Tre buone ragioni per dire "no" all'esigenza di abilitazione alla psicoterapia per la valutazione di minori in contesto di CT

IN PRIMIS. La valutazione di un minore può essere fornita in diversi contesti, alcuni dei quali definibili come consulenza tecnica.

Il DPR 448/88 prevede un articolo specifico, il 9, in cui prescrive l’obbligo di “accertamenti sulla personalità del minorenne” quando questi abbia commesso un reato “al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili (…) Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni (…) e sentire il parere di esperti…”.

E’ di grande interesse per la psicologia apprendere che il minore che commette reato debba essere esaminato su un piano in cui si valutano le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali…“.

Poiché tali condizioni, che sarebbero osservabili anche da un assistente sociale o da un educatore hanno tuttavia un impatto sulla “personalità” che è ciò che va osservato e che è un costrutto complesso di natura psicologica, la prassi invalsa presso i T.M. è ricercare la competenza necessaria e sufficiente per svolgere questo compito nella figura professionale dello psicologo.

Aggiungo che personalmente, come psicologo -non psicoterapeuta- da sedici anni svolgo in maniera apprezzata l’incarico dapprima di consulente, poi di responsabile di una piccola equipe incaricata di questo tipo di valutazioni per il T.M. di Brescia, e spesso effettuo attività di formazione di colleghi, anche psicoterapeuti privi tuttavia di esperienza specifica o di conoscenze relative a questo specifico settore di intervento.

 

SECONDO PUNTO. L’atto conoscitivo di raccolta e categorizzazione delle informazioni cliniche e l’azione di sintesi che rende comunicabile fra i soggetti implicati il fenomeno oggetto di osservazione (il “minorenne”) è un atto definibile come “diagnosi[1].

Non sfuggirà che la diagnosi è forse la prerogativa più indiscussa dello psicologo secondo il primo articolo della legge 56/89 e “si realizza attraverso una metodologia di competenza specifica della professione di psicologo. Le abilità di base necessarie all’attività diagnostica sono pienamente contemplate nei percorsi formativi dello psicologo[2]“.

La diagnosi quindi, lungi dall’essere considerata una mera identificazione di patologia, può costituire per lo psicologo l’identificazione di un fenomeno sulla base dell’individuazione dei fattori che la caratterizzano (storia del soggetto, sintomi fisici e psichici, modalità comportamentali, attività mentale, informazioni ottenute con varie modalità di valutazione).

Come sottolineo nel numero di gennaio 2013 di Minori e Giustizia, appare di chiara evidenza come la “valutazione del minore”, e in specie del “reato” come atto sintomatico, significante nel contesto di vita di un minorenne, possa e debba partire dalla valutazione complessiva della personalità del minore, che avviene tipicamente attraverso la formulazione di un bilancio evolutivo[3], e in particolare ponendo l’attenzione su alcune questioni fondanti il periodo di vita adolescenziale: il processo di separazione e individuazione, il momento della nascita sociale, l’integrazione della sessualità nella personalità e dei propri ideali. Attraverso il disegno di un quadro plastico che delinei le interazioni tra queste aree, sarà possibile impostare le prime ipotesi per la costruzione di un programma ad hoc che si concretizzi nella realizzazione di un progetto educativo[4] preciso e tangibile. La personalità del minore, infatti, si definisce nell’interazione tra gli aspetti intrapsichici e la capacità di relazionarsi all’ambiente sociale circostante, anche attraverso la possibilità di prefigurarsi scenari riferiti al futuro. Solo così la valutazione della pericolosità sociale del minore e il percorso educativo che segue alla “diagnosi” psicologica può permettere una ripresa di un processo dinamico che per qualche motivo si è a un certo punto bloccato.

Alle fondamenta di ogni progetto educativo e di ogni provvedimento, anche civile dell’autorità giudiziaria minorile c’è quindi un atto fondativo complesso quanto imprescindibile di natura diagnostica, atto che ha il compito di orientare il progetto, definendo quali esperienze possano avere una valenza educativa e la capacità di ridurre le probabilità di recidiva.

L’intervento della magistratura e dei servizi assume valenza terapeutica attraverso la possibilità di una nuova narrazione che ricostruisce il significato dell’evento reato per il minore che lo ha commesso.

 

TERZO ARGOMENTO. Tutto ciò non ha evidentemente nulla a che spartire con il concetto di terapia, la quale “riporta il soggetto da uno stato patologico ad uno stato sano[5]. La tensione terapeutica verso la modificazione di uno stato è qui, nel caso della CT o della valutazione della personalità del minorenne del tutto assente e perfino confusiva, come assente è il tempo per l’applicazione delle tecniche necessarie a produrre un cambiamento le cui connotazioni sono ancora da identificare. Vi sarebbero ampi spazi di formazione per i soggetti che più saltuariamente svolgono questo genere di valutazioni, in specifico i colleghi che operano presso le U.T.M. o chi debba effettuare valutazioni di tipo diverso pur gravitando sempre in area giuridica, ad esempio in merito all’idoneità all’adozione per chi svolga abitualmente valutazioni in area penale o viceversa. Ma, torno sul punto, nulla di tutto questo ha alcunché a che spartire con una competenza tecnica tesa alla guarigione.

Di più. Molto spesso anche andando oltre la fase della consulenza tecnica, della valutazione di natura diagnostica si scopre che la terapia migliore per un minore non è la psicoterapia. Lo psicologo incaricato della valutazione diagnostica indica un percorso che talora contempla la cura della parola, ma spesso si affida ad eventi di natura educativa, ad esperienze la cui valenza viene considerata funzionale alla soluzione del blocco evolutivo.

In sostanza non esiste nessuna ragione evidente per inibire allo psicologo la pratica della valutazione del soggetto minorenne, tanto più che proprio l’area della valutazione che abbiamo definito “diagnostica” è per lui in qualche modo centrale. Una richiesta di maggiori competenze in area evolutiva, così come in area giuridica potrebbe trovare maggiori e migliori giustificazioni.

L’idea che lo psicoterapeuta sia non già uno specialista ma semplicemente uno psicologo “vero”, migliore, è generica e sostanzialmente falsa. L’appiattimento della nostra professione sulla quantità non giova a nessuno, neppure agli psicoterapeuti che vedono così offuscata la propria specifica competenza, che è altra e ben diversa.

Di Mauro Grimoldi

Responsabile equipe psicologica di consulenza ai servizi del Tribunale penale per i Minorenni di Brescia
Presidente Ordine Psicologi della Lombardia 



[1] Documento CNOP “Parere sulla diagnosi psicologica”, Vannoni/Palma, 2008.

[2] Vannoni, Palma, ibidem.

[3] A. Maggiolini, G. Pietropolli Charmet, Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, Franco Angeli, Milano 2004.

[4] Il progetto educativo è uno strumento di lavoro che, partendo dall’individuazione di bisogni impliciti ed espliciti, delinei un percorso atto a realizzare degli obiettivi specifici. R. Titone, E. Gandini Gamaleri, Guida alla formazione didattica degli insegnanti, Armando Editore, Roma 1990.

[5] Wikipedia