image_pdfimage_print

 

Al giorno d’oggi le persone che necessitano di un intervento psicologico si trovano a dover scegliere tra due fornitori generali: il servizio privato e quello pubblico. Entrambi presentano aspetti problematici non indifferenti, il primo per via degli elevati costi che non tutti possono sostenere, il secondo per via della propria organizzazione interna che costringe i pazienti a lunghissime liste d’attesa (anche di mesi!) e a prese in carico spesso limitate nel tempo e non sufficienti a sanare situazioni particolarmente gravi.

Senza contare che gli operatori stessi sono spesso sottoposti a periodi di grande fatica e stress, da un lato per via delle numerosissime richieste che giungono al servizio pubblico, dall’altro per via della precarietà dei loro contratti di lavoro.

L’Ordine degli Psicologi della Lombardia, attraverso la ricerca “Psicologi per Milano”, ha cercato di scoprire come funzionano alcuni servizi del privato sociale che a Milano si impegnano per offrire servizi di psicologia a prezzi calmierati o rivolti a fasce di cittadinanza in particolare difficoltà economica o emarginate.

Questo studio ha cercato di esaminare non solo la quantità di questi servizi (che certamente non mancano) ma la qualità e la metodologia che caratterizza il loro lavoro. La ricerca ha cercato anche di dare risposta alle seguenti domande: per quanto tempo queste realtà sono in grado di offrire prezzi concorrenziali? Quali sono nello specifico le utenze di questi servizi? E ancora, le persone che vi lavorano sono volontari, tirocinanti o psicoterapeuti esperti?

Il quadro emerso dalla rilevazione delinea una realtà estremamente varia. Ogni servizio infatti differisce dagli altri per la tipologia delle prestazioni offerte, per le categorie di utenti a cui ci si rivolge, per le tariffe prospettate e infine per le modalità attraverso le quali tenta di sostenersi economicamente.

Un aspetto importante da considerare è che laddove vengono offerti servizi gratuiti -o quasi- la richiesta si satura piuttosto velocemente.

Gli enti che “sopravvivono” da più anni e che lavorano a pieno regime sono quelli che a differenza degli altri si caratterizzano per una forte capacità di progettare, di essere in costante collegamento con le altre realtà territoriali come i servizi o le associazioni di zona e che offrono un servizio di qualità grazie a un costante lavoro clinico di supervisione.

Il compenso richiesto in questi luoghi di cura spesso si colloca a metà strada tra ciò che chiede il professionista privato da una parte e l’ente pubblico dall’altra.

Ma come è possibile proporre tariffe così basse? I dati emersi hanno visto una tendenza generale da parte dei colleghi intervistati: la decisione di limitare il proprio compenso. Questi servizi di “psicologia sostenibile” tuttavia spesso si impegnano in attività di fund raising per garantire, seppure in parte, un compenso più dignitoso ai colleghi che vi lavorano e una maggiore sopravvivenza della struttura.

Sorgono però dei quesiti rilevanti per la nostra categoria professionale: quanto è lecito che, a fronte delle difficoltà dei cittadini, i colleghi abbassino le tariffe senza un’adeguata compensazione di altro tipo? Come si può mantenere intatta la nostra professionalità –e la sua considerazione nell’immaginario comune- senza “svenderla” malamente, ma allo stesso tempo offrire dei servizi necessari a quelle persone sofferenti che si trovano anche in difficoltà economiche?

Di sicuro la soluzione non è delegare agli psicologi tirocinanti e ai volontari tutto il lavoro. Troppo spesso infatti capita che i CPS riescono a mantenersi in vita e a non collassare proprio grazie a figure come queste, che rischiano però di trovarsi schiacciate da responsabilità eccessive e incapaci di far fronte a situazioni di emergenza, non essendo ancora del tutto formate.

Anche l’abbassamento delle tariffe, se non adeguatamente compensato da altre entrate, è una strategia che alla lunga scontenta il professionista e non lo fa lavorare serenamente e dignitosamente.

I dati parlano chiaro: la domanda di psicologia è molto alta. E’ quindi possibile fare fronte a questo periodo di grande crisi senza andare ulteriormente in crisi anche noi, ma anzi, volgendo la situazione a nostro favore?

La soluzione a questa difficile domanda va ricercata prima di tutto nella creazione di una figura professionale “nuova”, capace di essere realmente presente sul territorio, di spostarsi e di rispondere ai bisogni degli utenti. Una figura costruita sulla capacità di progettare, di offrire servizi che siano utili al territorio in cui lavora, ma impegnata anche nel lavoro di rete con gli altri colleghi.

Siamo però ancora troppo limitati nella nostra capacità di rinnovarci. Quanta fatica si fa per uscire dagli schemi che ci hanno insegnato all’Università o dalle modalità di lavoro apprese durante i periodi di praticantato. Quanta fatica nel non essere sterilmente invidiosi di colleghi che apparentemente se la passano meglio..

Per non cadere in una “svendita” di noi stessi e lavorare comunque con passione è necessario che la possibilità di offrire un servizio di psicologia a prezzo contenuto passi attraverso un riconoscimento ufficiale da parte degli Ordini Regionali. Una man forte che ci può venir offerta con l’obiettivo di lanciare un messaggio chiaro: la figura dello psicologo ha una sua dignità e un suo riconoscimento a livello sociale in quanto è in grado di rispondere ai bisogni concreti espressi dai cittadini.

Infine è bene ricordare che un aiuto ci può venire fornito dal lavoro politico da parte degli Ordini Regionali nell’allacciare rapporti con le istituzioni presenti sul territorio, ma l’Ordine da solo non basta. Dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di progettarci come professionisti e dimostrare di saper pensare sia al mondo del lavoro che a quello del sociale in modo diverso.