Psicologo di base: l’eroe che ci serve o quello che ci meritiamo?

“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo”.

Così Nietzsche concettualizza per la prima volta il concetto di “eterno ritorno dell’uguale”, quello che gli storici definiscono “il pensiero più abissale”della sua filosofia, “più simile a una oscura profezia, alla rivelazione divinatoria di un segreto, che a una rigorosa esposizione filosofica”.

Praticamente la più accurata definizione di psicologo di base che io abbia mai letto.

L’idea dello psicologo di base è proposta per la prima volta da Luigi Solano all’alba del Nuovo Millennio, dove ne aveva curato una prima sperimentazione che aveva portato molte speranze e risultati molto promettenti: aveva dimostrato un sostanzioso risparmio del denaro pubblico.
Nonostante ciò, l’idea dello psicologo di base negli ultimi 20 anni si è ciclicamente dissolta dinanzi all’inconsistenza delle promesse.
Fu proprio Solano a parlarne, con rammarico, in un intervista rilasciata ad AltraPsicologia, dove, con estremo pragmatismo ci disse:

Nonostante reiterate promesse, [l’Ordine] non ha però mai realizzato alcun contatto istituzionale con autorità sanitarie per promuovere il progetto, e da diversi anni non mostra più alcun interesse per l’iniziativa

Era il 2013.
Lo psicologo di Base, infatti, nel corso del tempo, più che opportunità per la cittadinanza, è parso essere una sorta di Santo Graal, utile a raccogliere il sangue, sotto forma di voti, degli psicologi ogni volta che viene appiccicato in un programma elettorale.
E proprio come il Santo Graal tutti ne parlano, ma nessuno sa dire precisamente che aspetto abbia, questo psicologo di base.

Nel tempo ci è stato propinato in diverse versioni, più o meno appariscenti.
Lo psicologo del territorio della Campania prometteva l’assunzione di ben SEICENTO psicologi da parte della regione Campania. L’allora presidente Felaco ci disse in una entusiasmante newsletter che eravamo “seduti sulla nostra fortuna”, bastava alzarsi per andare lì, coglierla….e invece no. La norma prevedeva chiaramente nessun aggravio di spesa per la Regione, per cui è restato tutto sulla carta.
Qualcuno, qualche nostalgico romantico, ogni tanto lo evoca ancora e fa un po’ tenerezza.

In Veneto negli anni recenti più volte dall’Ordine si è strombazzato dell’istituzione dello psicologo di base, salvo poi scoprire che si trattava di minuscole sperimentazioni annuali di pochissime ore, di pochissimo denaro, di alcuna sostenibilità nel tempo.

Nella precedente consigliatura in CNOP si era promessa lotta dura senza paura per lo psicologo di base… ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

– L’ultimo sussulto ce l’aveva regalato il cosiddetto “DECRETO CALABRIA”. Nato per commissariare in toto la sanità calabrese (e quindi diciamo non con ottime premesse…), dentro il decreto ad un certo punto venivano inserite altre questioni e tra una cosa e l’altra qualcuno era riuscito a infilare le parole “…e dello psicologo” riferite alle figure professionali presenti negli studi dei Medici di Medicina Generale.
Subito spacciata dai soliti noti come il vero Graal che avrebbe prodotto nell’immediato un milione di posti di lavoro per gli psicologi, la norma si è mostrata per quello che era: un punto – necessario, intendiamoci – in un deserto arido e pieno di dune, dove non si arriva a scorgere l’orizzonte.

Arriviamo ad oggi: la Pandemia, i soldi dall’Europa, il sistema sanitario stressato e soprattutto tante elezioni regionali all’orizzonte, destinate a decidersi sul filo del rasoio.
In questo contesto sono nate diverse proposte di legge in alcune regioni (ad esempio in Campania e in Puglia – leggi approvate ma attualmente impugnate – ), altrove sono state fatte promesse tutte da verificare (come in Toscana), fatto sta che per la prima volta, al 31esimo anno dalla nascita della professione è accaduto un fatto mai visto.
Siamo stati considerati bacino elettorale interessante, interlocutori, e non semplici questuanti, a cui tentare di dare risposte più concrete delle fumose promesse degli anni passati.
Per questo, ad esempio, è un fatto significativo che la legge proposta nella regione Campania abbia visto per la prima volta un impegno di spesa di una certa consistenza.
Intendiamoci: siamo ancora agli albori, ci sono aspetti normativi evidentemente da chiarire, alcuni approcci sembrano anche abbastanza primitivi, ma un passo avanti c’è e responsabilizza al massimo i nostri rappresentanti negli enti: occorre avere idee chiare, realistiche e complessive delle richieste da portare avanti.

Fin qui le novità.

Alcune perplessità restano e non sono banali.

Quella più eclatante riguarda la definizione del ruolo che dovrebbe avere lo psicologo di base.
Spostandoci su una prospettiva nazionale, in Commissione Sanità al Senato sta procedendo una legge – (il testo completo qui) – che andrebbe ad istituire la figura dello psicologo delle cure primarie.
Nell’elenco dei compiti che questi dovrebbe andare a svolgere, una grossissima parte ricalca una tipologia di servizi che in teoria dovrebbero essere già in grado di fornire i Servizi di Salute Mentale (nelle loro varie declinazioni).
Se è questo il piano, perché allora banalmente non pensare di rinforzare il personale nei servizi con nuove – strutturali – assunzioni di psicologi?

La sensazione è che non basterebbe.

L’esperienza della pandemia ha lasciato all’interno di tutta la comunità delle professioni sanitarie la sensazione che questa volta l’abbiamo sfangata più che per l’organizzazione delle strutture, per la qualità – etica, morale e professionale – dei professionisti sul campo, che spesso si sono trovati a lanciare il cuore oltre l’ostacolo.

Non si tratta solo delle legittime richieste di assunzioni e stabilizzazioni, ma di costruire un’organizzazione diversa dei servizi sanitari.
Ognuno, però, sta ancora guardando la situazione dal proprio spioncino: così noi chiediamo “lo psicologo di base”, gli infermieri “l’infermiere di quartiere”, i fisioterapisti “il fisioterapista di famiglia” e così via.

Un atteggiamento, da parte di tutti, che rischia di schiacciare il dibattito su mere richieste “pro domo”, mentre la reale sfida lanciata da questa pandemia pare essere quella di un ripensamento complessivo del sistema sanitario, capace di cogliere una nuova idea di salute.
Un approccio che sia culturale e poi organizzativo, che integri strutturalmente la figura (e la competenza) psicologica in tutte le diverse fasi della presa in carico, togliendoci da quest’angolo pericoloso in cui stiamo rischiando di farci relegare: ossia essere i consulenti della seconda battuta.
Noi, come psicologi, esperti della complessità, potremmo e forse dovremmo essere i catalizzatori di un movimento culturale in grado di portare nel dibattito pubblico un’idea di salute diversa e più complessiva.
Intanto, però, le assunzioni di altri psicologi e psicologhe sono quanto mai necessarie, perché persino la nostra generosità prima o poi, pure se molto poi, avrà un limite e non potremo rispondere alle chiamate alle armi gratuite in eterno (…spero…).