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Con la Legge n. 31 del 28 febbraio 2008 (Decreto detto “Mille Proroghe”) si stabilisce con chiarezza, finalmente, l’equipollenza dei titoli per l’accesso ai concorsi presso il servizio sanitario nazionale.

In poche parole, si è messo definitivamente al bando il paradosso per cui, fino ad oggi, i colleghi specializzatisi presso le Scuole di Psicoterapia Private Accreditate avevano le stesse possibilità in campo di lavoro autonomo, rispetto a chi aveva ottenuto una specializzazione universitaria (cioè potevano definirsi e lavorare privatamente come psicoterapeuti), ma non le medesime opportunità in campo pubblico. I due titoli venivano considerati equivalenti, infatti, solo nei concorsi del SSN per la disciplina “Psicoterapia”, mentre per la disciplina “Psicologia” il titolo rilasciato dall’Istituto Privato Accreditato non permetteva l’accesso al concorso.

Ci si trovava, perciò, di fronte all’assurdità per cui un laureato in Psicologia, con alle spalle 5 anni di studi specificamente mirati all’acquisizione di conoscenze in tale scienza a cui aveva aggiunto almeno altri 4 anni di specializzazione (privata riconosciuta) in Psicoterapia, aveva meno diritti di un medico con specializzazione (pubblica) in Psicologia Clinica o similari. In poche parole, 9 anni di studi specifici venivano considerati meno abilitanti di 4.

In verità si era, già in passato, cercato di superare questa situazione. L’articolo 2, comma 3, della legge 29 dicembre 2000, n. 401, infatti, recitava: “Il titolo di specializzazione in psicoterapia, riconosciuto, ai sensi degli articoli 3 e 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, come equipollente al diploma rilasciato dalle corrispondenti scuole di specializzazione universitaria, deve intendersi valido anche ai fini dell’inquadramento nei posti organici di psicologo per la disciplina di Psicologia e di medico o psicologo per la disciplina di psicoterapia, fermi restando gli altri requisiti previsti per i due profili professionali”.

Perché, allora, è stata necessaria l’ultima uscita normativa? Perché è accaduto che i colleghi psicologi venissero esclusi dai concorsi (quei pochi che ci sono stati) per Psicologo presso il Servizio Sanitario Nazionale perché le ASL (e i tribunali) hanno dato un’interpretazione restrittiva della legge del 2000 intendendo riferita l’equipollenza alle sole ipotesi di “inquadramento in organico” del personale già in servizio e fino ad allora precario.

Su queste questioni gli Psicologi hanno perso tutti i ricorsi proposti ai Tribunali Amministrativi e al Consiglio di Stato e quindi non hanno più potuto partecipare ai concorsi (ripetiamo: pochissimi) per Dirigente Psicologo se non avevano anche la specializzazione universitaria e – spesso – le scuole di specializzazione private hanno giocato sull’ambiguità del testo di legge del 2000 per dichiarare, sui loro opuscoli, la piena equipollenza di un titolo che ancora non lo era.

Attualmente, invece, all’articolo 24-sexies della citata legge 31/08 (titolato proprio equiparazione di titoli ai fini dell’accesso ai concorsi presso il Servizio sanitario nazionale e vigilanza sull’Ordine nazionale degli psicologi) si evita ogni dubbio interpretativo e si dichiara: I titoli di specializzazione rilasciati ai sensi dell’articolo 3 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, e il riconoscimento di cui al comma 1 dell’articolo 35 della medesima legge, e successive modificazioni, sono validi quale requisito per l’ammissione ai concorsi per i posti organici presso il Servizio sanitario nazionale, di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 29 dicembre 2000, n. 401, e successive modificazioni, fermi restando gli altri requisiti previsti

Questa, che viene salutata come una grande conquista, è una grande ingiustizia risanata; una volta ancora gli psicologi hanno dovuto lottare per ottenere qualcosa che, a lume di buon senso, dovrebbe essere del tutto ovvia, cioè riaggiustare una disparità fra colleghi con specializzazioni equivalenti per il titolo rilasciato ma diverse nella sostanza in quanto alcune trattate come “con più diritti” di altre.

Un’ingiustizia che arrivava a far ritenere meno preparato chi aveva 9 anni di formazione in Psicologia (nella sua generalità e in alcune sue specifiche applicazioni) rispetto a chi ne aveva solo 4 (come ad esempio i Medici con diploma di specializzazione pubblico). Un’assurdità che si è resa ancora più palese quando la Corte di Cassazione ha definito che i laureati in Medicina non hanno diritto all’accesso alla specializzazione in Psicologia Clinica, che doveva intendersi riservata ai soli laureati in Psicologia.

Con una sentenza che determina quanto avrebbe dovuto ritenersi già ovvio e con un’ulteriore legge che ribadisce ciò che avrebbe dovuto sembrare evidente (con vari passaggi legislativi, quindi, e molti anni persi), si ristabilisce a posteriori (è infatti da capire cosa accadrà dei concorsi già banditi con le vecchie regole ma non ancora espletati) una giustizia che avrebbe dovuto essere garantita fin dal principio per evidenti motivi logici.

A questo punto, però, ci ritroviamo di fronte ad un ulteriore non-senso causato dalle confusioni legislative in cui ci siamo trovati a navigare negli ultimi decenni: medici assunti tramite concorso nella ASL grazie a quelle specializzazioni a cui, oggi, si ritiene non possano accedere e psicologi esclusi da quegli stessi incarichi che, oggi, vengono resi loro accessibili.

Quanto è costato e continua a costare ai nostri colleghi questa ennesima assurdità? Quanto ha inciso in termini di posti di lavoro non attribuiti, incarichi non presi, accessi negati? Quanto in frustrazioni, dubbi di identità, burnout, rinunce alla professione?

Ancora una volta, una vittoria che, purtroppo, ha il sapore della sconfitta tardivamente riparata.