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D’accordo la crisi, ma forse c’è altro dietro i problemi dei professionisti italiani: una ricerca Adepp rivela particolari inediti.

LA RICERCA DI ADEPP E CENSIS. Si trova QUI. Disegna un ritratto dei professionisti italiani di ogni settore a partire da caratteristiche come il modo di lavorare (singolo, associato, organizzato in gruppo), di promuoversi, la diffusione territoriale e molto altro.

ADEPP. L’Adepp è l’associazione degli enti previdenziali dei professionisti – per noi è l’ENPAP – che gestiscono per conto dello Stato le pensioni e il welfare. Da tempo segnala un vigoroso calo dei fatturati dei professionisti, che viene ricondotto alla crisi economica.

PRIME IMPRESSIONI SULLA RICERCA. Leggendo le prime news su questa ricerca sono stato colpito da alcuni passaggi. Intanto perdite di fatturato che in alcuni casi hanno raggiunto il 45%. E poi modelli di business che proprio non mi aspettavo, e che di certo non aiutano.

PROFESSIONISTI SENZA SITO WEB – PARTE 1°. Solo un professionista su dieci usa un proprio sito web per promuovere l’attività. La ricerca si limita a parlare di ‘sito web’, che è proprio la base della promozione online. Non si sfiora nemmeno il ricco panorama degli strumenti web oggi a disposizione, da Google a Groupon, da Facebook a LinkedIN.

LA DOMANDA NASCE SPONTANEA: ma gli altri nove come si promuovono? con il passaparola, che rappresenta ancora la maggior voce di invio di clienti. In via residuale, annunci sui giornali (!) e conferenze/incontri.

PROFESSIONISTI DI QUARTIERE. Il passaparola e gli eventi sono tipicamente strategie di promozione che puntano su una clientela locale. E infatti la maggior parte dei professionisti lavora solo nella propria città: l’80%. Un 14% lavora su scala nazionale e poco più del 3% a livello internazionale.

EROI SOLITARI. La maggior parte dei professionisti lavora da solo, gestendo direttamente la propria attività: parliamo dell’80%. Solo un certo tipo di studi riesce ad allargare al contesto nazionale e internazionale, e nemmeno tanto: sono quelli con più di 5 soci, che nel 30% dei casi valicano i confini della propria città. Il singolo professionista può essere bravissimo, ma non può superare i limiti del corpo umano, e un modello di business basato sull’individuo prima o poi impatterà con limiti di tempo, energie e competenze. Una rete informale può aiutare, ma siamo ben lontani da modelli di business collaborativi che sfruttino l’effetto moltiplicatore del lavoro sinergico per sviluppare servizi e qualità a condizioni migliori. Anche quando si collabora in studi associati, spesso ci si mette insieme per alleggerire i costi, e raramente per moltiplicare gamma e qualità dei servizi.

FACEBOOK IN ITALIA, AI TEMPI DELLA CRISI. Nel 2008 Facebook aveva circa 200.000 iscritti, che nel corso di quell’anno sono arrivati ad essere 1 milione. Oggi gli italiani su Facebook che entrano almeno una volta al mese sono 26 milioni, e 17 milioni entrano una volta al giorno. Dopo una IPO (quotazione in borsa) che nell’Agosto 2012 fu considerata gonfiata, nei mesi successivi un’azione FB era arrivata a valere meno di 20 USD. Oggi, 9 Novembre 2015, quota attorno ai 107 USD.

PROFESSIONISTI SENZA SITO WEB – PARTE 2°. Di fronte al fenomeno Facebook (ma potremmo metterci Google, LinkedIN, WordPress, YouTube o Groupon) e alla rimozione di ogni vincolo normativo alla pubblicità dal 2005 in poi, sapere che solo il 13,3% in media dei professionisti riceve invii tramite il sito web dello studio fa una certa impressione.

QUEI TEMERARI SULLE MACCHINE A VAPORE. Forse non bastano queste analisi di superficie per spiegare davvero la crisi di fatturati del mondo delle professioni. Ma ci sono dati che non possiamo ignorare: oltre 1,3 miliardi di persone su Facebook di cui 26 milioni in Italia, una crescita esponenziale del commercio online secondo EURISPES, una fetta di consumatori enorme che prima di acquistare cerca informazioni on-line. Ma 8 professionisti su 10 si muovono sul mercato con strumenti di promozione e modelli di business antiquati.

GLI PSICOLOGI. Noi siamo un caso particolare, per certi versi: il nostro ‘modello di business’ tradizionale è fondato sul rapporto individuale, ma abbiamo solidi strumenti concettuali e teorici sul lavoro di equipe, sul gruppo, sulle dinamiche organizzative. Abbiamo sviluppato una forte presenza online, ma spesso è ripetitiva e di cattiva qualità. Abbiamo anche contesti di confronto intracategoriale, ma un’ottica molto rivolta ‘ad altri psicologi’. Usiamo internet per promuoverci, ma con grandi pregiudizi. E puntiamo spesso sul prezzo per vendere, piuttosto che sviluppare strategie complessive di promozione.

OLTRE LA CRISI. Non possiamo affermare che la crisi economica non abbia impattato profondamente sul paese e sui professionisti, a partire dal dato ovvio che ha limitato la disponibilità al consumo. Chi acquista servizi professionali oggi è sicuramente più attento e selettivo, e questo non significa che sia  solo disposto a spendere meno: probabilmente vuole spendere meglio. Inoltre, in questi 8 anni di crisi economica il mondo non si è fermato, anzi. Basta guardare al fenomeno Facebook, ma di esempi ce ne sarebbero molti.

VERSO IL FUTURO. Restare a guardare è una pessima ricetta. Arroccarci su posizioni corporativiste del tipo ‘ho studiato tanto e ora pretendo rispetto e lavoro‘, oppure pensare che tutto si risolverebbe con ‘numero chiuso, tirocinio breve e pagato e tariffe minime‘ significa continuare a sbagliare bersaglio. Esistono nuovi modelli di promozione che vanno esplorati nel loro impatto sulla professione e non demonizzati (ho parlato qui di WhatsApp e qui di Groupon). Vanno sviluppati nuovi modelli di business per aumentare servizio e qualità.

VENDERE SODDISFAZIONE. Al di là degli strumenti e dei modelli, io credo dobbiamo ancora comprendere che noi vendiamo soddisfazione per le persone: chi compra da un professionista in genere ha una vita complicata, faticosa e frenetica, guadagna denaro con difficoltà e quindi vuole spenderlo bene. Deve quindi sentire di aver speso il proprio denaro non perché il professionista è un esperto che va pagato senza capire cosa mi vende e senza garanzia di risultato, come accadeva trent’anni fa, ma per qualcosa di tangibile, di qualità, risolutivo e soddisfacente. Chi compra, calcola il rapporto fra prezzo pagato e servizio ricevuto, per cui il prezzo sarà percepito come eccessivo solo se in cambio il cliente non otterrà nulla: anche un solo euro è troppo, in cambio di un servizio vacuo e standardizzato, di un ascolto distratto della domanda del cliente, di frizioni di rapporto che fanno perdere tempo e serenità.