image_pdfimage_print

Il tema non è di certo nuovo: la reputazione in economia è un concetto che nasce con la nascita di grandi aziende e con i problemi di gestione del brand nei confronti dei clienti e più in generale della società. Ma se all’epoca della televisione e della carta stampata era facile gestire l’informazione, con internet tutto è precipitato e con l’evoluzione verso una dimensione social, la reputazione di aziende, banche ed enti ha assunto un valore primario.

Oggi è impensabile trascurare il reputation risk come parametro di cui tenere conto per la valutazione della solidità di banche, aziende, enti, perfino nazioni. In un momento in cui la crisi economica ha caratteristiche nuove e non più legate alla sola produttività, l’economia si scopre sensibile a qualità intangibili ma potenti, come credibilità e trasparenza.

Non serve un’indagine della magistratura per sapere che in certi casi è necessario ridare credibilità ad un ente. Le responsabilità civili o penali sono solo una parte del problema, e non sono la parte più urgente. Invece, è assolutamente urgente occuparsi di reputazione appena emerge un problema, come quello del palazzo di via della Stamperia, che mette in luce una questione complessa, articolata, in cui la reputazione è una variabile molto presente.

Quella dell’ENPAP non è una faccenda privata, non è cosa da risolvere all’interno della categoria con improbabili conclavi o accordi successori. In gioco c’è qualcosa che rischiamo di perdere di vista: la reputazione. Ma non quella da pettegolezzo di paese che passa e va, bensì la reputazione in senso economico, l’affidabilità nei confronti dei customer (in questo caso gli iscritti, che hanno ampiamente dimostrato il proprio interesse), dei partner (le altre casse di previdenza private, con cui esistono accordi di collaborazione all’interno di un’associazione, l’Adepp, che negli ultimi anni ha acquisito molta credibilità e affidabilità), e della società (rappresentata dal governo, che pretende chiarezza perché l’ENPAP deve garantire con una gestione accurata la stabilità pensionistica dei suoi iscritti).

Oggi, la reputazione e la sua gestione sono un cardine dell’economia. Ogni ente deve occuparsene come fattore di stabilità economica. La faccenda dell’ENPAP non si risolve nei presunti 18 milioni di euro che vanno e vengono fra una compravendita e l’altra. 18 milioni di euro sono più o meno il 3% del patrimonio ENPAP. Sono soldi nostri, se c’è anche solo il dubbio che forse potevano essere ancora nel patrimonio della nostra cassa, non sono di certo poco.

Ma il danno alla reputazione dell’ENPAP costerà ben più del 3% del patrimonio, se i responsabili primari di tutto questo non chiariscono congruamente i fatti agli interlocutori (iscritti, governo, altre casse) e considerino di dimettersi immediatamente. Per questo tipo di operazioni finanziarie, responsabili sono i consiglieri di amministrazione, tutti: a loro sono attribuiti da statuto “tutti i poteri per la gestione dell’Ente” (art. 9, statuto ENPAP). La vigilanza interna all’Ente è invece affidata al Collegio dei Sindaci, come in ogni istituzione o azienda che ne possieda uno.

Questo Consiglio di Amministrazione (4 membri AUPI, 1 membro Cultura & Professione), e tre dei 5 sindaci (tutti quelli che l’AUPI poteva nominare), sono rappresentanti della nostra comunità professionale, oggi potrebbero non avere la fiducia di chi li ha eletti, potrebbe essere venuto meno il patto di affidabilità basato su un legame intangibile ma essenziale.

Chiarimento e dimissioni sono l’unico modo per recuperare affidabilità. L’avvicendamento di una nuova gestione, che non contempli più l’AUPI, singolarità storica di un sindacato di dipendenti pubblici alla guida di un ente previdenziale di liberi professionisti, è probabilmente la risposta più appropriata per salvare la nostra reputazione di categoria e la possibilità di una gestione diretta della previdenza e dell’assistenza secondo le nostre caratteristiche demografiche.

Chiarimenti e dimissioni sono forse l’unico atto di salute possibile in questa faccenda, che è l’ultimo e più evidente sintomo di una gestione di cui abbiamo sempre riferito gli aspetti meno convincenti. Se gli altri sintomi sono stati infine dimenticati, questa volta non si può seppellire nulla.