Il ‘counseling’ è un’attività riservata agli psicologi o può essere utilizzato da chiunque?
Utilizza quegli ‘strumenti conoscitivi e di intervento in ambito psicologico’ come recita la Legge 56/89 o invece strumenti e tecniche utilizzabili da chiunque?
Con l’approvazione della legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” siamo di fronte forse all’atto conclusivo: finalmente i counselor devono uscire allo scoperto e farsi riconoscere come professione dimostrando che non fanno ‘sostegno psicologico’ e che non utilizzano gli strumenti a noi riservati (test, colloquio e osservazione in ambito psicologico), che non utilizzano teorie e costrutti psicologici e nulla hanno a che fare con la salute.
Ricordiamo che la Legge 4, ha l’obiettivo di riconoscere tutte le professioni “non organizzate in ordini o collegi”, cioè “con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi”. Inoltre, esclude anche le “professioni sanitarie”. Quindi noi psicologi essendo una professione con un albo e sanitaria dovremmo essere doppiamente tutelati.
A questo punto i counselor dovrebbero dimostrarci che non fanno interventi psicologici e che non intervengono sulla salute delle persone (intesa proprio come vuole l’OMS, cioè BENESSERE bio-PSICO-sociale). Soprattutto dovranno dimostrare che non fanno riferimento a modelli psicologici.
L’aspetto più interessante della legge è che essa propone, anzi “promuove”, “l’autoregolamentazione volontaria”. Questo vuol dire che queste nuove professioni, in potenza… counselor compresi, potranno darsi delle norme, degli standard, per definire i requisiti della professione, come ad esempio quanta formazione e in che cosa, le competenze necessarie e le procedure da utilizzare nel proprio lavoro. Nel mondo, l’Ente che si occupa di definire i requisiti delle norme è l’ISO, in Italia è UNI. Proprio gli stessi della scritta “UNI/ISO” che vediamo sui prodotti, questo vuol dire che il prodotto ha rispettato i requisiti italiani e internazionali, quindi è un prodotto a norma.
Quindi per autoregolamentarsi, in Italia si va da UNI, cioè la legge 4 suggerisce che la nuova professione per farsi riconoscere deve passare dalle norme UNI. Infatti, aggiunge la legge, le norme UNI “ne assicurano la qualificazione”!
Così hanno fatto i fotografi. Allo stesso tempo stanno cercando di fare in UNI i counselor… sempre che riescano a dimostrare di non accavallarsi alle competenze degli psicologi.
Come avviene la normazione UNI?
Sinteticamente, quando qualcuno vuole normarsi, si propone all’UNI che fa svolgere inizialmente un’inchiesta pubblica preliminare per essere sicura che non ci siano problemi a riguardo e, se nessuno si oppone, si insedia un gruppo di lavoro con l’obiettivo di scrivere la norma. Fatta la norma, questa passa per un’assemblea generale per avere l’ok definitivo e viene pubblicata.
Naturalmente UNI ha un ruolo tecnico e di processo, non entra nei contenuti, la responsabilità è di chi propone e scrive la norma.
Così, secondo la legge 4 se una professione non regolamentata svolge tutto questo iter, verrà facilmente riconosciuta e inserita nell’elenco delle professioni, diventando in tal modo una professione “non organizzata” ma comunque riconosciuta dalla legge italiana.
Anche i counselor non psicologi si sono esposti all’inchiesta pubblica. Dal 2 al 17 Agosto del 2012! Peccato che la loro inchiesta pubblica sia capitata proprio nelle due settimane di vacanza di quasi tutta Italia. Forse perché era meglio passare inosservati? Non possiamo saperlo ma il gruppo di lavoro si è insediato per scrivere la norma.
UNI correttamente si preoccupa di invitare tutte le parti interessate, quindi è stato invitato anche il nostro Ordine Nazionale (CNOP) che, “”purtroppo””, non è riuscito ancora ad insediarsi presso il gruppo di lavoro.
L’unico atto compiuto dal CNOP in tutta questa vicenda è stato urlare allo scandalo quando è stata promulgata la legge 4/2013 (che già ci tutela, come segnalato da AltraPsicologia in precedenza), mentre il fulcro della questione non è che la legge sia sbagliata, anzi; si tratta di seguire tecnicamente e nei contenuti la difesa della nostra professione e della salute dei cittadini. Dichiarando quanto è ovvio a molti: che in Italia il counseling praticato da tutti non è che uno stratagemma per fare uscire la Psicologia dai vincoli della legge e creare fette di mercato per formatori senza scrupoli di stregoni e fattucchiere con simpatie “psic”.
Questa volta si fa sul serio e finalmente potremmo chiudere l’annosa questione del counseling non psicologico.
AltraPsicologia farà di tutto per far rispettare la legge 56/89 che definisce la professione di psicologo, perché gli psicologi dopo 5 anni di Università non hanno solo il dovere di svolgere il tirocinio, l’Esame di Stato, iscriversi all’ordine e pagare la quota, ma hanno anche dei diritti.
La questione è assolutamente cruciale, ci auguriamo che – almeno per una volta – tutti i gruppi politico professionali degli psicologi siano pronti a fare fronte comune.
Questo è il momento di passare dalle parole ai fatti e di intervenire uniti per la tutela della professione di Psicologo. AltraPsicologia, oltre a tenervi informati sulla questione, da qualche mese si è attivata in UNI.
Ci auguriamo presto di poter fare fronte comune con le altre sigle.
Scusate, ma qui non si parla minimamente né di salvaguardare professioni già esistenti che si occupano già di counseling (e cioè noi), né di salvaguardare gli utenti. Ma una “guardatina” alla condizione occupazionale disastrosa degli psicologi….no? A me sembra che sia la classica strumentalizzazione della creazione di altri posti di lavoro per fini politici. Non so a voi! Sono schifata!!!
Fonte sito UNI
14 Febbraio 2012
…..E una soluzione positiva per le professioni non regolamentate, dopo l’approvazione del dl liberalizzazioni, e comunque in tempi rapidi, la prospetta anche Roberto Rao, componente della II commissione della Camera: “Dobbiamo salvaguardare gli interessi di quanti lavorano in questo mercato e degli utenti: sicuramente le professioni non regolamentate sono l’esempio più avanzato che abbiamo di flessibilità, e di capacità di aggiornamento nel mondo del lavoro. Non si tratta di ‘chiuderli’ in un ordine, ma di consentire loro di lavorare al meglio in piena concorrenza”. E secondo Anna Rita Fioroni, componente della X Commissione del Senato, non si deve dimenticare che le professioni non regolamentate rappresentano “uno sbocco occupazionale importante, proprio adesso che il tema lavoro è all’ordine del giorno”.
Cinque progetti di norma in inchiesta pubblica preliminare
Venerdì 03 agosto 2012
…..E’ invece la commissione tecnica “Attività professionali non regolamentate” ad avanzare la proposta di un progetto di norma sulla figura professionale operante nel campo del counseling relazionale. La norma vuole definire i requisiti di conoscenza, abilità e competenza di questa professione, intesa come relazione d’aiuto che muove dall’analisi dei problemi del cliente e si propone di costruire una nuova visione di tali problemi e di attuare un piano di azione per realizzare le finalità desiderate dal cliente.
Attualmente non sussistono specifici e formali requisiti per operare quale counselor professionista. Definire e qualificare la figura professionale del counselor professionista, in conformità al quadro europeo (EQF), potrebbe giovare a tutta la categoria nonché agli stessi utenti che troverebbero nella competenza e professionalità di tale figura un sicuro e certo punto di riferimento.
Il conseling non puo’ e non prescinde dalla psicologia ed e’ assurdo sostenere il contrario…. Sono personalmente contraria a questo tipo di professione che rappresenta una scorciatoia rispetto alla via accademica professionale ufficiale. La nostra situazione in Italia e’ diversa da quelle esistenti all’estero e non basta invocare situazioni altre per deplorare la nostra. La situazione lavorativa italiana per gli psicologi e’ pessima e la parziale responsabilita’ non e’ solo di chi comunque con onesta’ studia couseling ma di tutti quei professionisti ed accademici che li formano…. Situazione deprecabile e complessa.
alcune domande:
da quando i test sono appannaggio esclusivo degli psicologi? A quanto ne so lo sono solo quelli delle OS, costosissimi e protettittissimi. Ma ne esistono di liberi, molto buoni e a costi abbordabili, penso alla erickson ad esempio…sbaglio? So di insegnanti, pedagogisti e counselor che li usano, qual’è il problema?
penso che la linea dei couselor sarà quella “pedagogica” e non psicologica, di fatto invalidando il fuoco di sbarramento degli psicologi. Diranno che counseling è pedagogico, volto allo sviluppo personale, filosofico esistenziale e maieutico, ecc ecc senza mai citare psicologia hard
alla fine è chiaro che, una volta passata la legge, nessuno ferma più nessuno: altrimenti non la facevano passare.
Questo è pazzesco!!!
Finalmente una voce Intelligente e non Paurosa e rabbiosa come quelle che ho letto. Ci sono counselor onesti che fanno solo il counselor , il problema che ognuno dovrebbe fare ciò che gli riesce meglio. sono …solo un counselor, ma ho avuto clienti (non pazienti) che hanno fatto anni di sedute, costose, noiose e schematiche e, a sentir loro, inutili, sostenute solo da regole accademiche, volgia di denaro e non dal Cuore, in 10 sedute e solo ascoltando e facendo loro delle domande la loro vita è cambiata. Signori..il mondo gira e cambia…provate a cambiare anche voi e scendere dai vostri piedistalli di cristallo. certo, chi abusa è un malfattore, ma questo esiste in tutti i campi e tutte le professioni. Chi ragiona come voi fa parte dell’italietta rigida e ferma…ma dove sta l’evoluzione. p.s. Ci sono tecniche loistiche e di discipline naturali che se fatte bene, e conosco psicologi miei amici che le usano, che risolvono problemi che molti parrucconi del vostro ordine non si sognano nemmeno…meditate gente…meditate…per chiudere, io costo solo 30 euro all’ora.
saluti e buon natale…..La paura crea solo quello che temiamo succeda. Addio, sono entrato nel Vostro sito per caso e non ci tengo a rientrarci
Scrivo solo questo: nell’azienda dove ho svolto il tirocinio post-laurea (ospedale) nel reparto di patologia neonatale è assunto, in ruolo e a tempo indeterminato, un COUNSELOR che fa COUNSELING alle coppie che hanno figli affetti da specifiche patologie, mentre la figura dello psicologo non è prevista.
Trovo ridicolo e vergognoso che alcuni colleghi siano permissivi a queste pseudo figure professionali, favorevoli addirittura al fatto che gli psicologi possano insegnare nelle scuole di counseling.
SVEGLIA!!!! dobbiamo essere i primi a farci rispettare!
Scusa Giuseppe ma avresti dovuto fare una segnalazione al tuo Ordine. Considerando che a noi per entrare in una azienda ospedaliera, o comunque pubblica, ci chiedono l’impossibile come curriculum, compresa specializzazione in psicoterapia (e a volte non basta neanche quella!. Se non l’hai fatto, hai fatto male perché in questi ambiti sarebbe severamente vietato non avere le carte in regola per starci. Considera che quando facevo il tirocinio (di specializzazione!!!) in ospedale, potevo fare il counseling alle coppie in attesa di probabili bambini Down, solo SUPERVISIONATA, perché non ero ancora specializzata. Quindi….fai un po’ te!
Caro Giuseppe,
di che ospedale si tratta ? In che regione è situato ? Se vi sono dei termini di merito, si può infatti fare segnalazione al proprio Ordine Regionale, che può eventualmente attivarsi rispetto all’azienda sanitaria per approfondire la questione.
Poi, mia curiosità personale: ma i dirigenti psicologi strutturati in quella struttura ne sono a conoscenza ? Cosa hanno fatto in merito ?
I testi psicologici veri sono appanaggio degli psicologi ecco qual’e’ la differenza, altri professioni come i pedagosti utilizzano altri stumenti atti a misurare e valutare altre caratteristiche, in genere relative a capacita’ particolari e specifiche, vedi ad esempio i test di comprensione e produzione linguistica… Perche’ i tests psicologici ed affini sono appannaggio degli psicologi perche’ sono i professionisti che grazie ad anni di studio e lavorano li creano questi test, li migliorano e li utilizzandoli in modo flessibile ed articolato. Signor Luca lei lo sa fare un test? Sa quanto lavoro e quanti specialisti e spesso anni di ricerca richiede la realizzazione di strumenti d’indagine utili? Non mi riferisco a questionari generali di valutazione generiche…. Ecco perche’ i test sono uno strumento professionale altamente specifico. E poi sono uno strumento che deve essere utilizzato da chi segue un codice deontologico preciso a garanzia dell’utente (“debole”) e della sua privacy. L’utilizzo inappropriato e leggero dei test psicologici puo’ avere risvolti talmente gravi da ledere l’utenza in modi vari e profondi. Ed il loro uso deve sempre essere dovuto a serie finalita’ diagnostiche (anche se il termine e’ eccessivamente medico e non rispecchia la reale potenzialita’ di questi strumenti) e/o di ricerca. I test vanno utilizzati per raccogliere dati, non sono uno strumento magico ne’ ci offrono una verita’. E concludo qui che il discorso e’ assai piu’ lungo…. Tanto per capirci.
Mi scuso per le imprecisioni ortografiche ma utilizzo una tastiera straniera che mi crea una certa dislessia!
Comunque Luca credo che lei abbia proprio ragione….
Sono dell’idea di stefania Mele. 5 anni di laurea per fare sostegno psicologico e 3 anni di corso al massimo con un impegno non paragonabile per fare counseling?
Non sarebbe meglio dare la formazione e la possibilità agli psicologi ad indirizzo clinico di poter fare tutti e due, tanto più che sostegno e counseling sono sovrapponibili?
o li vogliamo differenziare per la somministrazione di qualche test non standardizzato? o per che altro?
Valentina, in quanto psicologa abilitata sei già più che titolata a svolgere qualunque intervento di sostegno/consulenza psicologica (ovvero, appunto ciò che ricade sotto l’anglicismo di “counselling”).
Forse mi è sfuggito qualcosa ma in definitiva poi un counselor può fare il counselor ma uno psicologo può fare poi il counselor senza essersi formato come counselor? Se SI allora non avrebbe senso fare un perscorso alternativo alla laurea in psicologia in quanto potremmo decidere che per fare counseling basti una triennale mentre se NO invece sarebbe assurdo che uno psicologo che non può fare il counselor formi della gente per farlo.
Non nascondiamo i dietro ad un dito! Tutti noi sappiamo bene che la nostra professione non è tutelata. Sono molti i medici falsi o i falsi dentisti denunciati per abuso della professione. Ma quanti falsi psicologi sono denunziati? Ho 64 anni, ma non ho mai sentito di denunce a chi pratica ” psicoterapia” facendola passare per counselling, mental coach od altro. L’ utenza e’ confusa e non informata dai nostri Ordini che non hanno mai fatto una campagna tale da dare una informazione adeguata. Molte persone, anche professionisti medici non riconoscono la figura dello psicologo . Ora ,addirittura la legge ” legalizza la figura del counselor come base fosse uno Psicoterapeuta e le nostre scuole di specializzazione ” sfornano” professionisti della psiche , incrementando confusione ed alimentando nei counselor l’ illusione di essereanchemeglio degli psicologi.. Mi dispiace per chi studia e per i giovani psicologi.
Caro Davide, tu in quanto psicologo abilitato puoi svolgere tutte le funzioni di counselling (ovvero, di sostegno e consulenza psicologica) senza ovviamente alcun bisogno di corsi/autorizzazioni di nessuno, e ci mancherebbe 🙂
Il cosiddetto “counsellor” non è una professione regolamentata, pertanto chiunque può autodefinirsi tale, se lo vuole… il problema è quando un cosiddetto “counsellor” svolge atti che sono tipici della professione di psicologo senza esserne abilitato: in quel caso, sarebbe abuso di professione da parte sua.
Ma di certo il problema non è dello psicologo abilitato, è il contrario.
Sarebbe bello che l’Ordine si impegnasse a formare gli psicologi.
In italia quelli che sanno lavorare sono una ristretta minoranza. Non bastano 5 anni di bla bla bla accademici e un tirocinio basato su zero pratica nel corso della formazione universitaria prima dell’esame di stato per definirsi professionisti.
Purtroppo la definizione più realistica è accademici, sapere lavorare con le persone è un’altra cosa e questo a chi si forma in psicologia purtroppo non viene isegnato.
L’Ordine fa proprio acqua da tutte le parti, eccetto nel creare una casta debole e spaventata.
Per fortuna che una minoranza di Psicologi in Italia c’è, pochi ma buoni dicono.
Ciao Marco,
Purtroppo non è compito dell’Ordine formare i colleghi, essendo ente pubblico non può creare corsi di formazione.
In Lombardia ci siamo impegnati a far parlare tra loro le Università lombarde proponendo di inserire all’interno del loro corso di laurea il corso in “counseling”. Ma le risposte non ci sono state se non a parole, purtroppo anche le università vivono di vita propria e non pensano a formare professionalità spendibile sul mercato del lavoro.
E’ vero che gli ordini fanno acqua da tutte le parti, noi cerchiamo di tirarci fuori il meglio di quello che è possibile.
Io mi sono laureata a Firenze e ho fatto, all’interno del percorso in psicologia clinica, l’esame di Counseling. Era un corso annuale.Tra le altre cose, c’erano vari ambiti e mi ricordo che io facevo parte del gruppo che si occupava di marginalità. Me lo ricordo fra gli esami più complessi e faticosi.
Fonte: Garzantina di Psicologia
C:(azioni che i non psicologi devono limitarsi ad attuare)
P:(azioni attuabili solo da psicologi)
Intervento per il P:(sostegno)/C:(l’aiuto e l’accompagnamento) nella decisione, allo scopo di P:(creare)/C:(rafforzare) le condizioni per un’autonomia decisionale, attraverso la P:(considerazione dei)/C:(consapevolizzazione) sui fattori coscienti, come gli interessi, i gusti, le aspirazioni (es. economiche), il prestigio sociale e le inclinazioni C:(consce/preconsce)/P:(inconsce) che sono alla base delle dinamiche personali e del modo di esistere dell’individuo.
Scopo del Counseling è quello di consentire all’individuo una visione realistica di sé e dell’ambiente in cui si trova ad operare, e delle opzioni a propria disposizione, in modo da poter meglio affrontare le scelte che si trova ad dover attuare nel corso della propria esistenza.
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Psicoterapia:
Processo interpersonale, consapevole e pianificato, volto ad influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi prettamente psicologici, per lo più verbali ma anche non verbali, in vista di un fine elaborato in comune, che può essere la riduzione dei sintomi o la modificazione della personalità.
Caro Alfredo,
non ho capito molto bene la prima parte del tuo intervento; ma mi par di notare che – come al solito – ci si dimentica che tra la chiacchierata e l’intervento psicoterapeutico esiste la specifica dimensione della consulenza e sostegno psicologico (non psicoterapeutico), che sostanzia appunto (in normativa e giurisprudenza) proprio quella funzione “consulenziale” di ambito emotivo e relazionale che certi counsellor vorrebbero tanto ascrivere a sé.
Caro Luca,
sono d’accordo con te che vi sono counselor che non hanno capito i limiti della propria professione e che sconfinano in attività riservate a psicologi.
D’altra parte vi sono psicologi che pensano che ogni colloquio professionale riguardo comportamenti e pensieri di una persona sia riservato agli psicologi.
Sono riservati agli psicologi solo quegli interventi che siano destinati a prevenzione, diagnosi, sostegno, abilitazione e riabilitazione in campo psicologico: non quindi tutti gli interventi in campo psicologico.
Un counselor non può fare diagnosi, ciononostante può rendere evidente al cliente, con il dialogo, quali siano elementi e pensieri ricorrenti nel suo comportamento, senza per questo giungere o tendere ad una classificazione diagnostica. Così egli non vicaria il cliente sostenendo le facoltà psicologiche del cliente, ma si affianca ad un cliente in possesso delle proprie intatte facoltà per osservare insieme a lui elementi che a sé stessi spesso sfuggono mentre ad un terzo risultano più evidenti.
Abilitazione e riabilitazione servono per restituire o fornire al cliente facoltà psicologiche perdute o mai avute: questo ovviamente non è consentito al counselor non psicologo, né d’altronde questi è preparato a tale scopo.
Un discorso differente riguarda la prevenzione: qualcuno che aiuti a prendere decisioni sicuramente riduce il rischio di futuri disturbi, ma questa non è prevenzione, la quale invece ha specificamente *come obiettivo* il ridurre le probabilità di insorgenza di disturbi.
Aiutare qualcuno a fare le migliori scelte possibili per lui in una data circostanza può invece come normale conseguenza portare a vivere meglio, e la riduzione della probabilità di insorgenza di futuri disturbi è al massimo una possibile conseguenza di fatto, non l’obiettivo dell’intervento.
C’è poi da precisare che la ‘riserva per legge’ dell’art.1 della Legge di ordinamento della professione di Psicologo non viene effettuata solo in base allo strumento impiegato, ma dallo strumento finalizzato a precise attività e per specifici scopi in ambito solo psicologico. Così il colloquio non è di per sé strumento riservato, altrimenti nessun altro professionista potrebbe utilizzare il colloquio per esplorare le esigenze del proprio Cliente. Parimenti un lessico orientato alle emozioni non è riservato di per sé allo Psicologo, altrimenti non vi potrebbe essere nessun altro professionista che affronti le emozioni del proprio Cliente (allenatori, pittori, poeti, musicisti, critici d’arte, etc.). E’ solo quando un determinato strumento è utilizzato per una determinata attività prevista dalla legge che tale strumento applicato diviene ‘riservato per legge’ allo Psicologo. Così il colloquio che esplora le emozioni al fine di pervenire ad una diagnosi o fornire un sostegno psicologico divengono ‘strumenti conoscitivi e di intervento per la diagnosi o il sostegno in ambito psicologico’, altrimenti no.
Credo che se da un lato la nuova lòegge ha chiarito la libertà di esercizio della professione di counselor, dall’altro deve essere chiarito bene, ai conselor ed agli psicologi, e soprattutto alle scuole che formano entrambi, tali differenze che appaiono sottili ma sono fondamentali.
Dimentichi l’utilizzo di strumenti “conoscitivi”. A parte questo dettaglio, la questione su cui ragionare è cos’è il counseling come attività professionale.
Sono s’accordo che chiunque possa aiutare le persone a fare “le migliori scelte per se stesso” ma quando fa questo basandosi su teorie e costrutti psicologici, allora i dubbi diventano certezze e l’intervento diventa abuso professionale.
Ciao a tutti, posto dei tratti di un articolo che ho trovato su http://www.assocounseling.it/approfondimenti/articolo.asp?cod=885&cat=APPRO&titlenav=Approfondimenti
Dal mio punto di vista vengono dette cose molto gravi, e questo in un sito di un’associazione di counseling. Immaginiamo, se questa è la filosofia dell’associazione, come operino gli iscritti counselor. Capisco che il relatore psichiatra abbia interessi personali, formando counselor, ma l’etica nella formazione esiste solo per gli psicologi. Chissà come insegna nella sua scuola!
Posto alcune affermazioni di questo articolo:
la psicoterapia, una pratica virtualmente illimitata nel tempo e negli obiettivi. E perché il counselor ne ha tanta paura? Naturalmente perché lo sconfinamento nella psicoterapia in Italia significa esercizio abusivo di una professione che la legge 56/89 riserva esclusivamente a medici e psicologi. Ma la paura di trasgredire un limite legale ha due lati, uno formale e l’altro sostanziale. Per esempio se stiamo guidando e vediamo un cartello che indica un limite di velocità di cinquanta all’ora, rallentiamo per due motivi: primo per la paura di prendere una multa, e secondo per quella di provocare un incidente guidando a una velocità superiore a quella consentita da questo tipo di strada.
Ora, il motivo formale e quello sostanziale non sempre e non necessariamente coincidono. Accade anzi regolarmente che a poco a poco la realtà delle cose cambi rispetto al momento in cui è stata fatta una determinata legge, e che l’organismo legislativo ne prenda atto modificandola o riscrivendola ex novo. In particolare, da molte parti si ritiene che la 56/89 sia superata, perché unifica sotto la dizione psicoterapia due realtà affini ma profondamente diverse. A una prima area, sanitaria o diagnosticoprocedurale, appartengono le pratiche di cura di disturbi patologici mediante procedure empiricamente validate per il trattamento di quei disturbi, di competenza esclusiva di medici e psicologi. A una seconda area, formativa o dialogico-processuale, appartengono le pratiche finalizzate alla cura del disagio esistenziale e allo sviluppo delle potenzialità di individui e gruppi (empowerment), esercitate da chiunque abbia ricevuto una formazione adeguata per farlo. In questa seconda area rientrano sia il counseling sia la psicoterapia di indirizzo esistenziale (di matrice psicodinamica o umanistica). Psicologi e medici possono giustamente rivendicare l’esclusiva della psicoterapia scientifica (nel senso delle scienze empiriche), ma non hanno alcun titolo per rivendicare quello della cura esistenziale (che è scientifica anche questa, ma prevalentemente nel senso delle scienze fenomenologiche ed ermeneutiche).
Prendiamo una situazione abbastanza tipica che può presentarsi a un counselor. Il cliente dice: “Mi sento un po’ giù. Il medico mi ha trovato un po’ depresso e mi ha dato del Prozac. Va un po’ meglio, ma capisco che non sarà il Prozac a risolvere i miei problemi. Io ho bisogno di parlare del disagio che vivo quotidianamente in famiglia e sul lavoro. Posso farlo qui con lei?”. Che farà questo counselor? Dovrà dire: “Mi dispiace, lei è depresso, si rivolga a uno psicoterapeuta?” E perché mai? L’aspetto medico del problema è sotto controllo, il medico ha prescritto un antidepressivo. Il disagio presentato dal cliente ha a che fare con le relazioni della sua vita quotidiana, e quindi dovrebbe rientrare pienamente nelle competenze del counselor.
Il presente contributo è stato presentato al IV convegno nazionale di AssoCounseling, tenutosi a Milano il 20-21 aprile 2013 (n.d.r.)
Tullio Carere-Comes, Psichiatra Psicoterapeuta, è coordinatore per l’Italia della Society for the Exploration of Psychotherapy Integration (SEPI)
Dimentichiama la differenzazione tra “intervento psicologico” e “intervento psicoterapeutico”, cioè quello che scrivi è sicuramente valido per differenziare la psicoterapia dal resto, ma resta una forte sovrapposizione tra counseling e psicologia. Al momento la 56/89 unifica le due realtà da te descritte, allora è chiaro che tutto il resto, al momento, è di competenza della professione di psicologico e al momento l’attività che descrivi, se non esercitata da uno psicologo, è illegale.
Di Leggi superate ce ne sono tante, ma la battaglia deve essere una battaglia democratica nei limiti della legalità.
Se oggi per fare lo psicologo sono obbligato a fare un anno tiricinio, esame di state e pagare annualmente un ordine, allora pretendo che mi sia riconosciuta la mia formazione e il mio ambito di intervento. Quando questo verrà meno, allora tutto il counseling sarà lecito, ma oggi no.
Certo che e’ illegale! Il problema e’ che l’estratto che ho pubblicato lo trovi sul sito di Assocounseling, una delle associazioni di counseling adesso legittimata dallo stato. Immaginiamo come lavorano i counselor iscritti a tale professione! Dove sono gli Ordini?
D’accordissimo! Penso anch’io che il punto sia questo (e non altro!): se un cittadino vuole esercitare una determinata professione deve comportarsi come la legge prevede e non cercare furbette scorciatoie. Credo che sia un diritto costituzionale, o no? “La legge è uguale per tutti” non riguarda forse i “counselor? Abbiamo anche un ministero per le “pari opportunità” in Italia e siamo in queste condizioni!Ad avere tempo e denaro: questa potrebbe essere “discriminazione” a tutti gli effetti che un Paese civile non può mettere in atto tra cittadini con eguali diritti. E poi riconoscere e legalizzare una “professione” che già esiste, con un percorso preciso (e che si sovrappone pari, pari a quella dello psicologo) forse potrebbe costituire un precedente pericoloso, non vi pare? Chiunque si potrà stampare un diploma.. oddio!!!
Le affermazioni riportate lasciano perplessi (per usare un eufemismo).
Un’ipotetica distinzione “psicoterapia cognitivo-comportamentale agli abilitati/ la psicoterapia non cognitivo-comportamentale a chiunque la voglia fare” è un pastiche confusivo di livelli funzionali, normativi, teorici, di competenze professionali impressionante; è una distinzione artificiosa, una valutazione filosofica soggettiva e personale non radicata nella metodologia della ricerca clinica o nella teoria della tecnica – dire che la psicoterapia psicoanalitica è qualcosa che “non è psicologia o psicoterapia”, ma una sorta di prassi soggettiva che può fare chiunque senza alcuna abilitazione, si commenta da solo.
Da un punto di vista normativo, e da un punto di vista teorico-tecnico.
Lo si dica alla SPI, ad esempio, che la psicoterapia psicodinamica o la psicoanalisi non c’entrano né con la psicologia né con la psicoterapia (e relative implicazioni conoscitive, professionali e operative).
Poi, in generale, come si faccia a fare “terapia” senza essere nemmeno abilitati alla diagnosi o alla clinica (che ne rappresentano i prerequisiti, in qualunque ambito) è un mistero che ovviamente non viene spiegato.
La legge n°4 del 14 gennaio 2013 non riconosce un bel nulla. Piuttosto afferma un principio, peraltro già presente nel nostro ordinamento, ossia che (al di là di facoltative iscrizioni a fantasmagoriche associazioni o a ricorso facoltativo a norma UNI) tutto ciò che non è regolamentato è libero. La professione di counselor, in quanto tale,non esiste. Esiste il counseling come competenza che rientra, ovviamente, tra le attività tipiche dello psicologo. Chi pratica il counseling senza essere abilitato all’esercizio della professione di psicologo e iscritto nell’apposito Albo è un fuorilegge, un abusivo e come tale va perseguito nelle Sedi giudiziarie. Occorre, a mio avviso, che il nostro Ordine professionale (centrale e periferico)vigili e si occupi massimamente di denunciare tutte quelle Istituzioni, pubbliche e private, che prevedono la competenza di consulenza (PON o altro) di conseling per non psicologi.
Salve a tutti.
Se può servire al dibattito vorrei segnalare alcuni passi da “Terapia centrata sul cliente” di Carl Rogers, edizioni la meridiana 2007.
Nella prefazione, Zucconi Vittorio, attuale presidente dell’IACP, scuola che mi sembra conduca corsi di counseling rivolti anche a non psicologi, scrive che l’opera di Roger “Counseling and Psychoterapy” venne inizialmente tradotta come “psicologia di consultazione” e che il nostro Roger propose il cambio di denominazione da paziente a cliente (pag.IV e poi pag.VI).
Scrive Zucconi che Rogers “Assunse un ruolo leader nelle azioni politiche indirizzate al riconoscimento del diritto degli psicologi statunitensi a praticare la psicoterapia al pari dei medici” (pag.VI) e che creò il primo “Counseling center che presto divenne “uno dei centri più conosciuti della nazione e del mondo per la psicoterapia e la ricerca”” (IX).
A pag XI Zucconi scrive che «E’ interessante notare come la scelta della parola consultore invece di psicoterapeuta fatta nella traduzione italiana che risale alla prima edizione curata da Lucia Lumbelli, traducesse il termine counselor ( in americano; oggi in Italia e in Europa counsellor secondo la grafia britannica). L’impiego del termine, in luogo di psychotherapist, è rivelatore della condizione in cui versavano in quel periodo gli psicologi statunitensi: poichè ad essi non era permesso erogare servisi di psicoterapia, che costituivano prerogativa esclusiva della classe medica, gli psicologi ricorrevano all’espediente di chiamarla con il termine di counseling. Nel riproporre la stessa traduzione in questa nuova edizione abbiamo ritenuto opportuno modificare consultore con counsellor.
Eppure nel cap.7 Rogers scrive e teorizza sulla necessità di formazione per gli psicoterapeuti…»
Che dire!
Luna
….a chi chiedere sui lavori del tavolo UNI?
Ormai è passato un anno dall’insediamento, da quanto ho capito.
Che succede se l’UNI riconosce la figura del counselor?
Luna
A quanto pare ecco counselor che non rinnegano le origini nella psicologia…
http://www.genovacounseling.it/
Luna
beh tanto di cappello ad un tale percorso di formazione….fossero tutti così i counselor! Tra l’altro utilizza molti strumenti tipici anche del coaching, altro approccio che nei prossimi anni darà moltissimo filo da torcere agli psicologi e ai formatori…il mondo è cambiato ragazzi, scendete dal pero! buon lavoro e buon santo stefano
Buongiorno, io conosco una persona a cui è stato concesso di partecipare ad un corso di counseling pur non avendo il titolo di studio di diploma. Per capirci ha la scuola media e 2 anni di scuola professionale come parrucchiera. È legale un iter di questo tipo? Grazie e buona giornata