ordine.
Bocciati dai colleghi, vogliono rientrare con questi giochetti.

Altri sono semplicemente felici che persone di Altrapsicologia siano coinvolte in questioni legali, fosse pure per divieto di sosta.

La cosa peggiore è che nel forzare la mano sulla condanna di piazza, non c’è il minimo riguardo per gli altri 27 professionisti che sono nelle stesse condizioni di Gaetana. Condannare lei significa condannare tutti loro.

CONCLUSIONI. Ora, svelati un poco di torbidi retroscena e date le informazioni che andavano date, la posizione di Altrapsicologia è ferrea: Gaetana D’Agostino continuerà a svolgere il lavoro per cui i colleghi e le colleghe l’hanno eletta.

Non perché debba farlo per forza. Ma perché non ci sono ragioni sensate perché smetta di farlo: non c’è una condanna, non ci sono chiari elementi che abbia commesso qualcosa di illecito, non c’è un tradimento della comunità professionale, non c’è nulla.

Ci sono invece 28 professionisti che una mattina si sono ritrovati rinviati a giudizio perché stavano svolgendo il loro lavoro, ritenendo di farlo secondo prassi corrette indicate dal loro committente, l’INPS.

Che sia la volta buona per l’apertura di una riflessione sulle condizioni di lavoro e sui rischi connessi al lavoro dei professionisti in questi contesti.