Ha suscitato grande sconcerto presso gli esperti di psicologia forense una News dell’Ordine degli Psicologi del Lazio che annuncia la formazione di un elenco di CTP “accreditati” dall’Ordine per il gratuito patrocinio e ne stabilisce i criteri di inclusione.
Viene infatti specificato che per operare nell’area dei procedimenti minorili lo psicologo, oltre ad avere specifiche competenze ed esperienza clinica in psicologia e psicopatologia dell’età evolutiva, deve essere psicoterapeuta.
Questo requisito va letto assieme a quello della previsione di un numero minimo di sole 50 ore di formazione in psicologia giuridico/forense: in pratica, secondo l’Ordine del Lazio per fare lo psicologo forense occorre avere solo una rudimentale formazione specifica in questo ambito e avere invece frequentato ben quattro anni di scuola di psicoterapia. Lo psicologo forense è quindi concepito non già come uno psicologo specializzato in un determinato ambito applicativo, ma come uno psicoterapeuta che “applica” il suo sapere alla valutazione peritale; ciò in nome del diritto alla difesa, come si dice in premessa.
Ora, con una formazione di sole 50 ore, difficilmente questo psicoterapeuta incidentalmente psicologo forense conoscerà i fondamenti giuridici – anche procedurali – di quel diritto alla difesa che viene invocato nella premessa della delibera e saprà farlo valere con efficacia; difficilmente, avendo avuto una formazione breve e generalista, conoscerà bene le normative, generali e specifiche dell’ambito in cui opera. Sia il CTP che il CTU più psicoterapeuti che psicologi forensi avranno difficoltà a stabilire un setting valutativo differente dal setting di intervento. Come potranno intendere la profonda differenza tra il contesto dell’accertamento peritale e quello del contratto terapeutico, in cui lo specialista è liberamente scelto, il rapporto è vincolato al segreto professionale e la prestazione si basa su un’alleanza?
Il rischio di confusione tra i due diversi setting è peraltro ben noto: basta aprire un manuale a caso per leggere che “il consulente psicologo deve sempre ricordare che il contesto dell’indagine è di tipo ‘valutativo-giudiziario’ e non può confondersi con un lavoro di tipo clinico-terapeutico”[1]
Del resto, anche per gli psichiatri non è automatico diventare “psichiatri forensi”; materie come la psicopatologia forense e la medicina legale – con cui tutti quelli che operano in ambito forense dovrebbero avere dimestichezza – non avrebbero alcun senso se per lavorare in ambito forense fosse sufficiente saper curare.
La ratio di questa delibera risulta quindi incomprensibile a chi abbia pratica di questo lavoro: invece di incoraggiare i colleghi a frequentare il Foro essendo sufficientemente attrezzati (e rivolgendosi ad altri colleghi quando hanno necessità di integrare le loro competenze tecniche), gli si dà l’idea che il consulente tecnico si identifichi prioritariamente con lo psicoterapeuta e che quindi il ruolo dello specialista abbia una predominante connotazione terapeutica.
Suscita anche qualche perplessità che questa opzione, peraltro molto contestata dalla comunità degli esperti e dalla tradizione codificata nelle università e nei manuali venga deliberata dal Consiglio di un Ordine, che non ha un mandato scientifico. Forse che tutti i consiglieri di un Ordine hanno una competenza di psicologia forense? È statisticamente improbabile.
Spiace per i colleghi dell’Ordine del Lazio e in particolare per quelli che non potranno venire inseriti nell’elenco dei CTP promossi dall’Ordine per il gratuito patrocinio o che avranno la tentazione di iscriversi a una scuola di psicoterapia per poterne fare parte; spiace per coloro che potrebbero avere difficoltà a venire inseriti nell’elenco dei CTU; spiace – e molto – per i periziandi; ma certo non spiacerà al CTP di controparte che davvero abbia la speciale competenza richiesta allo psicologo o psichiatra forense: costui avrà infatti buon gioco nel confutare molti degli esperti accreditati in quanto psicoterapeuti.
Valeria La Via
Psicologa psicoterapeuta, specialista in Criminologia Clinica, psicologa forense; docente nel Corso di Perfezionamento in Psicopatologia Forense e nel Corso di Perfezionamento in Criminologia dell’ Università degli Studi di Milano (a.a. 2011-2012 e 2012-2013)
[1] T.Bandini, G.Rocca, “Indagini psicologiche e psichiatriche sulla famiglia”, in Fondamenti di psicopatologia forense, Giuffrè, Milano 2010, pag. 329.
Riflessioni assolutamente condivisibili. Sembra davvero molto confusiva la posizione di Cultura e Professione per cui lo psicologo forense deve essere anche psicoterapeuta.
Esempio imperfetto: ma non mi risulta che il medico-legale debba essere anche chirurgo, per essere un buon medico-legale (certo, noi non abbiamo la specialità di psicologia forense, ma master universitari di merito sì).
Sembra davvero che la maggioranza di Cultura e Professione abbia operato una confusività che lascia più che perplessi, e che soprattutto finisce con l’avere due effetti negativi: esternamente, non garantisce affatto una maggiore qualità del ruolo peritale in quanto tale; internamente, pone ulteriori vincoli e obblighi formativi non direttamente pertinenti in carico ai colleghi, per l’esercizio di funzioni professionali cui i giovani psicologi sono già abilitati a seguito dell’iscrizione all’albo.
Lo psicologo forense (come l’inglese Forensic Psychologist)dovrebbe frequentare una scuola di specializzazione post-laurea in Psicologia Forense. Ma dal momento che in Italia le specializzazioni universitarie seguono i bisogni dei docenti e delle università, invece che le richieste dal mercato e/o dalla società civile, allora si dà tutto agli psicoterapeuti, che tanto pure loro cominciano ad essere tanti e sotto-occupati. Perché non si copia semplicemente ciò che avviene altrove in Europa? E cioè Che al Master’s degree in psicologia forense (ovvero alla nostra laurea magistrale), segue un altro biennio di specializzazione nella stessa disciplina, una sorta di dottorato professionalizzante e abilitante?
Per chiarire meglio: la formazione psicoterapeutica è essenziale, come valore aggiunto anche sostanziale per i ruoli di area clinica. Il problema è se è necessaria o sufficiente per ruoli come CTP.
In questo senso, il dibattito è aperto, ma una decisione riduttiva mi sembra non del tutto coerente con il senso di una formazione in psicologia giuridica rispetto ad una formazione in psicoterapia.
Sarà mica che Cultura e Professione ha qualche interesse privato in scuole di psicoterapia? Mah…
Penso che lo psicologo forense sia una figura professionale da prendere sul serio e 50 ore di formazione mi sembrano poche. Io opterei per un Master che consenta agli addetti ai lavori di diventare esperti in questo campo.
Ho appena rinunciato ad un doppio incarico come CTU presso il Tribunale di Viterbo in due diversi casi di affido minori, perché non ho una formazione giuridico-forense, ma sono “semplicemente” una psicoterapeuta e non ho ritenuto sufficiente la mia capacità valutativa in tale ambito.
Lo ritengo un atto etico e rispettoso della mia professione.
L’ho fatto con lettera scritta al Giudice nel quale riportavo i suddetti motivi.
Salve a tutti, sto per laurearmi in psicologia e processi sociali e nella mia università (La Sapienza di Roma) è stata appena approvata una magistrale che comprende l’indirizzo forense. Stavo seriamente pensando alla possibilità di iscrivermi lì poichè è il percorso che ritengo a me più congeniale, ma dopo aver letto questo articolo, ho molte perplessità. Premetto che ho anche frequentato un corso di stesura di perizie psicologiche in ambito forense, ma qualora decidessi di laurearmi in quella magistrale, dovrei comunque diventare una psicoterapeuta per poter esercitare come CTP e CTU?