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Cinque anni di studi universitari, la laurea, il tirocinio post-laurea, probabilmente l’iscrizione ad un master o ad una scuola di specializzazione e poi l’aspirante Psicologo è persuaso di poter entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale, avendo investito tempo, fatica e tanto denaro in una seria e impegnativa formazione professionale.

Lo scenario reale che si troverà ad affrontare, invece, sarà completamente diverso, ma ancora non lo sa: tante ore di tirocinio, durante la scuola di specializzazione, in cui imparerà a fare benissimo le fotocopie e ad “osservare” da lontano qualche paziente; dopo, un “bel” lavoro in qualche impresa del Privato Sociale, dove farà di tutto, a volte anche lo Psicologo. E, se farà il lavoro da Psicologo, lo farà di solito senza il dovuto riconoscimento professionale ed economico.

Il Privato Sociale, il cosiddetto Terzo Settore, avendo acquisito funzioni di Welfare che ormai lo Stato, in senso lato, non intende più garantire in proprio e che, di converso, sono ritenute ampiamente non remunerative per una gestione puramente privata e lucrativa, vive, solitamente, di sovvenzioni e stanziamenti erogati su una base di riduzione costante dei costi. Il settore è quindi sovra esposto alle dinamiche meno protezionistiche dell’attuale mercato del lavoro e costantemente alle prese con rette inadeguate, tagli dei finanziamenti, ampliamento dei bisogni e dell’utenza cui fornire servizi.

Il valore aggiunto apportato al lavoro nel nuovo Welfare dalla professionalità degli Psicologi è ampiamente riconosciuto dagli operatori e dagli utenti – cosa che porta ad una grande richiesta di Psicologi in questo settore – ma largamente disconosciuto dalle norme – per cui, di solito, non ne è esplicitamente prevista la presenza in organico, oppure è prevista per un monte ore assolutamente insufficiente.

L’assenza, negli ultimi 15 anni, di politiche atte ad orientare e rinforzare il mercato del lavoro degli Psicologi e a gestire i flussi universitari (si è arrivati ad avere 27 corsi di laurea in Psicologia in Italia; ad oggi 55.000 iscritti all’albo professionale e altrettanti studenti universitari in Psicologia; ben 15.000 matricole quest’anno) ha creato, specie nelle grandi città, un pletora straripante di giovani colleghi alla ricerca di un collocamento lavorativo che tenga conto delle loro competenze e motivazioni e che permetta loro, se non l’autonomia, almeno di potersi pagare le spese per la scuola di specializzazione.

Si crea, quindi, una strana situazione in cui il Terzo Settore assorbe un numero crescente di questi giovani Psicologi senza però fornire loro le garanzie di un rapporto di lavoro organico, vista anche l’ampia disponibilità nel mercato di questa professionalità (nel Lazio, per esempio, ci sono 12.000 psicologi per 5.000.000 di abitanti, con un rapporto all’incirca di uno ogni 400 abitanti) e la sostanziale mancanza di difese normative per questa fetta di pseudo-professionisti. La maggioranza dei colleghi impiegati nel Terzo Settore, infatti, in seguito anche alle recenti politiche di precarizzazione del lavoro, sono inquadrati con contratti atipici (a progetto o, tuttora, come co.co.co.) o come supposti liberi professionisti (per meglio dire “forzati della partita IVA”) senza alcuna tutela e in condizioni di precariato cronico. Entrambi gli inquadramenti non prevedono, infatti, le più elementari tutele del lavoratore, come la malattia, le ferie retribuite, l’indennità di rischio, la maternità, il trattamento di fine rapporto e, soprattutto, permettono di “congedare” il lavoratore in qualsiasi momento.

Questo stato di cose si è consolidato negli anni ed è stato precursore dell’attuale generalizzata precarizzazione del mercato del lavoro, ma si è esasperato nell’attuale delicato momento politico-economico, in cui la riforma del lavoro ha influenzato profondamente lo stile di vita e la progettualità di tutti i giovani adulti. Inoltre, è usanza comune presso le imprese del privato sociale, assumere Psicologi, perché se ne riconosce il valore aggiunto e la professionalità, ma retribuirli come educatori, assistenti domiciliari o – diciamolo – semplici badanti, in assenza di istituzioni in grado di tutelare la categoria e con l’aggravante dell’assenza di un Tariffario Professionale riconosciuto che rende improponibile qualsiasi tipo di contrattualità.

In questa condizione diventa veramente arduo, per un giovane professionista progettare e costruire il proprio futuro professionale e personale. Come si possono operare delle scelte importanti senza prescindere dalla propria precaria condizione economica? Come pensare ad una casa, ad una propria famiglia, quando spesso si ha ancora bisogno dell’aiuto dei genitori per affrontare gli altissimi costi della formazione, che tanto promette e poco mantiene?

Le esperienze di ognuno di noi raccontano di colleghi impegnati full-time (e anche oltre…) con paga oraria davvero esigua; di donne che diventano mamme sempre più tardi; di giovani che non riescono a completare il proprio percorso evolutivo, perché costretti a vivere con i genitori o a condividere l’appartamento con amici, in una condizione adolescenziale drammaticamente dilatata. A tale bizzarro scenario, decisamente scisso tra teoria e realtà, hanno sicuramente contribuito le politiche dell’Ordine e dell’Università, di fatto inesistenti o lontanissime dalle nuove realtà lavorative e “ignare” delle potenzialità offerte da un mercato del lavoro in rapida trasformazione. Entrambe le istituzioni non si sono premurate di effettuare le necessarie ricerche sui possibili sbocchi professionali alternativi o collaterali all’attività clinica, allo scopo di adeguare l’offerta formativa alle nuove esigenze del mercato. Ciò ha lasciato ampio spazio a professioni non ordinate, limitrofe alla nostra (counselor, psicopedagogisti, psicofilosofi, mediatori, coatch, ecc.) che, in modo scaltro e con perfetto tempismo, hanno riempito “opportunamente” gli spazi vuoti cui la nostra professione non sembrava interessata, forse perché percepita dai “vertici” come prettamente clinica e quindi bisognosa soprattutto di tante nuove scuole di specializzazione in psicoterapia.

Se le cose restano come sono state finora, quale sarà la condizione della categoria fra dieci anni? Gli Psicologi, molto più che non gli altri professionisti, sembrano destinati ad essere giovani per sempre… E’ singolare notare che, alla recente nascita di AltraPsicologia, i suoi fondatori (età fra i 33 e i 41 anni, peraltro ormai professionisti riconosciuti) siano stati segnati come “giovani sovversivi” da chi occupava cariche istituzionali nella professione. Questo sono i nostri diritti di futuro agli occhi dei maggiorenti della nostra professione: a 40 anni siamo ancora ragazzini che battono i piedi per “la zuppa ’e latte” se apriamo gli occhi e, insieme, cominciamo a reclamare attenzione.

A questo punto è di fondamentale importanza per gli Psicologi, soprattutto per quanti di loro sono impegnati nel Terzo Settore, recuperare la dimensione collettiva del problema: partire dalle condizioni dei singoli, dalle esperienze di ognuno, per arrivare a tracciare ed evidenziare lo specifico di questa professionalità, rendendola riconoscibile e valorizzandone le potenzialità. E’ necessario incrementare il dialogo all’interno della comunità professionale ed avviare un confronto ormai improcrastinabile con le istituzioni normative del Paese (Stato Centrale e Regioni in primis) con lo scopo di ottenere il riconoscimento normativo del valore aggiunto apportato dalla professionalità degli Psicologi nel nuovo Welfare e nei servizi con finalità sociali, in un’azione di pressione che abbia i caratteri della continuità e della trasparenza.

É necessario che gli Psicologi occupati nel Terzo Settore si organizzino, percependosi come parte attiva della comunità professionale e come pilastro fondamentale dei nuovi servizi di Welfare, e propongano fortemente la necessità del riconoscimento specifico del loro ruolo.

Questi sono gli impegni di AltraPsicologia, a questo progetto ti invitiamo a dare supporto.

Contatta AP dal sito www.altrapsicologia.it. Per non restare per sempre i “figli piccoli”, per non rischiare di rimanere giovani per sempre….